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Un attacco che rischia di alimentare paure e nazionalismi

Dolore e solidarietà: a Bruxelles e in altre capitali europee numerose persone hanno espresso il loro cordoglio per le vittime degli attentati perpetrati martedì. Keystone

Compiuti a pochi passi dalle sedi dell’UE, gli attentati di Bruxelles rischiano di alimentare i movimenti populisti che invocano la chiusura delle frontiere interne, mentre l'Europa dovrebbe essere più unita per lottare contro il terrorismo, avverte la stampa svizzera. Secondo molti commentatori, le origini di questa violenza vanno ricercate innanzitutto nei nuovi ghetti sorti nelle periferie delle metropoli europee. 

“La stazione metropolitana di Maelbeek si trova al centro del quartiere europeo di Bruxelles”, osservano il Tages-Anzeiger e il Bund, nel loro commento comune. “Non è quindi un caso che le esplosioni mortali si siano verificate proprio in questo nodo centrale della ferrovia sotterranea. A pochi passi di distanza, in un edificio dell’UE, i capi di Stato e di governo dei Ventotto hanno recentemente siglato, assieme al primo ministro turco Ahmet Davutoglu, un patto per far fronte al problema dell’asilo, nella speranza di salvare il sistema europeo di Schengen”. 

Questi attentati nel cuore dell’Europa “faranno probabilmente aumentare le richieste per controlli alle frontiere interne dell’UE, rendendo ancora più fragile il trattato di Schengen”, proseguono i due giornali. “Ora l’amalgama tra minacce terroristiche e rifugiati verrà fatto ancora più spesso. I terroristi vogliono rafforzare la diffidenza tra gli europei e i loro migranti. Una radicalizzazione da ambo le parti rientra nell’interesse degli islamisti, che potranno così reclutare nuove leve nelle periferie di Bruxelles, Parigi o Londra”. 

“Queste esplosioni presso la centrale di comando europea giungono in un momento critico per l’UE. Tra tre mesi la Gran Bretagna è chiamata a decidere se vuole rimanere a far parte dell’Unione. Gli attentati rischiano di favorire i sostenitori del Brexit. Il terrore alimenta inoltre le forze centrifughe e fa il gioco dei movimenti populisti e nazionalisti europei”, sottolineano il Tages-Anzeiger e il Bund. 

Visioni del mondo completamente differenti

 “È ben probabile che il Belgio rafforzerà ora il suo dispositivo anti-terrorismo, seguendo il modello francese”, prevede la Neue Zürcher Zeitung, che valuta a sua volta le possibili ripercussioni di questi attentati. “Ciò significherà, tra l’altro, una sorveglianza telefonica senza autorizzazione giudiziaria, perquisizioni nelle case a qualsiasi ora del giorno o la possibilità di arrestare delle persone per 96 ore per degli interrogatori”. 

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A livello europeo, potrebbe inoltre “essere rilanciata la proposta di istituire un’unità comune di polizia, sull’esempio dell’FBI americano. Più importanti di nuovi servizi e gradini gerarchici sarebbe però un migliore scambio di dati e informazioni. Tra le misure a corto termine sarà necessaria anche una maggiore protezione delle frontiere esterne dell’UE. In futuro, un afflusso incontrollato di migranti, come si è verificato negli ultimi tempi sulla via dei Balcani, non potrà più essere tollerato”, aggiunge il quotidiano zurighese, secondo il quale anche le misure di sicurezza più grandi non potranno impedire nuovi attacchi. 

Per fare questo, i paesi occidentali dovranno cercare soprattutto di evitare che si formino al loro interno dei nuovi ghetti e che esplodano delle società parallele. “Ciò potrà essere fatto solo se si porrà fine al principio del ‘laissez-faire’ che domina attualmente nella politica di integrazione”, avverte la NZZ, per la quale sono necessari dei cambiamenti nella politica d’istruzione e nella pianificazione urbana, se si vuole evitare che in Europa “crescano società con principi e visioni del mondo completamente differenti”. 

Mancanza di prospettive 

“Eserciti e organi di sicurezza possono permettere di eliminare dei capi del terrorismo, possono far saltare alcune basi del terrorismo e impedire degli attentati pianificati”, rileva la Südostschweiz. “Ma non potranno mai impedire a nessuno di diventare terrorista. Al contrario: quasi ovunque dove lottano dal 2001 contro il terrorismo, gli eserciti hanno creato soprattutto un terreno fertile per un nuovo terrorismo”. 

“Sorveglianza, repressione e punizioni: tutto l’arsenale per lottare contro i sintomi è importante, dato che può permettere di salvare nuove vite. Ma chi combatte solo i sintomi e ignora le cause della malattia, è un pessimo dottore”, aggiunge il foglio della Svizzera sudorientale. A suo avviso, il terrorismo islamico si nutre soprattutto di una “mancanza di prospettive nei paesi occidentali, ma anche nel mondo arabo, dove predominano anche élite corrotte, approfittatori stranieri, voglia di vendetta e spirali di violenza”.

“Più tutti questi fattori si accumulano e più aumentano le micce nelle mani degli incendiari pseudoreligiosi”, fa notare la Südostschweiz. “Queste cause devono esser combattute con lo stesso impegno impiegato per lottare contro i terroristi. Altrimenti non vi sarà mai una fine”. 

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Fenomeni di radicalizzazione 

Più pessimista Le Temps, che si chiede se i terroristi non stiano già vincendo la loro guerra. “Eludendo la sorveglianza poliziesca, i terroristi operano come vogliono. Le forze di sicurezza sono in stato di allerta, ma senza poter impedire degli attentati. Quando lo Stato islamico decide di colpire, nessuno è oggi in grado di fermare questi soldati fanatici”. 

Da oltre un anno, dall’attacco contro Charlie Hebdo, “le forze di polizia hanno potuto registrare alcuni successi e i paesi cooperano molto di più che in passato. Ma tutto ciò non va abbastanza in fretta. Appare ormai chiaro che il nemico viene dall’interno. Mesi di discussioni nelle famiglie, alla televisione, presso gli intellettuali, hanno finalmente permesso a molti di aprire gli occhi”, ritiene il giornale romando. 

“Non è razzista né antimusulmano dire che vi è un problema all’interno di alcune cerchie della popolazione. Che la miseria a Molenbeek e in altri sobborghi stia portando a dei fenomeni di radicalizzazione presso giovani disorientati. Questi terroristi sono dapprima dei criminali che trafficano armi e falsi documenti, che impongono la legge del silenzio nella loro comunità. Per questa ragione una buona parte della popolazione, anche in Svizzera, dovrebbe svegliarsi e smettere di credere che il miglior modo di lottare contro il terrorismo sia la tolleranza”. 

Zona grigia 

Anche la Liberté si preoccupa per la radicalizzazione in atto nel mondo musulmano in Europa. “Il verme si trova già da molti anni nel frutto. Sono dei cittadini ben impiantati, provenienti da ghetti come quello di Molenbeek, a passare generalmente all’azione. L’Europa è piena di cellule pronte a diventare attive e difficilmente neutralizzabili. Nel gennaio scorso, Europol stimava che 5000 terroristi circolano liberamente in Europa. Una minaccia incandescente”. 

Vi è una “zona grigia”, nella quale “il terrorismo non è combattuto con l’indispensabile fermezza”, rileva anche il Corriere del Ticino. Si tratta di “comunità musulmane, in qualche caso perfettamente integrate, che faticano però a sentire su di sé le responsabilità di una residenza o di una cittadinanza, a volte concessa con eccessiva facilità, a volte negata troppo a lungo. La zona grigia finisce per essere il naturale retroterra della rete del terrore. Va ridotta con l’inflessibilità delle leggi ma anche con le politiche di inclusione”. 

Secondo il quotidiano ticinese, il terrorismo si batte anche “con un lavoro coordinato di intelligence che purtroppo non c’è ancora. L’ultimo fallimento ieri. La sicurezza resta una questione nazionale, non europea. Lo scambio dei dati insufficiente. Non c’è una posizione unitaria, e più decisa, nei teatri di guerra in cui è in gioco la nostra sicurezza oltre ai nostri interessi. Il terrorismo si contrasta anche mostrando un solo volto nell’affrontare l’emergenza rifugiati, nel gestire con efficacia e fermezza il flusso dei migranti. Una vasta umanità sofferente, che bussa alle nostre porte, nella quale si confondono purtroppo anche criminali e terroristi. Un terreno ideale di coltura di sentimenti anti-occidentali e di pregiudizi etnici e religiosi”. 

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