Meglio irritare il popolo oppure l’Ue?
Il governo svizzero deciderà prossimamente se intende limitare l'afflusso di manodopera dai paesi dell’Unione europea. L'attivazione della cosiddetta “clausola di salvaguardia” lo pone però di fronte a un interrogativo: la sua decisione irriterà i cittadini svizzeri oppure Bruxelles?
Dal punto di vista giuridico la situazione è chiara. Se l’immigrazione di manodopera dai paesi dell’Ue dovesse raggiungere una certa soglia – come sarà il caso a fine aprile – il Consiglio federale può invocare la clausola di salvaguardia e introdurre così dei contingenti all’immigrazione. Questa possibilità è prevista dall’accordo bilaterale sulla libera circolazione delle persone concluso tra Berna e Bruxelles.
A livello politico, la situazione è al contrario complessa e delicata. In caso di rinuncia alla clausola di salvaguardia, un’ampia fetta della popolazione vedrà nel governo un collegio di indecisi che si pone sotto la tutela dell’Ue e che ne anticipa le esigenze, invece di considerare seriamente le preoccupazioni dei suoi cittadini.
Se per contro il Consiglio federale deciderà di porre un freno all’immigrazione, sarà l’Ue ad irritarsi. E ciò in un periodo in cui alcune questioni istituzionali irrisolte già pesano sulle relazioni bilaterali. Un anno fa, quando la Svizzera ha attivato la clausola di salvaguardia per otto Stati membri dell’Europa dell’est, vi sono state vive reazioni nei paesi interessati. Agli occhi dell’Ue, si è trattato di una violazione del principio della non discriminazione.
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In Svizzera, il governo rischia di apparire come un perturbatore della crescita economica. Il ricorso alla clausola di salvaguardia potrebbe inoltre essere interpretato come il segnale che l’immigrazione viene considerata un problema.
Obiettivamente, con o senza la clausola di salvaguardia, la proporzione di stranieri che vivono in Svizzera non dovrebbe variare di molto. I contingenti possono infatti essere aggirati tramite dei permessi di soggiorno di breve durata. L’esperienza fatta con i paesi dell’Europa dell’est l’ha chiaramente dimostrato: le cifre dell’immigrazione da questi paesi non sono praticamente cambiate con l’attivazione della clausola.
In base all’accordo sulla libera circolazione, la clausola di salvaguardia potrà essere invocata soltanto fino al 31 maggio 2014 per i 25 primi Stati dell’Ue (fino al 31 maggio 2019 per Bulgaria e Romania).
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La minaccia delle urne
Questo strumento per contenere l’immigrazione in Svizzera non fa l’unanimità. Il Partito socialista lo considera «un valium per la popolazione», mentre la Società svizzera degli impresari costruttori parla di un «placebo».
Ma allora perché tanto accanimento attorno a tale “placebo”? La ragione è da ricercare nell’iniziativa popolare “Contro l’immigrazione di massa”, lanciata dall’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice).
Il popolo elvetico si esprimerà sulla proposta di limitare annualmente il numero di permessi di dimora nel giugno 2014, ovvero poco dopo la scadenza della clausola di salvaguardia. Un anno più tardi, l’elettorato sarà nuovamente chiamato alle urne per decidere dell’estensione della libera circolazione delle persone alla Croazia, prossimo membro dell’Ue.
In entrambe le votazioni sarà il futuro delle relazioni bilaterali tra Berna e Bruxelles ad essere in gioco. L’iniziativa dell’UDC esige infatti l’introduzione di contingenti e una regolamentazione più severa dell’immigrazione, ciò che si scontrerebbe con i principi dell’accordo concluso con l’Ue. Anche un eventuale rifiuto di estendere la libera circolazione alla Croazia rimetterebbe in discussione l’accordo.
Un assist all’UDC?
Il Consiglio federale, la maggioranza borghese in parlamento, i socialisti, i verdi, le associazioni economiche e i sindacati intendono evitare il naufragio delle relazioni con l’Ue.
Sussistono però divergenze su come agire. La clausola di salvaguardia non risolverà i problemi legati alla libera circolazione delle persone, ritengono ad esempio i socialisti. Inoltre, la clausola giungerà a scadenza poche settimane prima della votazione, ciò che potrebbe creare un vuoto regolamentare e favorire così i promotori dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa.
La decisione che deve prendere il governo è delicata, commenta Michael Hermann, geografo e politologo all’Università di Zurigo. «Deve tuttavia dimostrare di aver fatto tutto il possibile per ammortizzare gli effetti della libera circolazione. Deve dimostrare che continuerà a fare pressione sull’Ue affinché si possano trovare soluzioni specifiche per la Svizzera».
Mentre gran parte dell’Europa è in crisi, la Svizzera mantiene la sua prosperità, ciò che attira diversi lavoratori stranieri.
Nel gennaio 2013 il numero di nuovi immigrati dall’Ue-17 è cresciuto di quasi il 33% rispetto a un anno prima. Per i cittadini dell’Ue-8 (Europa dell’est), l’incremento è stato di circa il 50%.
In gennaio, 5’550 immigrati dell’Ue-17 hanno ottenuto un’autorizzazione di dimora prolungata. Si tratta del più grande afflusso mensile dall’inizio del 2009.
Il principale paese di provenienza è la Germania, seguito da Italia, Portogallo, Francia e Spagna.
In totale, oltre 79’000 lavoratori dell’Ue-17 e 13’500 dell’Ue-8 sono giunti in Svizzera tra il febbraio 2012 e il gennaio 2013.
Se la tendenza al rialzo si confermerà anche a fine aprile, la Svizzera potrebbe attivare la clausola di salvaguardia per tutti i paesi dell’Ue.
La clausola potrebbe anche essere applicata per i soggiorni di breve durata (permessi L), nel caso in cui il numero di domande dovesse aumentare di oltre 15’200 unità tra il 1. maggio 2012 e il 30 aprile 2013.
Mancanza di personale qualificato
Il governo prenderà ben presto la sua decisione. Le opzioni a suo favore sono diverse. Può ad esempio prolungare di un anno la clausola di salvaguardia nei confronti dei paesi dell’Europa dell’est oppure estenderla a tutti gli altri membri dell’Ue.
I partiti politici e i diversi gruppi d’interesse hanno già manifestato le loro posizioni. I partiti borghesi chiedono un’estensione della clausola ai primi 25 paesi dell’Ue. La sinistra, i sindacati, l’associazione dei contadini, l’unione delle arti e dei mestieri, così come le associazioni ombrello del settore alberghiero e dell’economia, sono invece di avviso contrario.
«In un contesto economico che continua a essere difficile e di fronte a una penuria persistente di manodopera specializzata, le aziende, le regioni periferiche e l’agricoltura avranno difficoltà a reclutare lavoratori», scrive economiesuisse.
L’applicazione della clausola di salvaguardia, avverte la Federazione delle imprese svizzere, «peserebbe considerevolmente sulle relazioni bilaterali con l’Ue».
Agire con serietà
«In linea di massima trovo positivo che ci sia un dibattito tra le élite politiche ed economiche», afferma Michael Hermann facendo riferimento alle diverse posizioni dell’economia e dei partiti vicino agli ambienti economici.
«Se l’economia dovesse rinunciare a sostenere la libera circolazione delle persone, sarebbe come affermare che non si tratta di un buon progetto dal punto di vista economico», osserva l’esperto.
In vista dei prossimi scrutini, sottolinea Michael Hermann, è importante che i conflitti vengano posti sul tavolo. «La popolazione deve poter rendersi conto che si agisce con serietà e che le sue preoccupazioni non sono prese alla leggera».
Il presidente della sezione internazionale del Partito liberale radicale François Baur si è detto contrario all’attivazione della clausola di salvaguardia.
In un’intervista alla radio svizzero tedesca, il belga residente nella Confederazione ha affermato che la limitazione dell’immigrazione potrebbe «offuscare in modo duraturo» i rapporti tra Berna e Bruxelles.
A subirne le conseguenze sarebbero pure i 430’000 cittadini svizzeri che lavorano, studiano o risiedono nell’Unione europea. François Baur teme in particolare intralci amministrativi e limitazioni della mobilità.
Traduzione dal tedesco di Luigi Jorio
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