Obama: un segnale forte per la politica climatica internazionale
Con il Clean Power Plan, il piano per le energie pulite annunciato lunedì da Barack Obama, gli Stati uniti potrebbero riprendere la leadership mondiale nel campo della protezione del clima, ritengono molti commentatori della stampa svizzera. La svolta energetica annunciata dal presidente americano, che sarà combattuta dai repubblicani, apre nuove prospettive per il Vertice sul clima di Parigi.
„Il progetto di Obama è esemplare“, sostengono il Tages-Anzeiger e il Bund nel loro commento comune, per i quali, con il Clean Power Plan, il governo americano comincia seriamente a trasformare il suo approvvigionamento energetico e a compiere “un passo avanti credibile verso la protezione del clima”.
Clean Power Plan
Con il Clean Power Plan, il presidente americano Barack Obama ha presentato lunedì una serie di regole ambientali per abbattere le emissioni di gas serra e per promuovere le energie pulite.
Il nuovo piano dovrebbe permettere di ridurre le emissioni di CO2 (diossido di carbonio) degli impianti energetici del 32% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2005.
Entro il 2030 le emissioni di SO2 (anidride solforosa) degli impianti energetici dovranno essere del 90% più bassi rispetto al 2005 e quelle di NOx (ossidi di azoto) dovranno essere più basse del 72%.
Le nuove regole dovrebbero portare alla chiusura delle centrali a carbone e al potenziamento degli impianti solari ed eolici.
I singoli Stati dovranno presentare i loro piani per raggiungere questi obiettivi entro il 2016 e la versione finale dei loro progetti entro il 2018.
L’amministrazione Obama stima che un cambiamento della politica energetica e climatica possa avere anche benefici sulla salute pubblica, stimati tra 34 e 54 miliardi di dollari all’anno.
“La sostituzione delle centrali a carbone con forme energetiche più pulite è la strada che gli scienziati invitano a imboccare già da molto tempo. La combustione del carbone produce infatti le più grandi emissioni di CO2. Rispetto al progetto di legge, la versione finale va ancora più lontano: le nuove norme dovrebbero spingere i produttori di energia ad investire maggiormente nel solare e nell’eolico, piuttosto che nelle centrali a gas, le quali non avranno più alcun futuro in una società post-fossile”, aggiungono i due giornali.
Con questo piano, “Obama invia un segnale forte anche a livello di politica climatica internazionale. Ora aumentano le chance di convincere, oltre all’UE e alla Cina, anche altri paesi emergenti, come il Brasile e l’India, ad accettare un accordo sul clima efficace”, prevedono il Tages-Anzeiger e il Bund, rilevando come l’obbiettivo di ridurre di un 2% annuo le emissioni di CO2 fino al 2025, stabilito ora dagli Stati uniti, vada perfino oltre quanto fissato dalla Svizzera.
Leadership globale
È un ritorno all’Obama del ‘Yes, we can!’, ritiene la Neue Zürcher Zeitung, per la quale, nel suo penultimo anno alla Casa Bianca, il presidente americano vuole provare che il suo famoso motto elettorale “rimane ancora valido, nonostante molta disillusione, numerose lacune, errori e cose incompiute”.
“La nuova politica climatica dovrebbe dimostrare che gli Stati uniti, grazie a Obama, sono ancora in grado di assumere una leadership globale – senza far ricorso alle truppe”, prosegue il foglio zurighese, ricordando però come il primo tentativo del presidente americano di imprimere una svolta in campo energetico si sia arenato rapidamente alcuni anni fa.
Da allora la “politica ambientale è diventata uno di quei settori, in cui Obama ha tentato di governare tramite decreti amministrativi, invece di progetti di legge, che sarebbero stati respinti o messi in un cassetto dal Congresso”, rileva la Neue Zürcher Zeitung, facendo notare che negli Stati uniti “la politica climatica interessa un numero crescente di persone, ma non rappresenta un criterio determinante a livello elettorale”.
Guerra contro il carbone
“Coloro che criticano le nuove direttive per la protezione del clima parlano, non completamente a torto, di una guerra contro il carbone”, scrive la Südostschweiz. “Obama non deve prendere queste critiche come una protesta giustificata, ma piuttosto come un riconoscimento. Il coro di reazioni dei contrari alla protezione del clima mostra che le nuove regolamentazioni potrebbero essere effettivamente efficaci.
Anche per il quotidiano della Svizzera sud-orientale, questa iniziativa costituisce “il più vasto tentativo lanciato finora da Obama per riportare gli Stati uniti all’avanguardia internazionale nella protezione del clima. Ciò che lascia ben sperare per il Vertice di Parigi sul clima, in programma in dicembre. Dopo che anche i cinesi hanno promesso di fare di più, le prospettive per un accordo su nuovi obbiettivi climatici a partire dal 2020, dopo la scadenza del Protocollo di Kyoto, non sono mai state così buone”.
Scioglimento globale dei ghiacciai
Dall’inizio del 21° secolo, i ghiacciai si stanno sciogliendo in questi ultimi anni più velocemente che mai, hanno avvertito lunedì gli esperti del World Glacier Monitoring Service (WGMS), che ha sede presso l’Università di Zurigo.
Secondo il servizio, che raccoglie dati da oltre 120 anni sulle variazioni dei ghiacciai, la situazione è la stessa ovunque sulla Terra e il fenomeno è destinato a continuare, anche se il cambiamento climatico dovesse prendere una pausa.
“Allo stato attuale, i ghiacciai sotto osservazione perdono tra i 50 centimetri e 1 metro all’anno,” ha indicato Michael Zemp, direttore del WGMS. Si tratta di due a tre volte più della media corrispondente nel 20° secolo.
“Questa tendenza è stata misurata su alcune centinaia di ghiacciai”, ha aggiunto Zemp. “Ma secondo le immagini satellitari a nostra disposizione, il fenomeno senza precedenti colpisce decine di migliaia di ghiacciai in tutto il mondo”.
Mancanza di tempo
Obama ha manifestato l’intenzione di ritornare sul fronte della politica climatica nazionale e internazionale, da cui si era allontanato negli ultimi anni, ricorda anche Le Temps, per il quale il presidente americano ha preferito finora “evitare di sprecare le sue energie su un fronte così difficile come quello del clima, dove si scontrava con opposizioni multiple e mancava di mezzi di pressione”.
“Oggi l’equazione è però cambiata”, ritiene il giornale romando. “Mentre si avvicina ormai alla fine del suo mandato, Obama non corre più gli stessi rischi e può permettersi più facilmente di provocare gli avversari. Nel settore del clima, come in quello delle relazioni internazionali, per imporre dei limiti alle emissioni di CO2, come per avviare un dialogo con l’Iran e Cuba”.
Ma questa sua ultima manovra “soffre di una grave difetto”, avverte Le Temps. “La battaglia si annuncia pesante contro avversari che hanno già comunicato la loro intenzione di condurre una guerriglia giudiziaria per bloccare il progetto di Obama. Il presidente americano si ritrova così privato di uno dei principali ingredienti per avere successo: il tempo. Se il suo partito perde la prossima corsa alla Casa Bianca, la sua crociata rischia di rimanere allo stadio dello show”.
La svolta contestata di Obama
“La battaglia è solo agli inizi”, prevede anche il Corriere del Ticino, “in quanto come si è visto molti repubblicani, soprattutto i candidati alle presidenziali del 2016, non faranno nessuno sconto a Obama e lo attaccheranno duramente anche su questo fronte. Non basteranno dunque l’entusiasmo degli ambientalisti, gli apprezzamenti dell’Unione europea e quelli delle Nazioni Unite a fare del piano Obama contro i cambiamenti climatici un progetto vincente e realmente applicabile negli USA”.
Lo scontro infatti non è solo politico, ma anche economico, prosegue il giornale ticinese. “In gioco non vi è solo uno sviluppo sostenibile per le generazioni future, come piace sottolineare al capo della Casa Bianca, ma anche investimenti per miliardi di dollari. Se vincerà il piano Obama buona parte dei futuri investimenti USA nel campo energetico andranno a beneficio dei produttori di energie rinnovabili, se invece si imporrà lo scetticismo e l’ostruzionismo dei repubblicani, nell’economia statunitense, e non solo in quella, il carbone, l’oro nero e altre sostanze inquinanti continueranno a farla da padrone ancora per numerosi anni”.
“Dietro questa battaglia, squisitamente economica, sullo sfondo continuerà anche il duello tra chi, come la maggior parte dei climatologi, ritiene che i mutamenti climatici siano conseguenza dell’attività umana, e chi invece continua a credere che nell’atmosfera si possano continuare ad emettere senza problemi milioni di tonnellate di gas nocivi”.
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Il governo svizzero vuole operare una grande svolta energetica e ridurre di almeno il 70% le emissioni di CO2 entro il 2050. Se l’obbiettivo è chiaro, il cammino rimane incerto. Il progetto di fiscalità ecologica, proposto dal Consiglio federale per raggiungere questo traguardo, non raccoglie consensi tra i maggiori partiti.
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Le grandi potenze vogliono giungere a un accordo globale sul clima per il periodo post 2020. A sei mesi dalla Conferenza di Parigi, rimangono tuttavia profonde divergenze. E gli obiettivi di riduzione delle emissioni presentati finora, tra cui quelli svizzeri, sollevano dubbi da più parti.
Il 2015 deciderà le condizioni di vita dei nostri figli e nipoti. Esagerato? Forse. Sta però di fatto che per molti responsabili politici ed esperti climatici, la Conferenza internazionale di Parigi di dicembre rappresenta una tappa decisiva per definire il futuro (climatico) del pianeta. L’obiettivo è un’intesa universale e vincolante per contenere il riscaldamento globale a 2°C rispetto alla media preindustriale.
Riscaldamento climatico in cifre
Emissioni mondiali: nel 2014 sono rimaste stabili (a 32,3 miliardi di tonnellate) rispetto all’anno precedente, indica l’Agenzia internazionale dell’energia, che spiega questa pausa con gli sforzi della Cina per ridurre il ricorso al carbone e sviluppare le energie rinnovabili.
Concentrazione di CO2: nel marzo di quest’anno ha raggiunto il valore record di 400 ppm (parti per milione). La concentrazione era di 354 ppm nel 1990 e di 359 nel 2000.
Principali emettitori: Cina e Stati Uniti sono responsabili del 45% delle emissioni mondiali.
Temperatura media terrestre: dal 1880 è crescita di 0,86°C (1,75°C in Svizzera). Quattordici dei quindici anni più caldi della storia sono stati registrati nel XXI secolo e il 2014 è stato l’anno più caldo mai misurato.
Dall’ultimo round negoziale, chiusosi la settimana scorsa a Bonn, sono giunti segnali positivi, rileva Bruno Oberle, a capo dell’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM). «Per la prima volta è chiaro che praticamente tutte le parti, compresi Stati Uniti, Unione europea e Cina, vogliono concludere un accordo a Parigi», indica Bruno Oberle in una risposta scritta a swissinfo.ch. Gli elementi chiave dell’accordo, tra cui l’obbligo di stabilire obiettivi vincolanti di mitigazione del cambiamento climatico, si stanno delineando in modo sempre più evidente, sottolinea.
«Sussistono però ancora grandi divergenze», puntualizza Oberle. Due sostanzialmente le principali questioni aperte: la forma giuridica del futuro accordo e la ripartizione degli sforzi di riduzione delle emissioni tra i vari paesi. «Devono avere tutti gli stessi obblighi oppure bisogna fare una distinzione tra i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo? E in caso di differenziazione, va mantenuto il regime che considera la Cina o Singapore tra i paesi in via di sviluppo, oppure bisogna tenere conto delle realtà, delle responsabilità e delle capacita attuali e future di ognuno?», s’interroga il responsabile dell’UFAM.
Dimezzare le emissioni entro il 2030
In vista di Parigi, tutti i 196 paesi membri della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici sono chiamati a presentare i propri impegni di riduzione (INDC, contributi nazionali volontari di riduzione delle emissioni) per il periodo post 2020. Se giudicati adeguati, verranno inclusi nell’accordo universale.
Nel mese di febbraio di quest’anno, la Svizzera è stato il primo paese ad annunciare i suoi obiettivi. Il governo elvetico si è fissato una riduzione del 50% entro il 2030 (rispetto ai valori del 1990) e del 70-85% entro il 2050.
Finora, sono una quarantina i paesi ad aver sottoposto i loro contributi volontari. Tra questi:
- Unione europea (28 Stati membri): riduzione di almeno il 40% entro il 2030 (rispetto al 1990) e dell’80-95% entro il 2050.
- Stati Uniti: riduzione del 26-28% entro il 2025 (rispetto al 2005). Riduzione dell‘80% entro il 2050.
- Russia: riduzione del 25-30% entro il 2030 (rispetto al 1990).
All’appello mancano ancora alcuni grandi emettitori, tra cui India e Brasile, che presenteranno i loro INDC non prima di ottobre. Molto atteso è soprattutto il programma di riduzione della Cina, il principale “inquinatore” al mondo, che alcuni mesi fa ha annunciato l’intenzione di voler raggiungere il picco di emissioni entro il 2030.
Le promesse non bastano
I contributi attualmente sul tavolo sono in linea con le raccomandazioni dell’IPCC. Gli esperti climatici delle Nazioni Unite ritengono che le emissioni dovrebbero ridursi del 40-70% entro il 2050, se si vuole limitare a 2°C il rialzo della temperatura terrestre. Un obiettivo riconosciuto anche dai paesi più industrializzati, che durante l’ultimo vertice del G7 si sono impegnati in favore di una “decarbonizzazione” dell’economia entro la fine del secolo.
Tuttavia, secondo il gruppo di monitoraggio indipendente Climate Action Tracker (CAT), le grandi economie industrializzate non stanno facendo abbastanza. Nel suo ultimo rapporto di inizio giugno, il CAT rileva che le attuali politiche dei paesi del G7 e dell’Ue riusciranno soltanto a stabilizzare, ma non a ridurre, le emissioni entro il 2030. Sulla base delle attuali promesse, l’aumento della temperatura terrestre sarà compreso tra 3,6 e 4,2°C, prevede il CAT, che parla di conseguenze «spaventose».
A tirare il campanello di allarme è pure l’organizzazione non governativa Oxfam. Nel suo nuovo rapporto evidenzia che cinque dei sette paesi del G7 hanno accresciuto il ricorso al carbone dal 2010. E quelli che non l’hanno fatto, Stati Uniti e Canada, hanno sostituito il carbone con altri combustibili fossili, sottolinea Oxfam.
Anche la Svizzera deve fare di più
I ricercatori del CAT puntano il dito anche contro la Svizzera. Nella loro valutazione, il contributo elvetico è giudicato «medio», ciò che significa che non è compatibile con il mantenimento del riscaldamento al di sotto dei 2°C. Inoltre, aggiungono, con le politiche e le misure attualmente in atto, la Svizzera non sarà in grado di soddisfare i propri impegni in materia di clima.
Un’analisi che conferma le valutazioni dell’Alleanza climatica, osserva Patrick Hofstetter, responsabile del dossier climatico ed energetico presso WWF Svizzera. Le riduzioni fissate dal governo elvetico sono «insufficienti e inaccettabili», dice. «La Svizzera non deve limitarsi alle raccomandazioni dell’IPCC, che concernono le emissioni globali. I paesi altamente industrializzati, che dispongono di tecnologie e di una migliore governance rispetto a paesi in via di sviluppo o emergenti, devono fare di più», insiste Patrick Hofstetter.
In una petizione sottoscritta da oltre 100'000 persone, l’Alleanza climatica chiede alla Svizzera una riduzione del 60% entro il 2030 e un abbandono completo delle energie fossili entro il 2050. Il settore dei trasporti e le economie domestiche offrono un ampio margine di riduzione, sostiene Patrick Hofstetter. «Oltre il 40% degli edifici continuano a essere riscaldati con olio combustibile e le statistiche mostrano che in due terzi dei casi i vecchi riscaldamenti non vengono sostituiti con sistemi più rispettosi del clima, come pompe a calore, impianti solari o caldaie a legno in pellet», osserva Hofstetter.
A lasciare perplesso il collaboratore del WWF è in particolare l’atteggiamento delle autorità svizzere. Il dossier climatico non è più prioritario, sostiene. «È abbastanza scioccante notare che negli INDC della Svizzera, il governo non abbia indicato come intende agire sul territorio nazionale», afferma Patrick Hofstetter. Il Consiglio federale ha comunicato di volersi basare «sulle strategie e le misure esistenti», come la tassa sul CO2 prelevata sui combustibili o il programma di risanamento degli edifici. Una bozza della sua politica climatica nazionale per il periodo 2021-2030 non sarà però pronta prima dell’anno prossimo.
Gli INDC della Svizzera sono chiari, trasparenti e ambiziosi, ribatte Bruno Oberle. Il direttore dell’UFAM rammenta che le emissioni pro capite sono sotto la media europea e che la produzione di elettricità (acqua e atomo) in Svizzera è oggi quasi a emissioni zero. «Anche per questi motivi il potenziale di riduzione della Svizzera è limitato», sottolinea.
10 giorni di trattative
A sei mesi dalla conferenza di Parigi, il negoziatore elvetico Franz Perrez si dice fiducioso. «Nella capitale francese si potrà concludere un accordo climatico con obblighi per tutti i paesi», si legge in una recente intervista al quotidiano bernese Der Bund.
Il tempo però stringe. Ai negoziatori rimangono soltanto dieci giorni di trattative ufficiali, in settembre e ottobre, per elaborare il testo che servirà da base per la storica intesa.
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