Philippe Lazzarini: “Il carburante è ormai sinonimo di vita a Gaza”
Il capo dell'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, Philippe Lazzarini, lancia l'allarme sulla mancanza di carburante a Gaza, utilizzato sia per produrre acqua che per far funzionare gli ospedali. L'agenzia umanitaria rischia di dover sospendere gli aiuti alla Striscia. Intervista.
Il capo dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, Philippe Lazzarini, lancia l’allarme sulla mancanza di carburante a Gaza, utilizzato sia per produrre acqua che per far funzionare gli ospedali. L’agenzia umanitaria rischia di dover sospendere gli aiuti alla Striscia. Intervista.
Il capo dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA), lo svizzero Philippe Lazzarini, era a Ginevra giovedì per denunciare le conseguenze letali dell’assedio imposto da Israele alla Striscia di Gaza.
Dal momento che il personale umanitario della sua organizzazione ha subito pesanti perdite, egli ritiene che nell’enclave palestinese non vi sia alcun luogo sicuro. Lo abbiamo incontrato per un’intervista.
SWI swissinfo.ch: Lunedì ha dichiarato che, in assenza di forniture di carburante, l’UNRWA avrebbe cessato le sue operazioni umanitarie a Gaza entro 48 ore. Qual è la situazione oggi?
Philippe Lazzarini: Non abbiamo più carburante per la produzione di acqua potabile. Due grandi impianti di acqua potabile e di desalinizzazione hanno dovuto chiudere, privando circa il 70% della popolazione del sud di Gaza dell’acqua potabile. Giovedì mattina, la municipalità di Rafah [Gaza meridionale] ci ha informato che i generatori per le pompe di trattamento delle acque reflue non funzionavano più.
Di conseguenza, l’acqua sta iniziando a riversarsi in strada. Abbiamo lanciato l’allarme due giorni fa, annunciando che alcuni servizi sarebbero cessati, ed è quello che sta accadendo. Sappiamo che la mancanza di accesso all’acqua potabile e alle fognature è un terreno fertile per le epidemie.
Dobbiamo agire ora. Oggi il carburante è sinonimo di vita: permette di produrre acqua, di far funzionare gli ospedali e di cuocere il pane nei panifici. Più aspettiamo, più l’assedio di Gaza diventerà la principale causa di morte nella Striscia.
In termini concreti, venerdì non avrete abbastanza carburante per le vostre operazioni…
Potremmo ancora avere i mezzi venerdì, ma non sabato, per scaricare i camion al terminal di Rafah [n.d.t.: valico di frontiera tra Egitto e Gaza attraverso il quale entrano gli aiuti]. Ma non saremo in grado di inviare i camion dai nostri magazzini merci alle varie scuole dove abbiamo dei rifugi.
Per il momento, il carburante ricevuto [da Israele] ci permette solo di effettuare la manutenzione tra l’arrivo dei convogli dal lato egiziano al terminal di Rafah e i nostri magazzini.
L’UNRWA è la principale organizzazione umanitaria a Gaza. Com’è stata la situazione per le vostre squadre sul campo nelle ultime settimane?
Abbiamo 13’000 dipendenti palestinesi nella Striscia di Gaza. Sono completamente storditi da questa sorta di terremoto. Le loro vite sono cambiate completamente da un giorno all’altro. Oggi gli e le abitanti di Gaza vedono sempre meno il loro futuro nella Striscia.
In quindici anni hanno vissuto sei guerre. Ma questa è davvero una di troppo, la più distruttiva. Oggi, ogni civile che può permetterselo o che trova un modo per lasciare la Striscia, a mio avviso, non esita a farlo.
Manca anche il carburante per le telecomunicazioni. Riuscite ancora a comunicare con le vostre squadre?
Sì, perché i nostri manager a Gaza hanno telefoni satellitari e sono quindi collegati a una rete diversa. Ma non possono più comunicare con le loro squadre sul posto, il che rende le nostre operazioni estremamente difficili, se non impossibili. Perché senza coordinare i movimenti, senza “deconflittare”, cioè senza avvisare le autorità militari israeliane sul terreno, i movimenti delle nostre squadre diventano estremamente pericolosi.
103 operatori umanitari dell’UNRWA sono stati uccisi dal 7 ottobre. Un numero senza precedenti per le Nazioni Unite. È ancora possibile lavorare in sicurezza a Gaza?
Non c’è sicurezza a Gaza. Non esiste un luogo sicuro. È l’unico posto al mondo dove le persone in fuga dalla guerra non possono attraversare i confini e non hanno un posto dove andare. Finora si sono recate nelle strutture dell’ONU e dell’UNRWA. Ma oggi la nostra capacità di accoglienza è completamente satura.
E anche le nostre strutture sono state sottoposte al fuoco di razzi e missili. Più di 60 sono state danneggiate, più di 60 persone sono state uccise e centinaia ferite. Quindi anche le strutture delle Nazioni Unite non sono il rifugio sicuro che si pensava fossero.
800’000 persone frequentano le scuole dell’UNRWA. Siete in grado di coprire i loro bisogni?
No. Gli aiuti umanitari entrano con il contagocce nella Striscia di Gaza. La maggior parte delle persone è partita all’ultimo minuto, si è lasciata tutto alle spalle ed è arrivata senza nulla. Non c’è più un mercato locale, non sono disponibili beni di prima necessità.
C’è un’alta concentrazione di persone nel sud della Striscia, che è due volte più sovraffollata di prima. Le condizioni igieniche sono spaventose. Immaginate di essere 800 persone per un solo bagno. Bisogna aspettare tre ore prima di poterci andare e non c’è acqua.
Oggi cerchiamo di occuparci dell’essenziale: l’acqua. È spaventoso vedere un bambino che elemosina qualche gocce d’acqua con i propri occhi. È come se, in meno di 24 ore, gli fosse stato tolto il diritto a un minimo di dignità.
Mercoledì il Consiglio di sicurezza ha adottato una risoluzione che chiede pause e corridoi umanitari. Dopo il fallimento di diverse risoluzioni, questa è una buona notizia.
Avremmo preferito una risoluzione già all’inizio. Ma anche adesso è la benvenuta perché chiede pause umanitarie ripetute, che speriamo siano sempre più lunghe per aprire la strada a un vero cessate il fuoco.
Chiede inoltre che gli aiuti umanitari siano proporzionati ai bisogni che sono stati individuati e che vengano forniti in modo ininterrotto e incondizionato. Su questo punto, quindi, le organizzazioni umanitarie sono state ascoltate.
Ora si tratta di capire come garantirne l’attuazione. I prossimi giorni ci diranno se il tanto atteso carburante potrà entrare a Gaza.
In aprile, lei ha dichiarato a SWI swissinfo.ch che “il crescente divario tra aspettative e risorse potrebbe portare all’implosione dell’UNRWA”. Ora le aspettative sono ancora più alte, così come le esigenze. Avete le risorse per affrontare questa crisi?
No, non abbiamo abbastanza risorse. Ma tutti si aspettano che l’UNRWA svolga un ruolo importante; oggi, in questa crisi umanitaria senza precedenti a Gaza, ma forse anche domani altrove, se il conflitto dovesse estendersi, cosa che non speriamo che accada. L’UNRWA svolge un ruolo cruciale anche in Cisgiordania, Gerusalemme Est, Libano, Giordania e Siria.
Se pensiamo alla situazione dopo l’assedio, ci si aspetta che l’UNRWA sia l’agenzia più adatta a rispondere ad alcune esigenze critiche del servizio pubblico, come l’istruzione o l’assistenza primaria.
Dobbiamo quindi essere coerenti. A mio avviso, è nell’interesse collettivo avere un’UNRWA stabile. E per farlo, dobbiamo garantirne il finanziamento.
Lei è a capo dell’UNRWA da tre anni. Ha una vasta esperienza nella regione. Questa è senza dubbio la peggiore crisi che abbia mai affrontato…
È estremamente difficile perché le emozioni sono molto forti. E proprio per questo, nessuno è in grado di ascoltare l’altra parte. E questo è uno dei motivi per cui ho ricordato a tutti i leader che sono venuti nella regione, che ci hanno fatto visita, che si sta aprendo un abisso tra questa parte del mondo e l’Occidente. È importante fare il punto sull’entità di questo divario.
È ora di dimostrare che l’empatia per il dolore non ha gerarchie. Dovrebbe essere espressa allo stesso modo, sia per una famiglia di ostaggi in Israele sia per le persone civili palestinesi che hanno perso la famiglia o la prole.
A mio parere, non appena iniziamo ad avere due livelli di empatia, apriamo anche la strada a due livelli di diritto umanitario, a due livelli di vittime e a una divisione che diventerà assolutamente infernale.
A cura di Virginie Mangin
Traduzione dal francese: Sara Ibrahim
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