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Michelle Bachelet: La Dichiarazione universale è “sufficientemente buona”

Michelle Bachelet
Michelle Bachelet è stata Alta Commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani dal 2018 al 2022. Illustration: Helen James / SWI swissinfo.ch

Michelle Bachelet è stata Alta Commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani per quattro anni, fino all'agosto 2022. Il suo mandato è stato segnato da molte sfide, dalla pandemia di Covid-19 all'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, fino alle forti pressioni per la pubblicazione di un rapporto sul trattamento riservato dalla Cina alla popolazione uigura.

Michelle Bachelet sa bene cosa sono le violazioni dei diritti umani. Da giovane ha assistito al colpo di Stato militare di Augusto Pinochet in Cile e alla violenta repressione che ne è seguita.

Suo padre fu arrestato e, in seguito a torture, morì d’infarto in prigione. Successivamente, lei e sua madre furono arrestate e portate nella famigerata Villa Grimaldi di Santiago, un centro di detenzione gestito dalla polizia segreta cilena.

Per tutto il 2023, SWI swissinfo.ch ha celebrato il 75° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, un insieme di principi rivoluzionari e anche – curiosamente – il documento più tradotto al mondo. L’attuale Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, descrive la Dichiarazione come “un documento trasformativo… in risposta agli eventi catastrofici della Seconda guerra mondiale”.

SWI swissinfo.ch ha intervistato tutti gli ex Alti Commissari delle Nazioni Unite per i diritti umani (una carica talvolta considerata la più difficile dell’ONU) per conoscere le loro esperienze, i loro successi e le difficoltà incontrate.

Nessuna delle due sapeva cosa fosse successo all’altra. Bachelet ricorda di essersi concentrata sul tentativo di “essere il più forte possibile, di non fallire e di non… confessare cose che potrebbero danneggiare altre persone”.

Alla fine, furono rilasciate entrambe, ma la dittatura cilena proseguì. Bachelet continuò a lavorare, come medico e anche in politica. Quando finalmente tornò la democrazia, fu pronta a servire il suo Paese, prima come ministra del Governo e poi, non una ma due volte, come presidente.

Esperienza politica

Perché passare da capo del Governo a un incarico di alto livello alle Nazioni Unite? In realtà, tra i due mandati di presidente del Cile, Bachelet aveva già lavorato presso l’Ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile (UN Women) e quindi non era estranea all’organizzazione internazionale. Oggi è convinta che la sua esperienza politica sia stata molto utile per il suo lavoro nei diritti umani alle Nazioni Unite.

“Potevo mettermi nei panni di chi prendeva quelle decisioni e cercavo di pensare a quali argomenti potessero convincerli a rispettare i diritti umani. Non è solo la cosa giusta da fare, ma anche la cosa più intelligente”, dice.

Altri sviluppi

La pressione della Cina

Bachelet è forse ricordata soprattutto per le pressioni subite per la pubblicazione di un rapporto delle Nazioni Unite sulle condizioni nella provincia cinese dello Xinjiang, dove i gruppi per i diritti umani hanno affermato che Pechino ha internato fino a un milione di persone di etnia uigura in “campi di rieducazione”, separando i bambini e le bambine dai genitori e costringendo le donne a sottoporsi a sterilizzazione.

Il rapporto è stato ritardato per mesi, mentre le diverse parti in causa (compresa la Cina) discutevano sul suo contenuto. Bachelet ricorda di essere stata sollecitata quasi quotidianamente a rimandare o a pubblicare il documento.

”Dicevo loro: se mi chiedete di non pubblicarlo, domani un altro grande Paese mi chiamerà e mi dirà: pubblicalo! Quindi l’unica cosa che posso fare è tornare a casa. Perché devo fare il mio lavoro”, ricorda.

Alla fine, a mezzanotte meno cinque del suo ultimo giorno di mandato, Bachelet ha pubblicato il rapporto. Era un documento duro, che suggeriva che la Cina stava commettendo possibili crimini contro l’umanità.

Black Lives Matter

Se la Cina ha dominato il periodo in cui Bachelet era in carica, c’è un’altra questione per cui l’ex funzionaria dell’ONU dovrebbe essere ricordata: il suo lavoro sui diritti delle persone di origine africana.

L’uccisione di George Floyd da parte di un agente di polizia statunitense ha suscitato indignazione in tutto il mondo. A Ginevra, l’ufficio dell’Alta Commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani ha fornito sostegno e una piattaforma alle famiglie di coloro (e sono molti) che sono stati uccisi in modo simile. Tra queste persone c’era Philonise Floyd, il fratello di George Floyd, che si è rivolto al Consiglio dei diritti umani nel 2020.

Michelle Bachelet ha pubblicamente tracciato un collegamento tra l’eredità della schiavitù e del colonialismo e la discriminazione sistemica delle persone di origine africana. Ha chiesto un risarcimento per “secoli di violenza e discriminazione”.

Questo appello porterà a qualcosa di concreto? “Non lo so”, è la sua sincera risposta, ma almeno, ritiene, il dibattito è iniziato.

E che ne sarà della Dichiarazione universale ora che ha 75 anni? Bachelet è diffidente nei confronti degli appelli a cambiarla per riflettere la nuova consapevolezza dell’uguaglianza e dell’identità. La Dichiarazione, sottolinea, già dice “tutti i popoli, tutte le persone, tutti sono inclusi. Questo è sufficiente”.

“La Dichiarazione universale continua a essere valida. Dà uno standard minimo di come possiamo vivere insieme”, dice.

Traduzione di Luigi Jorio

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