Mary Robinson: “Tutti hanno diritti umani fondamentali”
Quando nel 1997 accettò l'incarico di Alta Commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani, Mary Robinson aveva già alle spalle una carriera stellare.
Cresciuta nell’Irlanda degli anni Cinquanta, unica bambina di cinque figli, Mary Robinson ricorda di aver dovuto “sgomitare”, anche se i genitori le avevano assicurato che non sarebbe stata trattata diversamente dai suoi fratelli. All’interno della sua famiglia è in effetti stato così, ma al di fuori, nella società irlandese, le cose erano diverse.
Studiando giurisprudenza a Dublino, Robinson si batté per la fine del divieto di divorzio, per la legalizzazione della contraccezione e per la depenalizzazione dell’omosessualità. Nel 1969, a soli 25 anni, entrò in politica come membro del Senato irlandese e dagli scranni parlamentari portò avanti le sue battaglie. Ma cercare di legiferare suoi ideali era ben diverso dal discuterne all’università.
Per tutto il 2023, SWI swissinfo.ch ha celebrato il 75° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, un insieme di principi rivoluzionari e anche – curiosamente – il documento più tradotto al mondo. L’attuale Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, descrive la Dichiarazione come “un documento trasformativo… in risposta agli eventi catastrofici della Seconda guerra mondiale”.
SWI swissinfo.ch ha intervistato tutti gli ex Alti Commissari delle Nazioni Unite per i diritti umani (una carica talvolta considerata la più difficile dell’ONU) per conoscere le loro esperienze, i loro successi e le difficoltà incontrate.
Ci fu “un’incredibile indignazione”, ricorda. “Ho ricevuto lettere molto inquietanti”. Imperterrita, ha continuato ad andare avanti, portando persino alcuni casi alla Corte europea dei diritti umani. Nonostante le opposizioni, ha goduto di un’enorme popolarità e nel 1990 è diventata la prima presidente donna dell’Irlanda.
Esperta, abituata alle critiche e instancabile sostenitrice dei diritti e delle libertà fondamentali: chi meglio avrebbe potuto scegliere il Segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan come prossimo Commissario per i diritti umani? Eppure, Mary Robinson esitò. “Tutti i miei amici bene informati dicevano: ‘Sai Mary, non dovresti accettare quel lavoro'”.
Umiliazione, stanchezza e perseveranza
Lei li ignorò e nel 1997 accettò la nomina. Ben presto le riserve dei suoi amici si dimostrarono giustificate. Il suo primo viaggio fu in Ruanda, dove un genocidio aveva da poco provocato quasi un milione di vittime. La popolazione ruandese ricordava il fallimento delle Nazioni Unite nel prevenire la violenza e Mary Robinson, che in precedenza era stata accolta in Ruanda in qualità di presidente irlandese, ricorda: “Quando sono arrivata come funzionaria dell’ONU mi hanno in un certo senso umiliata”.
Imperterrita, dal Ruanda si recò in Uganda e poi in Sudafrica (dove Nelson Mandela era diventato un suo buon amico). Di ritorno in Irlanda, si sentì esausta e demotivata, al punto da non volere nemmeno vedere la sua famiglia.
“Ricordo di aver pensato: ‘in un qualche modo riuscirò a farcela. Questo lavoro è impossibile, ma in un modo o nell’altro ce la farò’. Poi è andata meglio”.
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Alcuni successi e molte sfide
Mary Robinson decise che il modo migliore per promuovere il lavoro delle Nazioni Unite in materia di diritti umani fosse recarsi nel maggior numero possibile di Paesi. Andò nuovamente in Africa, visitò la Cina – cosa che la maggior parte dei funzionari ONU per i diritti umani non è mai riuscita a fare – e persino il Tibet.
Poi arrivò un evento che molti speravano avrebbe permesso alle Nazioni Unite di brillare: la Conferenza mondiale contro il razzismo, tenutasi a Durban, in Sudafrica, nel 2001.
Mary Robinson si recò a Teheran per un incontro preparatorio, e fu lì che le cose cominciarono a mettersi male. Non solo non fu lei a scegliere di tenere quell’incontro in Iran, ma non condivise nemmeno la formulazione del documento finale, una parte del quale è stata considerata antisemita.
Nella tipica tortuosa burocrazia dell’ONU, le formulazioni controverse sono state messe tra parentesi quadre, il che significa che non erano state concordate e, secondo Robinson, “non lo sarebbero mai state”. Ciononostante, Israele e l’ONU erano furiosi. La conferenza di Durban iniziò con una controversia e si concluse con una disfatta, con il ritiro sia degli Stati Uniti sia di Israele.
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Ancora oggi, Mary Robinson sente il dolore e la frustrazione di Durban. Il documento finale della conferenza, sostiene, era visionario e stabiliva i principi per la lotta al razzismo da parte delle Nazioni Unite. Ma alcuni media della stampa statunitense e israeliana la accusarono di essere antisemita, cosa che, a suo dire, era talmente lontana dalla verità che non riuscì nemmeno a difendersi.
Mary Robinson ha lasciato l’incarico di Alta Commissaria delle Nazioni Unite nel 2002, ma continua a dedicarsi ai diritti umani, ora con una particolare attenzione ai cambiamenti climatici.
“I diritti umani sono la risposta. Dobbiamo capire che tutti hanno questi diritti umani fondamentali e che tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti”.
Traduzione di Luigi Jorio
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