Una presunta cellula dello Stato islamico davanti al giudice
Si apre il 29 febbraio davanti al Tribunale penale federale di Bellinzona il processo contro quattro iracheni, sospettati di aver cercato di costituire una cellula dello Stato islamico in Svizzera e di aver pianificato un attentato.
I quattro uomini, di età compresa tra i 30 e i 35 anni, sono accusati dal Ministero pubblico della ConfederazioneCollegamento esterno (MPC) di partecipazione a un’organizzazione criminale, sulla base dell’articolo 260ter del Codice penale svizzero. I primi tre arresti sono avvenuti tra marzo e aprile del 2014; nel luglio del 2015 il procedimento penale è stato esteso a un quarto imputato.
L’MPC ritiene che i quattro abbiano cercato di creare una cellula dello Stato islamico. Si sarebbero inoltre resi colpevoli di divulgazione di video incitanti all’odio, di soggiorno illegale in Svizzera e avrebbero svolto l’attività di passatori.
L’articolo 260ter del Codice penale svizzero è in vigore dal 1994. Con questo paragrafo di legge la Svizzera intendeva dotarsi di uno strumento giuridico per lottare contro il crimine organizzato.
L’articolo recita: «Chiunque partecipa a un’organizzazione che tiene segreti la struttura e i suoi componenti e che ha lo scopo di commettere atti di violenza criminali o di arricchirsi con mezzi criminali, chiunque sostiene una tale organizzazione nella sua attività criminale, è punito una pena detentiva sino a cinque anni o con una pena pecuniaria».
Nella prassi, però, questa norma si è rivelata poco incisiva. Nel gennaio del 2015, il procuratore federale Michael Lauber aveva dichiarato in un’intervista alla NZZ am Sonntag che l’articolo è difficile da applicare, poiché i criteri per stabilire l’appartenenza a un’organizzazione criminale sono troppo elevati.
I quattro imputati sono accusati in particolare di aver pianificato un attentato. L’inchiesta della procura federale era scattata dopo le informazioni ricevute da parte dei servizi segreti americani. Dapprima era questione di un attentato in Svizzera, poi in Europa. Nell’atto di accusa di 69 pagine, i passaggi su questo presunto atto terroristico in preparazione sono però molto vaghi e occupano solo una pagina e mezzo. Sul luogo e sul momento in cui sarebbe dovuto avvenire l’attacco non si sa nulla.
«Cuocere il pane»
L’MPC elenca una serie di comunicazioni via Facebook in un linguaggio codificato in cui si parlerebbe di questo attentato. L’espressione «cuocere il pane» avrebbe così voluto dire «preparare gli esplosivi», il termine «anguria» sarebbe stato sinonimo di esplosivi e conoscenza delle armi e con «fidanzato» si sarebbe inteso l’attentatore suicida. Le conversazioni attraverso la chat di Facebook o i servizi telefonici online di Skype assumono una grande importanza in questo processo. Gli inquirenti hanno analizzato centinaia di chat.
Osamah M., il principale imputato, avrebbe aderito ad Al Qaida nel 2004, quando aveva 18 anni e si trovava in Iraq. In seguito si è trasferito in Siria, dove avrebbe allacciato dei contatti con lo Stato islamico. Nel 2012 è arrivato in Svizzera grazie a dei passatori. Costretto su una sedia a rotelle per ferite di guerra, l’uomo è stato accolto come rifugiato. Viveva in un appartamento di Beringen, nel canton Sciaffusa. Secondo l’MPC, Osamah M aveva contatti intensi e regolari con comandanti dello Stato islamico.
Grazie al suo aiuto, il secondo imputato, ovvero la persona con cui condivideva un appartamento a Damasco, è pure potuto venire in Svizzera. Anche il terzo imputato ha vissuto per un certo tempo nello stesso alloggio nella capitale siriana. Osamah M. ha agito in parte anche dal centro per paraplegici di Nottwil, dove era in terapia per le sue ferite.
Gli estratti delle chat sono un condensato d’odio e di inviti a condividere video violenti su internet. Malgrado sia stato accettato come rifugiato e abbia ricevuto cure mediche, Osamah M. non sembra stimare molto gli svizzeri, definiti «asini». «Questa gente è da decapitare, non da convertire», avrebbe scritto.
Il quarto imputato avrebbe dal canto suo effettuato un viaggio in Siria, per ricevere degli apparecchi radio dallo Stato islamico. Si tratta dell’imam Abdulrahman O. (35 anni), domiciliato a Hergiswil, nel canton Nidvaldo, e che predicava in una moschea di San Gallo. Il suo avvocato ha dichiarato al giornale domenicale Sonntagszeitung che le accuse nei suoi confronti «non stanno in piedi».
Accuse respinte in blocco
Gli imputati contestano praticamente tutti i capi d’accusa nei loro confronti.
Il contenuto delle chat non è altro che «una sciocchezza» e non costituisce un reato penale, ha fatto valere la difesa quando ha chiesto la sospensione della detenzione preventiva. In un’intervista alla NZZ am Sonntag, Remo Gilomen, legale del principale imputato, ha ricusato qualunque legame tra il suo cliente e lo Stato islamico. Ha inoltre criticato il fatto che Osamah M. sia stato presentato dalla stampa svizzera come il terrorista in sedia a rotelle.
A parte l’imam Abdulrahman, gli altri tre imputati si trovavano in detenzione preventiva nelle prigioni di Thun, Berna e Burgdorf al momento dell’incriminazione, nell’ottobre del 2015. Saranno trasferiti a Bellinzona, dove i dibattimenti inizieranno il 29 febbraio.
Nella capitale ticinese sono state predisposte misure di sicurezza eccezionali e alcune strade rimarranno chiuse.
Il processo dovrebbe durare cinque giorni e si terrà in tedesco, con traduzione in arabo. La lettura della sentenza è prevista per il 18 marzo.
46 procedimenti penali in corso
Oltre al processo che si apre a Bellinzona, il Ministero pubblico della Confederazione ha aperto un procedimento penaleCollegamento esterno anche nei confronti di un 25enne svizzero, residente nella regione di Zurigo, arrestato il 7 aprile 2015 all’aeroporto di Zurigo-Kloten mentre si apprestava a viaggiare in Siria. È la prima volta che ciò avviene in Svizzera.
L’MPC accusa il giovane di aver cercato di recarsi in Siria per aderire all’organizzazione criminale dello Stato islamico.
Attualmente sono pendenti 46 procedimenti penali per fatti in relazione con il terrorismo di matrice jihadista. Principalmente si tratta di casi di sospetta propaganda a favore di organizzazioni terroristiche.
Traduzione di Daniele Mariani
In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.
Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.