La democrazia diretta non conquista Emmanuel Macron
"Il modello svizzero è inadeguato", afferma Emmanuel Macron. La concezione che il presidente francese ha del "referendum" è all'opposto di quella dei "gilet gialli".
Nel “grande dibattito nazionale” lanciato da Macron, uno dei quattro temi principali verte sulla democrazia e la cittadinanza. Occorre più democrazia diretta nella Repubblica francese, centralizzata, dove i cittadini votano solo per eleggere i propri rappresentanti? Dall’inizio della crisi dei “gilets jaunes”, la Svizzera e la sua iniziativa popolare federale sono considerate un modello, o almeno una fonte di ispirazione.
“La Francia non è la Svizzera e la Svizzera non funziona così bene come si pensa”, ha dichiarato Emmanuel Macron al settimanale francese Le Point. “Il modello svizzero è inadeguato”, ha aggiunto il presidente della Repubblica francese. “Del resto, gli svizzeri, come ha detto non so più chi, iniziano sempre con domande di sinistra e finiscono con risposte di destra”.
“Con questo tipo di argomentazioni, la riflessione sulla democrazia diretta non andrà molto lontano”, reagisce lo storico e politologo vodese Olivier Meuwly. Domande di sinistra per risposte di destra? “Macron non ha completamente torto, se si osserva la storia svizzera del XX secolo in generale: le iniziative, che spesso venivano dalla sinistra, la maggior parte delle volte sono state rifiutate dal popolo”.
Altri sviluppi
Cos’è un’iniziativa popolare o dei cittadini?
“Ma occorre relativizzare i commenti del presidente francese, continua Meuwly. In primo luogo, il partito di destra UDC (Unione democratica di centro) ha fatto largo uso dell’iniziativa popolare negli ultimi vent’anni. E soprattutto, anche quando falliscono, le iniziative lasciano dei segni. Le soluzioni che emergono sono spesso più centriste, più moderate. Le iniziative popolari alimentano continuamente il dibattito politico”.
Modello non importabile
Per Macron, le differenze politiche tra la Svizzera e la Francia sono troppo grandi perché il sistema elvetico possa essere copiato. In Svizzera “c’è un sistema confederale, con una presidenza a rotazione, con equilibri politici molto diversi”, ha sottolineato il presidente. “Siamo un popolo violento, da secoli e secoli. La Francia non è la Svizzera”.
“È vero che la democrazia diretta in Svizzera è frutto di almeno 150 anni di storia, osserva Olivier Meuwly. Qualsiasi importazione diretta del modello svizzero sarebbe pericolosa”. Gli strumenti di democrazia istituiti in Svizzera alla metà del XIX secolo “si ispirano sia al romanticismo delle comunità alpine che al razionalismo dell’Illuminismo”, spiega lo storico.
Condorcet, inventore dell’iniziativa popolare
Da una parte la Landsgemeinde, dall’altra…. Condorcet. Un francese! Inventore, o meglio ispiratore dell’iniziativa popolare così come è stata formalizzata in Svizzera nel XIX secolo.
Nel febbraio 1793, quasi un mese dopo l’esecuzione di re Luigi XVI, che l’aveva rifiutata, l’ex enciclopedista Nicolas de Condorcet presenta alla Convenzione un progetto di costituzione. Essa contempla il diritto di “petizione” e di “censura” che consente ad ogni cittadino di presentare una proposta legislativa. Se l’idea di tale francese medio è sostenuta dal suo comune e poi dal suo dipartimento, il parlamento nazionale deve occuparsene.
Ed è qui che le cose si complicano. Se la decisione del parlamento non piace a un cittadino, questi può far convocare l’intera nazione, che voterà a favore o contro. Il parlamento è sconfessato? I deputati faranno le valigie: revocati! E ineleggibili per diversi anni.
Curioso antenato dell’iniziativa popolare e del referendum facoltativo elvetici, il diritto di “petizione” e “censura” di Condorcet per finire non fu adottato nella Costituzione rivoluzionaria del 1793. Ma Ginevra e San Gallo, in particolare, vi si ispireranno quando estenderanno i diritti politici, ricorda la giurista Anne-Cécile MercierCollegamento esterno.
La diffidenza verso i parlamentari
Condorcet è diffidente nei confronti dei rappresentanti del popolo. “Gli uomini si sono così abituati ad obbedire ad altri uomini che la libertà è, per la maggior parte di loro, il diritto di essere sottomessi solo a padroni scelti da loro stessi”, commenta.
Oggi, in Francia, si riscontra la stessa sfiducia nei confronti dei politici eletti. Ne è un esempio Etienne Chouard, una delle fonti di ispirazione dei “gilet gialli”. Il professore, che si è fatto conoscere nel referendum del 2005 sulla Costituzione europea con una campagna per il “no”, sostiene che “eleggere è abdicare la propria sovranità”.
Etienne Chouard, come la maggior parte dei “gilets jaunes”, si batte per l’introduzione di un referendum d’iniziativa cittadina. Il famoso RICCollegamento esterno, iscritto sul dorso dei manifestanti, permetterebbe ai cittadini non solo di modificare la Costituzione, ma anche di adottare leggi (dopo un voto nazionale) e di destituire un magistrato eletto.
Il buon vecchio plebiscito bonapartista
“Il RIC mi irrita”, ha avvertito il primo ministro Edouard Philippe in occasione del “grande dibattito”. Per il momento, nelle sue soluzioni alla crisi del “gilet gialli”, il governo non prevede di aprire la Quinta Repubblica alla democrazia diretta. Poco importa se il suo inventore era francese.
Durante una sessione del grande dibattito di giovedì 7 febbraio in Borgogna, Emmanuel Macron non ha però chiuso completamente la porta al referendum d’iniziativa cittadina. A condizione che sia accompagnato da “regole” e “limiti”.
Visibilmente, il presidente francese preferisce il buon vecchio referendum “bonapartista”. Per offrire una via d’uscita istituzionale al “grande dibattito”, Macron prevede di indire un referendum il 26 maggio prossimo, ossia il giorno delle elezioni europee. I francesi dovrebbero votare su diversi quesiti: si deve ridurre il numero dei deputati, limitare il numero dei loro mandati, eccetera.
Questo referendum “imposto dall’alto” – già stato praticato da diversi presidenti della Quinta Repubblica, da Charles De Gaulle a François Mitterrand – “è il diniego stesso della democrazia diretta”, lamenta Olivier Meuwly.
Il referendum d’iniziativa condivisa
Nel 2008, l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy e la sua maggioranza di destra hanno dato vita al “référendum d’initiative partagée” (RIP, referendum d’iniziativa condivisa). Esso parte sia dall’alto che dal basso, poiché richiede l’accordo di un quinto dei parlamentari e il sostegno di almeno un decimo degli elettori iscritti, ovvero circa 4,7 milioni di francesi. Nessuno l’ha mai usato.
Lo scorso dicembre, il deputato del partito Les Républicains, Julien Aubert, ha depositato un disegno di legge costituzionale per rendere più democratico il RIP di Sarkozy. Il numero di firme è stato ridotto a 1,5 milioni, a cui si deve aggiungere il sostegno di quattro parlamentari di quattro gruppi diversi.
(Traduzione dal francese: Sonia Fenazzi)
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