Una panoplia di misure per contenere il coronavirus
Dalla sua apparizione in Cina all'inizio dell'anno, il coronavirus si è diffuso in tutto il mondo ed è ora presente in almeno 185 Paesi e territori. Panoramica delle misure adottate per contenere la pandemia.
“Vogliamo nuovamente sottolineare che l’alleviamento delle restrizioni non significa la fine dell’epidemia in alcun Paese”. È l’avvertimentoCollegamento esterno lanciato lunedì da Tedros Adhanom Ghebreyesu, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), mentre numerosi Stati in Asia, in Europa e sul continente americano stanno tentando di rilanciare un’attività economica messa in standby da misure di confinamento più o meno restrittive.
Stabilire un palmares dei Paesi che sono riusciti a meglio contenere la propagazione del virus rischia quindi di essere azzardato. Non si può infatti escludere una nuova crescita del numero di contagi nelle nazioni già colpite, come sembra suggerire l’evoluzione in Giappone. Inoltre, ci sono Paesi che non sono ancora stati messi in ginocchio dalla pandemia, ad esempio nel continente africano.
A quattro mesi dall’annuncio della sua apparizione nella megalopoli cinese di Wuhan, il nuovo coronavirus ha suscitato varie reazioni che hanno portato a dei primi risultati contrastati. Antoine FlahaultCollegamento esterno, direttore dell’Istituto di sanità globale all’Università di Ginevra, rammenta che il virus si è diffuso soprattutto nelle zone temperate piuttosto ricche dell’emisfero nord. “I Paesi che sono stati colpiti in pieno dallo tsunami pandemico fanno fatica a resistere, compresi quelli con economie forti e infrastrutture ospedaliere di grande qualità come l’Italia, la Spagna, la Francia o gli Stati Uniti. Hanno difficoltà a farvi fronte, ma per il momento resistono”.
Al contrario, i Paesi che finora hanno resistito meglio sono quelli “del sudest asiatico vicini alla Cina, i quali sono stati i primi a confrontarsi con la minaccia, così come la Germania e in minor misura la Svizzera, che tra i Paesi occidentali sono quelli che probabilmente hanno saputo meglio prevenire e reagire all’arrivo in massa di malati nei letti di rianimazione, limitando finora la mortalità”, sostiene Antoine Flahault.
Da menzionare nell’Asia dell’est anche Stati quali la Corea del Sud e Taiwan (considerata una provincia cinese da Pechino) e la Cina, che è riuscita a contenere la pandemia malgrado il ritardo iniziale e i dati talvolta discutibili comunicati forniti alla comunità internazionale. In Europa, il Portogallo sembra per il momento essere stato relativamente risparmiato, così come la Grecia.
Reagire rapidamente
“Se la Cina avesse preso queste misure una settimana dopo l’apparizione del nuovo coronavirus a Wuhan, probabilmente il virus non si sarebbe diffuso”
Gilles Poumerol, GCSP
L’impressione è quindi che la prosperità e lo sviluppo di un Paese non siano forzatamente una garanzia di successo di fronte all’epidemia. A essere determinante è invece la sua gestione da parte delle autorità. Il ventaglio di misure adottate e la rapidità con cui sono attuate sono fattori decisivi. È constatando il caos provocato dalla Covid-19 nel Nord Italia che la Grecia ha rapidamente messo in atto i primi provvedimenti, consapevole delle debolezze del suo sistema sanitario.
Per i Paesi colpiti dalla pandemia sin dall’inizio, la rapidità della loro reazione è un primo elemento che permette di evitare una saturazione delle strutture ospedaliere e limitare il numero di malati che soccombono al coronavirus.
Provincia cinese per Pechino, l’OMS e la stragrande maggioranza degli Stati, l’isola di Taiwan è stato il primo Stato a reagire. Un piano governativo è stato attivato il 1° gennaio, con l’introduzione di controlli rigorosi delle persone provenienti da Wuhan, il primo focolaio dell’epidemia.
“Instaurando un controllo severo di tutto ciò che arriva sul suo territorio, ciò che è più facile per un’isola, Taipei si è dotata dei mezzi per evitare la reintroduzione del virus”, afferma Gilles PoumerolCollegamento esterno, specialista in sicurezza sanitaria al Geneva Centre for Security Policy (GCSP).
L’individuazione molto precoce di un nuovo virus e l’intervento rapido sul suo focolaio permettono di contenerne la propagazione, come raccomanda il Regolamento sanitario internazionaleCollegamento esterno adottato nel 2005 dall’OMS. “Se la Cina avesse preso queste misure una settimana dopo l’apparizione del nuovo coronavirus a Wuhan, probabilmente il virus non si sarebbe diffuso al di fuori del quartiere in questione”, ritiene Gilles Poumerol.
L’importanza dello screening
Il governo di Taiwan ha optato per la trasparenza, conducendo campagne di prevenzione, operando uno screening su larga scala e isolando i casi sospetti, prevedendo al contempo severe sanzioni per i contravventori. Questa panoplia di misure è stata decisa anche da Stati come Singapore, Corea del Sud e Vietnam. Senza dimenticare la mascherina protettiva, una misura entrata tra le abitudini della popolazione dopo le recenti epidemie e a causa del forte inquinamento nelle città.
“Gli Stati che resistono meglio all’ondata pandemica sono quelli che in un modo o nell’altro hanno saputo associare le misure di confinamento proposte dai cinesi e derivanti dall’esperienza dell’influenza del 1918 a misure molto più moderne”, osserva Antoine Flahault.
Il professore di sanità pubblica cita a questo proposito l’intelligenza artificiale, le tecnologie dell’informazione e la biotecnologia, che permettono lo screening di massa, il tracciamento esteso della popolazione che è stata in contatto con persone testate positive e la separazione fisica tra le persone contagiate e quelle sane. “Ogni volta che questi metodi sono stati combinati, si è reagito alla pandemia con maggiore efficacia rispetto alla semplice adozione del confinamento”, sottolinea Antoine Flahaut.
Grazie alla rapida attuazione di tali provvedimenti, questi Paesi asiatici non hanno finora introdotto severe misure di confinamento, permettendo così all’economia di non fermarsi. Rimarrà da vedere, ovviamente, fino a che punto questi Paesi saranno colpiti dalla recessione mondiale che si sta già materializzando. Inoltre, e malgrado le misure adottate, Singapore ha constatato una ripresa dei casi di contagio, essenzialmente in seno ai 300’000 lavoratori migranti provenienti per la maggior parte da Bangladesh, Cina e India. La città-stato ha quindi deciso, la settimana scorsa, di confinare nei loro dormitori questi lavoratori stranieri dai redditi bassi.
L’incognita africana
Continente di tutte le promesse malgrado le sue numerose debolezze, l’Africa subsahariana non è ancora stata colpita fortemente dalla pandemia di Covid-19. “Nell’Africa occidentale, i casi non sono così elevati come nel Nordafrica. La circolazione internazionale è molto meno importante rispetto ad altri continenti. Per ora, sono soprattutto le persone con un accesso privilegiato ai viaggi internazionali a essersi ammalate”, annota il dottor Chibuzo Okonta, presidente dell’associazione Medici senza frontiereCollegamento esterno nell’Africa occidentale e centrale.
Ma i casi stanno comunque iniziando ad aumentare in alcune grandi città. Il clima caldo e umido che caratterizza gran parte del continente non sembra quindi essere un fattore che frena la progressione del virus, ritiene Chibuzo Okonta, secondo cui incide molto di più la giovane età dei suoi abitanti (finora il Sars-CoV-2 colpisce gravemente soprattutto gli ammalati anziani). L’età mediana in Africa è di 19,7 anni, mentre è di 42,2 anni in Europa e in Corea del Sud, di 37,1 in Cina e di 34,3 a Singapore.
Altro motivo di speranza è il fatto che i Paesi africani, come quelli asiatici, hanno già affrontato delle epidemie. “Malgrado tutto ciò che si può dire dei sistemi sanitari della regione, sono gli unici che hanno già vissuto degli choc simili alla pandemia attuale. Questi Paesi faranno un triage migliore. Hanno già riflettuto su come aumentare il numero di letti, estendere le superfici ospedaliere e accogliere i malati in occasione delle epidemie di ebola, ma pure di colera o meningite”.
Curare l’economia
Il suo timore riguarda le misure di confinamento che non hanno molto senso, quando dieci persone vivono nello stesso locale. “Gli artigiani, gli operai e la grande maggioranza della popolazione che pratica un mestiere devono uscire per poter lavorare e guadagnarsi da vivere. Le autorità devono fissare in anticipo le date di entrata e di uscita dal confinamento per permettere alla gente di organizzarsi”, sottolinea Chibuzo Okonta.
Se non si cura l’economia con la salute, s’interroga il medico, chi si occuperà ad esempio dei milioni di rifugiati e di sfollatCollegamento esternoi che vivono nella regione? “Bisogna quindi assicurare la sicurezza dei mercati, equipaggiarli per potersi lavare le mani. Queste misure hanno funzionato in passato, come in Liberia all’epoca dell’epidemia di ebola”.
Traduzione dal francese: Luigi Jorio
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