Migranti europei, “parassiti” del sistema sociale?
La libera circolazione non ha portato in Svizzera unicamente forza lavoro straniera, ma anche un numero crescente di disoccupati, denuncia l'Udc. Se la destra conservatrice parla di un "turismo del welfare", le autorità si vogliono rassicuranti e sottolineano l’impatto positivo della migrazione sullo Stato sociale.
«La libera circolazione delle personeCollegamento esterno era pensata per permettere ai cittadini europei di venire a lavorare in Svizzera. Oggi però vi è un numero crescente di persone che, spinte dalla crisi, arriva nel nostro paese anche senza un contratto oppure che vi rimane anche dopo aver perso l’impiego. E questo a spese dello Stato sociale», osserva il deputato dell’Unione democratica di centro (Udc, destra conservatrice), Guy Parmelin.
Il cosiddetto “turismo sociale” è uno dei temi sensibili della campagna dell’Udc per la sua iniziativa «contro l’immigrazione di massa», in votazione il 9 febbraio. E, seppur con toni diversi, occupa il dibattito politico anche in Gran Bretagna e Germania.
“Turismo sociale”, un concetto contestato
Cifre alla mano, diamo uno sguardo alla situazione elvetica. Dall’entrata in vigore degli accordi bilaterali nel 2002, la Svizzera ha accolto oltre 700’000 stranieri in più sul proprio territorio, di cui circa il 60% in provenienza dall’Europa. A crescere però non è stata unicamente la forza lavoro straniera, ma anche il numero di cittadini europei disoccupati e in assistenza.
La disoccupazione in cifre
Nel 2013, la Svizzera ha registrato un tasso di disoccupazione medio del 3,2%, contro il 2,9% del 2012.
– Svizzeri: 2,2% (+0,1)
– Stranieri: 6,0% (+0,5)
Tra i cittadini provenienti dai 27 paesi membri dell’Ue, la proporzione di senza lavoro era del 5,2% (+0,7%).
– Portoghesi: 7,5% (+0,9)
– Francesi: 6,1% (+0,6)
– Spagnoli: 5,8% (+1,2)
– Italiani: 4,7% (+0,4)
– Tedeschi: 3,6% (+0,4)
(Fonte: Segreteria di Stato all’economia)
Un aumento che fa rima con abuso? Per gli addetti ai lavori l’uso di questo termine è fuori luogo. «Non abbiamo notato un vero fenomeno di “turismo sociale”. La maggior parte dei lavoratori europei ha già un contratto di lavoro in mano quando arriva in Svizzera», afferma Marcel Suter, presidente dell’Associazione dei servizi cantonali di migrazione (ASM).
Dello stesso avviso anche Michel Cornut, direttore del Servizio sociale di Losanna, una delle città svizzere più toccate dalla migrazione e dalla povertà.
«I casi di abusi manifesti, persone che ad esempio si organizzano per fa venire tutta la famiglia e poi finiscono in assistenza, esistono ma sono marginali. È però chiaro che l’aumento della presenza di lavoratori stranieri ha come corollario il fatto che alcuni possano trovarsi in situazione di difficoltà, anche perché spesso occupano posti più precari. E allora chiedono aiuto».
Disoccupazione e assistenza: chi ne ha diritto?
Per far capo allo Stato sociale non c’è bisogno di fare i furbi. Gli accordi bilaterali in questo senso parlano chiaro. Un italiano che arriva in Svizzera con un contratto a durata indeterminata ha diritto a un permesso di soggiorno di cinque anni, rinnovabile. Se perde l’impiego, può far ricorso all’assicurazione disoccupazione (dimostrando di aver lavorato almeno 12 mesi negli ultimi due anni) e in caso di necessità anche all’assistenza sociale.
Per Guy Parmelin, coloro che non contribuiscono più dovrebbero rientrare al proprio paese in tempi brevi, invece di «pesare sullo Stato sociale. Spesso, però, non hanno alcun interesse a farlo».
Nel 2012, erano poco più di 35’000 i cittadini dell’Ue 27 in assistenza, ossia il 3,1%. L’indigenza non è però una ragione sufficiente per revocare un permesso di soggiorno, spiega Marcel Suter, anche se può comprometterne il rinnovo.
La situazione è invece diversa per chi varca la frontiera in cerca di lavoro. In questo caso, il permesso accordato è di un massimo di sei mesi e la legge non prevede un diritto all’assistenza sociale, com’è invece la norma nell’Unione europea. Alcuni comuni prevedono tuttavia una forma di aiuto per le persone più bisognose. Un prassi contestata da più parti e che, a poche settimane dal voto, il Consiglio federale ha annunciato di voler combattere con l’introduzione di una legge ad hoc.
L’assistenza sociale in cifre
Nel 2012, in Svizzera 250’333 persone hanno beneficiato di prestazioni di aiuto sociale, ossia il 3,1% della popolazione. Le persone di nazionalità straniera sono maggiormente confrontate al rischio povertà, perché spesso hanno un livello di formazione più basso, una famiglia più numerosa e un impiego più precario. Stando all’Ufficio federale di statistica, nel 2012 il tasso di assistenza sociale tra la popolazione straniera era del 6,3% contro il 2,6% degli svizzeri. Tra i cittadini dell’Unione europea, la percentuale era invece del 3,1%, pari alla media nazionale.
(Fonte: Statistica svizzera dell’aiuto sociale 2012 – Ufficio federale di statistica)
Lo spettro dei contratti fittizi
Vi è poi una nota stonata, sulla quale fa leva l’Udc e sono i cosiddetti casi di totalizzazione. Teoricamente, spiega la Segreteria di Stato dell’economia (SECO), un cittadino francese o tedesco potrebbe aver lavorato un solo giorno in Svizzera e far capo alla disoccupazione. Sempre che abbia contribuito almeno un anno in un paese europeo.
«Questi casi sono tutti a carico della Confederazione e il bilancio per le assicurazioni sociali è dunque nettamente negativo», denuncia il parlamentare Udc Guy Parmelin, per il quale il sospetto di contratti fittizi è quantomeno legittimo.
Stando alle cifre della SECO, però, nel 2013 questa possibilità è stata colta unicamente da 1’800 persone, il 2,5% dei 73’318 nuovi arrivati. I casi sono in aumento, ma restano contenuti. La Confederazione ha tra l’altro aumentato i controlli e la collaborazione tra i vari uffici per cercare di scovare eventuali contratti fittizi e abusi alle assicurazioni sociali.
Quale impatto sulle assicurazioni sociali?
La SECO si vuole dunque rassicurante. L’aumento della disoccupazione resta nella norma e l’impatto globale della migrazione sulle assicurazioni sociali è positivo. «L’immigrazione europea ha permesso di rallentare l’invecchiamento della popolazione e quindi di alleviare il problema del finanziamento delle assicurazioni sociali», scrive la portavoce Isabel Herkommer. Senza la migrazione, il primo pilastro del sistema pensionistico svizzero, l’AVS, sarebbe deficitaria dal 1992.
Pensioni finanziate dai migranti?
Stando a un rapporto dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali, dal 2001 al 2010, il contributo dei cittadini dell’Ue all’AVS, il primo pilastro del sistema pensionistico svizzero, è salito dal 18,5 al 22%. Quello degli svizzeri è invece sceso dal 75,2 al 72,8%. Nel 2012, i cittadini europei hanno beneficiato unicamente del 15% delle prestazioni del primo pilastro. All’ora attuale, tuttavia, le autorità federali giudicano «impossibile fare un pronostico attendibile e preciso» sugli effetti dell’immigrazione sui costi futuri delle rendite.
(Fonte: Ufficio federale delle assicurazioni sociali)
Per quanto riguarda l’assicurazione disoccupazione, prosegue la SECO, si nota un «sostanziale equilibrio» tra contributi versati e prestazioni ricevute.
Nulla di cui preoccuparsi, dunque? Non proprio, sottolinea Michel Cornut del Servizio sociale di Losanna. «Ogni aumento del numero di persone all’assistenza sociale, siano esse svizzere o straniere, è da considerare preoccupante. Stando al Governo, la libera circolazione delle persone ha portato più vantaggi che svantaggi. Ma ci sono anche degli effetti collaterali, come l’aumento netto della povertà, e non bisogna negarli».
Scettico, Guy Parmelin ritiene che queste cifre non rispecchino la realtà e non prendano in considerazione lo scenario di una possibile recessione dell’economia elvetica. «Siamo di fronte a una bomba a scoppio ritardato. Tra 30 o 40 anni i migranti europei che ora contribuiscono a finanziare le nostri pensioni avranno diritto a una rendita. Chi la pagherà? La migrazione in realtà non fa che ritardare le misure necessarie per far fronte all’invecchiamento della popolazione».
Per ora la Svizzera sembra comunque essere il paese che ha approfittato di più della libera circolazione delle persone. Questo per lo meno è quanto afferma uno studio dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico in Europa (OCSE) e riportato dalla NZZ am Sonntag. Se si deducono i costi amministrativi, per le infrastrutture e la socialità imputabili agli immigrati, alle entrate nette sotto forma di tasse e altri prelievi, il saldo per la Svizzera ammonta a 6,5 miliardi di franchi. La battaglia delle cifre, insomma, non è ancora finita.
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