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Nessun tetto per il divario salariale in Svizzera

Il popolo svizzero ha rifiutato di imporre un limite di 1:12 al divario salariale all'interno delle aziende Keystone

L’elettorato svizzero ha rifiutato seccamente domenica di imporre un limite massimo alla differenza tra lo stipendio più basso e quello più alto all’interno di ogni azienda. Chiaro anche il no agli sgravi per la custodia dei figli e all’aumento della tassa autostradale. La mobilitazione è stata superiore alla media.

Due terzi dei votanti e tutti i cantoni hanno respinto l’iniziativa “1:12 – Per salari equi”. Lanciata dalla Gioventù socialista e sostenuta dalla sinistra e dai sindacati, chiedeva che all’interno di ogni impresa lo stipendio più elevato potesse essere al massimo pari a 12 volte quello più basso. L’idea era che nessuno in un’azienda potesse guadagnare di più in un mese di quanto riceve il dipendente meno pagato in un anno.

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Pur essendo delusi dalla sconfitta – peraltro ampiamente pronosticata dai sondaggi –, i promotori non perdono le speranze per il futuro. “Il sistema economico dei salari a sette cifre e della speculazione finanziaria non ha avvenire”, dichiara in una nota il presidente della Gioventù socialista, David Roth, che promette un impegno “con tutte le forze per un’economia giusta, per più democrazia e più libertà”.

Verdi e socialisti rilevano che il dibattito ha consentito di evidenziare il malcontento di buona parte della cittadinanza nei confronti di rimunerazioni esorbitanti di certi alti dirigenti. Sinistra e sindacati avvertono che il capitolo sui salari non si chiude: ora il dibattito si sposta su quelli minimi, affermano.

Per i partiti di destra e di centro e le organizzazioni padronali, il risultato del voto è invece la prova che gli svizzeri non vogliono una statalizzazione del mercato del lavoro. Il messaggio di partiti borghesi e organizzazioni padronali allude chiaramente anche all’intervento dello Stato nella fissazione dei salari minimi. E il Partito liberale radicale, in un comunicato, invita a non abbassare la guardia: “Anche in futuro sarà importante combattere in modo conseguente gli attacchi della sinistra contro il modello di successo svizzero”.

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Ancora due fronti aperti nella guerra dei salari

Questo contenuto è stato pubblicato al Oltre che ad impedire le rimunerazioni giudicate eccessive, l’iniziativa “1:12 – Per salari equi” aveva pure lo scopo di aumentare gli stipendi più bassi. Un obiettivo che resta perseguito da un’altra iniziativa: quella “Per la protezione di salari equi”, lanciata dall’Unione sindacale svizzera (USS), attualmente al vaglio del parlamento. Essa prevede l’introduzione di un salario minimo…

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Ascoltare il popolo

Un’interpretazione condivisa dal ministro dell’economia Johann Schneider-Amman, secondo il quale, il netto no uscito dalle urne costituisce un segnale forte in vista della votazione sull’introduzione di un salario minimo di 4000 franchi. Il popolo ha chiaramente mostrato che tiene al partenariato sociale e a una regolamentazione liberale del mercato del lavoro, ha affermato.

Ciò nonostante, il ministro liberale radicale ha invitato le grandi aziende ad ascoltare la volontà popolare, e soprattutto a non trascurare l’opinione espressa da una minoranza che si oppone alle eccessive retribuzioni versate ai manager. “Ho più volte ripetuto nel corso della campagna che non approvo le retribuzioni eccessive pagate ad alcuni dirigenti”.

Semaforo rosso per l’aumento della “vignetta”

Rifiutato dal 60,5% dei votanti e da tutti i cantoni anche l’aumento del prezzo del bollino da applicare sul parabrezza dei veicoli per circolare sulle autostrade elvetiche, da 40 a 100 franchi all’anno. Il risultato netto è una sorpresa rispetto ai sondaggi della vigilia, che vedevano i due fronti quasi in parità e facevano presagire una corsa sul filo di lana.

Il massiccio rincaro avrebbe dovuto consentire di finanziare l’inserimento di quasi 400 chilometri di strade cantonali nella rete stradale nazionale e la costruzione di alcune nuove.

I promotori del referendum contro la modifica approvata dal parlamento esultano. Il secco rifiuto popolare è interpretato dall’Associazione svizzera dei trasportatori stradali come “un segnale chiaro contro l’estorsione di cui sono vittime gli automobilisti”. “Miliardi pagati dagli automobilisti sono utilizzati per finanziare le ferrovie, volevamo impedire che diventasse l’unica categoria a pagare per tutto”, ha dichiarato dal canto suo alla televisione svizzera tedesca il parlamentare UDC Thomas Aeschi.

Per motivi molto diversi si rallegrano anche gli ecologisti, che avevano combattuto l’aumento per impedire che vi fossero più soldi a disposizione per la costruzione di nuove strade. Gli ambientalisti chiedono una tassa basata sul principio di chi inquina paga, al posto di quella forfettaria annuale. Ciò “consentirebbe di canalizzare intelligentemente la mobilità, riducendola a vantaggio del clima”.

Alla ricerca di alternative

A quanto pare “non siamo riusciti a mostrare l’importanza di questo aumento per i cantoni: il prezzo della vignetta resta immutato, un eventuale aumento è al momento fuori discussione e circa 400 chilometri di strade cantonali non passeranno sotto la gestione federale”, ha commentato la ministra dei trasporti Doris Leuthard.

Riferendosi alle proposte emerse dagli ambienti ecologisti, il governo federale intende elaborare un progetto legato al tema del “Mobility Pricing”, ha annunciato la ministra.

Niente sgravi per la custodia dei figli

Se l’iniziativa 1:12 e l’aumento del prezzo del contrassegno autostradale sono stati travolti in tutti i cantoni, l’iniziativa che chiedeva una deduzione fiscale per i genitori che accudiscono personalmente i figli “almeno equivalente” a quella accordata ai genitori che li affidano alla custodia di terzi, ha avuto un’accoglienza popolare di poco migliore. La proposta dell’Unione democratica di centro (UDC, destra) è stata respinta dal 58,5% dei votanti e a livello di cantoni solo Uri, Svitto e Appenzello hanno detto sì.

Per i sostenitori dell’iniziativa, si trattava di eliminare la discriminazione dei genitori che rinunciano a un’attività professionale per occuparsi direttamente dei figli. Per gli avversari, invece, sarebbe stato un un segnale in favore di un “modello di famiglia del secolo scorso con la donna casalinga e l’uomo sostentatore della famiglia”.

Tra gli altri partiti, solo quello evangelico e una forte minoranza di popolari democratici sostenevano la proposta dell’UDC. Essa non ha sedotto nemmeno il mondo economico: le maggiori organizzazioni imprenditoriali erano contrarie perché, a loro avviso, avrebbe rimesso in questione la conciliazione tra lavoro e famiglia e portato a un eccessivo calo delle entrate fiscali.

La vice-presidente dell’UDC Nadja Pieren ha reagito domenica alla televisione svizzera tedesca dicendosi rammaricata che a prevalere siano stati gli argomenti finanziari. Peccato, ha detto, perché non bisogna contrapporre le varie forme di famiglia: tutte vanno sostenute. Non ha vinto la giustizia e sono delusa, ha concluso.

La polarizzazione suscitata dai tre temi in votazione, con l’iniziativa “1:12 – Per salari equi” a fare da locomotiva, ha dato un impulso alla partecipazione, che è stata del 53,6%. Una proporzione nettamente più elevata della media del 44% degli ultimi vent’anni e il record degli ultimi cinque anni. Dal 2008 ad oggi, il tasso più alto era stato registrato nella votazione del 29 novembre 2009, con il 53,4%.

Allora erano in gioco due iniziative che avevano infiammato gli animi: quella che chiedeva di vietare le esportazioni di materiale bellico e quella per proibire la costruzione di nuovi minareti in Svizzera. La prima era stata bocciata con il 68,2% di no e da tutti i cantoni, mentre la seconda era approvata con il 57,5% di sì e l’avallo di 19 cantoni e mezzo.

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