Che il popolo dica a chi vendere le armi
Un anno fa, la decisione del governo svizzero di permettere l'esportazione d'armi anche verso paesi in guerra aveva sollevato un polverone. Alcuni mesi dopo, una coalizione di partiti di centro-sinistra e di ONG ha lanciato un'iniziativa popolare per "correggere" quella decisione. Lunedì l'iniziativa è stata ufficialmente inoltrata.
I retroscena
Nel giugno 2018 il Consiglio federale, dando seguito alle pressanti richieste dell’industria bellica, aveva annunciato di voler modificare l’Ordinanza sul materiale bellicoCollegamento esterno al fine di permettere, a determinate condizioni, l’esportazione di armi anche verso paesi coinvolti in una guerra civile.
La misura, giustificata dal governo con la necessità di salvaguardare le capacità produttive nel settore degli armamenti, ha suscitato un’ampia levata di scudi nella società civile e in ambienti politici di sinistra e di centro.
La polemica è stata alimentata anche da un rapporto del Controllo federale delle finanze che criticava la qualità delle verifiche sulle esportazioni di materiale bellico e da varie inchieste giornalistiche sulla presenza di armi svizzere in aree di guerra.
Perché è stata lanciata l’iniziativa?
Della questione si è occupato anche il parlamento: con una mozioneCollegamento esterno, il Partito borghese democratico (PBD) ha chiesto di inserire i criteri sull’esportazione di armi nella Legge federale sul materiale bellicoCollegamento esterno, anziché fissarli nell’ordinanza,
La proposta equivaleva a sottrarre al governo le competenze sui criteri per la vendita all’estero di materiale bellico, per conferirle al parlamento e, in ultima istanza, permettere alle elettrici e agli elettori di esprimersi attraverso un referendum facoltativo.
Nel settembre 2018 la mozione è stata approvata dal Consiglio nazionale (camera del popolo). In dicembre il Consiglio degli Stati (camera dei cantoni) ha però deciso di rinviare la discussione sulla mozione. Quella decisione è stata il fattore scatenante per il lancio dell’iniziativa, nonostante il governo fosse nel frattempo tornato sui suoi passi, rinunciando alla modifica dell’ordinanza.
Cosa chiede l’iniziativa?
L’iniziativa popolare “contro le esportazioni di armi nei paesi in guerra civile” (chiamata comunemente “iniziativa di correzione”) mira a iscrivere direttamente nella Costituzione federale i criteri per l’esportazione di materiale bellico.
In particolare il testoCollegamento esterno dell’iniziativa vieta l’esportazione in paesi coinvolti in conflitti armati interni o internazionali, salvo se si tratta di paesi democratici, con una regolamentazione sulle esportazioni di armi simile a quella svizzera, o che agiscono su mandato dell’ONU.
Sono inoltre esclusi dalle esportazioni d’armi i paesi che violano sistematicamente i diritti umani o dove c’è il rischio grave che le armi siano utilizzate contro la popolazione civile o siano rivendute a paesi terzi.
Iscrivendo i criteri per l’esportazione d’armi nella Costituzione, l’iniziativa persegue obiettivi simili a quelli della mozione del PDB (nel frattempo definitivamente respinta dal Consiglio degli Stati), vale dire che mira a sottoporre a un controllo democratico da parte del parlamento o del popolo l’applicazione concreta della legge sul materiale bellico.
Iniziativa lampo
Sull’onda dell’indignazione seguita agli intenti del Consiglio federale, l’iniziativa ha potuto contare su un terreno molto fertile per la raccolta di firme. Prima ancora del lancio dell’iniziativa, circa 50’000 persone avevano aderito a un appello dell’Alleanza contro l’esportazione di armi nei paesi in guerra civile, impegnandosi a contribuire alla raccolta di firme.
Un ruolo importante ha avuto anche la piattaforma wecollect, che permette di aderire online a un’iniziativa, stampando poi il formulario per la firma. Nel giro di soli sei mesi, 134’000 persone hanno firmato l’iniziativa. Per riuscire, un’iniziativa popolare deve raccogliere 100’000 firme in 18 mesi.
La raccolta di firme è stata dunque molto rapida, ma non abbastanza da costituire un record. Nel 1992 l’iniziativa contro l’acquisto degli aerei da combattimento F/A-18 aveva raccolto nel giro di un mese l’adesione di mezzo milione di persone. Il testo era stato comunque respinto in votazione popolare l’anno successivo.
In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.
Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.