«La libertà degli svizzeri include il diritto a possedere un’arma»
La Società per un diritto liberale sulle armi (Pro Tell) è stata di recente al centro dell’attenzione mediatica, dopo la polemica scoppiata in seguito all'affiliazione del neoeletto ministro Ignazio Cassis. Durante l’assemblea generale, i membri hanno dichiarato la loro ferma opposizione a un inasprimento della legge sulle armi e si sono detti pronti a lanciare un referendum.
“Tell, Guglielmo”, si legge sull’esemplare della tessera di membro appesa all’ingresso dell’Hotel National a Berna. Una tessera necessaria per chiunque voglia assistere all’assemblea generale straordinaria di Pro TellCollegamento esterno, la Società per un diritto liberale sulle armi. All’entrata, i partecipanti ricevono una serie di documenti, tra cui la rivista Schweizerzeit, vicina all’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice), e un cavatappi con il logo del partito. I 255 membri presenti sabato 28 ottobre sono per lo più uomini, così come l’intero comitato.
L’assemblea comincia con l’inno nazionale svizzero. Ad eccezione di due membri del comitato, nessuno sembra cantare, anche perché le diapositive con il testo del salmo vengono proiettate in ritardo. Una panne tecnica quasi simbolica dei disguidi interni che hanno caratterizzato la lobby svizzera delle armi lo scorso anno: nell’autunno del 2016, il presidente di lungo corso si è dimesso con effetto immediato, denunciando un vero e proprio putsch. A fine giugno 2017, il suo successore (ad interim) e l’intero comitato sono stati destituiti. È a questo punto che Hans-Peter Wüthrich, brigadiere in pensione, è entrato a far parte di Pro Tell, assumendo la carica di presidente.
Nel suo intervento, Hans-Peter Wüthrich ha evocato possibili irregolarità nei conti 2016, ha commentato il ritiro dell’ex comitato, così come la decisione del neoeletto consigliere federale Ignazio Cassis di lasciare Pro Tell un mese dopo avervi aderito. Di fronte a tanti sconvolgimenti, la condanna in prima istanza per discriminazione razziale del vicepresidente dell’associazione e consigliere nazionale UDC Jean-Luc Addor è passata in secondo piano. «On en redemande!» («Ne vogliamo ancora!») aveva scritto su Twitter e Facebook nel 2014 dopo l’uccisione di uno svizzero di origine kosovara in una moschea a San Gallo.
Di possibili temi di dibattito interno ce ne sarebbero molti, ma Wüthrich passa rapidamente ai punti all’ordine del giorno, presenta ai membri un nuovo logo, una nuova homepage del sito e un documento che illustra il nuovo orientamento strategico. «Nella nostra battaglia – e parlo intenzionalmente di battaglia – non abbandoneremo mai la strada dello Stato di diritto», ha affermato Wüthrich.
«Berna deve sentire che siamo presenti!».
Per aver maggior peso politico, il vicepresidente Addor ha convinto 60 parlamentari ad unirsi all’intergruppo parlamentare «per un diritto liberale sulle armiCollegamento esterno». Obiettivo: contrastare l’inasprimento della legge previsto dal governo elvetico, in applicazione della nuova direttiva europea sulle armi. Wüthrich sottolinea categorico: «Berna deve sentire che siamo presenti!».
Pro Tell conta attualmente 11’000 membri circa, ossia 1’500 in più rispetto a fine giugno quando è stato destituito l’ex comitato. Cinquecento circa sarebbero legati alla copertura mediatica sul caso Cassis. L’associazione auspica di superare la barra dei 20’000 membri entro la fine del 2018, un numero che rappresenta comunque una minima parte dei possessori di armi in Svizzera.
La Confederazione stima infatti a 2 milioni il numero di armi nelle case elvetiche, mentre l’istituto di ricerche Small Arms Survey, con sede a Ginevra, parla di 3,4 milioni.
Nella maggioranza dei casi, si tratta di armi di ordinanza, che i militi decidono di tenere a casa invece di depositare in arsenale. Vi è poi anche il fatto che il tiro sportivo gode di grande popolarità in Svizzera. La federazione sportiva svizzera di tiro conta oltre 130’000 membri, di cui quasi la metà hanno una licenza.
Difendere le armi, anche rinunciando a Schengen
A fine settembre, il governo svizzero ha messo in consultazioneCollegamento esterno il progetto di applicazione della direttiva europea sulle armi, che ha suscitato fin da subito l’ira di Pro Tell e delle associazioni di tiro. La revisione della direttiva europea fa parte del cosiddetto acquis di Schengen.
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Ciò significa che la Svizzera è obbligata a trasporla nella legislazione elvetica, anche se gode di un certo margine di manovra. Berna ha infatti già negoziato una sorta di “statuto speciale” con Bruxelles, ma spetterà al parlamento dire la sua. Se quanto uscirà dai suoi banchi non dovesse convincere l’UE, a rischio potrebbe esserci l’associazione elvetica a Schengen.
Il tema è al centro dei dibattiti dell’assemblea, così come delle interviste coi media. Alla domanda sul numero di armi che possiede, un giovane di Thun risponde 136, dopo aver consultato il suo telefonino. Di queste, 26 non potrebbero più essere acquistate se la Svizzera dovesse approvare il progetto di applicazione della direttiva europea. Si tratta ad esempio di pistole semiautomatiche con caricatori a più di 21 cartucce.
Il progetto posto in consultazione dal governo prevede comunque delle eccezioni per tiratori, cacciatori e collezionisti. Un punto sul quale non si è discusso durante l’assemblea di Pro Tell.
I membri hanno invece messo l’accento sull’associazione a Schengen. Se per alcuni la Svizzera non rischia di essere esclusa dall’accordo, un membro elogia la proposta di promuovere un referendum contro la revisione della legge elvetica proprio per uscire da Schengen. «Se si trattasse di liberalizzare il mercato delle armi sul modello americano, il mio ambiente sarebbe contrario. Se invece il rifiuto di inasprire la legge svizzera dovesse portare a un ritiro da Schengen, allora sarebbe favorevole. Schengen ci costa dieci volte di più di quanto annunciato. E l’accordo ha anche altri inconvenienti, lo si vede ogni giorno sulle nostre strade. L’uscita da Schengen sarebbe un’opportunità per il nostro paese».
«Mio generale»
Altri membri di Pro Tell insorgono contro una legge sulle armi che ritengono tutto salvo che liberale. Secondo alcuni bisognerebbe tornare alla legge del 1917, per altri a quella in vigore negli anni Sessanta. Il pathos all’albergo bernese è onnipresente. Un membro si rivolge a Wüthrich chiamandolo «mio generale». Con un solo voto negativo e cinque astensioni, l’assemblea decide di lanciare un referendum contro ogni proposta di inasprimento della legge sulle armi. Anche se sarà l’unica a sostenerlo.
Analogamente alla lobby delle armi negli Stati Uniti, i membri di Pro Tell assimilano spesso la possessione di armi a una libertà fondamentale. Uno di loro parla di «protezione di una proprietà, in questo caso delle armi». Nel suo discorso di benvenuto, il presidente Wüthrich afferma dal canto suo che Pro Tell non è una lobby delle armi, ma una lobby che «difende il diritto e la libertà di cittadini». Interrogato durante la pausa, evoca il mito fondatore: «È una tradizione elvetica. La libertà degli svizzeri include il diritto di possedere un’arma». Come negli Stati Uniti, questa retorica sui diritti fondamentali è utilizzata anche per sostenere, come più volte ripetuto durante l’assemblea, che Pro Tell non è un’organizzazione politica. Affermazione che suscita interrogativi, vista anche la pubblicità dell’UDC distribuita a tutti i partecipanti. Pubblicità di cui Wüthrich afferma di non essere stato informato.
Con le sue posizioni radicali, nella forma come nel contenuto, è difficile che Pro Tell riesca ad influenzare il dibattito in parlamento, malgrado i legami stretti con alcuni senatori e deputati. Ma forse l’organizzazione sarà presto chiamata ad occuparsi nuovamente di sé stessa, per esempio se un tribunale superiore dovesse confermare la condanna emessa contro il vicepresidente Addor.
Traduzione dal tedesco
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