Chi frena il commercio crea la fame
Le organizzazioni economiche ritengono che sia necessario respingere l’iniziativa «Contro la speculazione sulle derrate alimentari». Se fosse accolta, la proposta non risolverebbe nessun problema, ma ne creerebbe di nuovi, ritiene Rudolf Minsch, economista capo presso economiesuisse.
Le cipolle sono un genere alimentare di prima necessità? Poiché gran parte dell’umanità le usa regolarmente per cucinare, alla domanda si può rispondere con un sì. Il problema è che sul mercato mondiale i prezzi di questa verdura oscillano in modo estremo. Tra il 2006 e il 2008, quando negli Stati Uniti è scoppiata la bolla immobiliare, il loro prezzo è salito del 400%. L’iniziativa della Gioventù socialista (Giso) sulla speculazione, sottoposta ai votanti il 28 febbraio, vuole evitare simili evoluzioni dei prezzi.
Per i fautori dell’iniziativa, gli eventi attorno alla crisi del 2008 hanno una sola spiegazione: gli investitori finanziari avrebbero ritirato i loro soldi dal mercato immobiliare statunitense in dissoluzione, speculando sui generi alimentari invece che sulle case e facendo così crescere in modo irresponsabile i prezzi. Questa argomentazione però è sbagliata: dal 1958 negli Stati Uniti la speculazione sulle cipolle è assolutamente vietata.
Aumenti hanno altre ragioni
Nel 2007/2008 non è stato solo il prezzo delle cipolle ad aumentare in breve tempo: anche quelli del riso, del mais e del grano sono saliti vertiginosamente. La Giso e alcune organizzazioni di aiuto allo sviluppo hanno preso spunto da questa evoluzione per chiedere un divieto rigoroso di operazioni speculative sulle derrate alimentari. La misura sarebbe necessaria per stabilizzare i prezzi e combattere la fame nei paesi più poveri.
Tuttavia niente indica che la connessione asserita esista davvero. Nel mercato delle cipolle e anche in quello del riso le operazioni speculative sono quasi inesistenti. Non è quindi una sorpresa che quasi tutti gli studi sull’argomento giungano alla conclusione che le transazioni a termine eseguite dagli investitori finanziari non hanno alcun influsso sui prezzi dei generi alimentari sui mercati locali.
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Gli enormi sbalzi di prezzo attorno al 2008 sono dovuti ad altri motivi: il prezzo del petrolio è aumentato moltissimo, influendo sui costi di produzione e trasporto, l’offerta era limitata a causa di cattivi raccolti in vari continenti e molti paesi hanno introdotto freni all’importazione.
Oggi viviamo la situazione contraria. Il prezzo del petrolio è a livelli minimi e anche le derrate alimentari sono sempre più a buon mercato. Le operazioni speculative – lo mostrano le cifre della più grande borsa per i generi alimentari, a Chicago – non sono però diminuite.
Migliori garanzie grazie agli investitori
Ciononostante rimane aperta una questione eticamente delicata: si possono guadagnare soldi speculando sui generi alimentari? La risposta è: sì, assolutamente! Perché senza le operazioni speculative degli investitori finanziari i produttori e i commercianti non avrebbero la possibilità di garantire i prezzi delle loro merci.
Vale la semplice regola che più attori sono attivi nella borsa, meglio è. In questo modo il rischio di perdite di raccolti, di danni durante l’immagazzinamento o di difficoltà di trasporto è suddiviso molto meglio. L’esperienza mostra anche che i cattivi raccolti hanno meno influsso sui prezzi se sul relativo mercato sono presenti molti attori finanziari. Nel caso delle cipolle e del riso non è il caso, perciò i cattivi raccolti hanno un effetto immediato sui prezzi.
Altri sviluppi
I danni della speculazione alimentare si vedono sul terreno
Chi vieta le speculazioni sulle materie prime agricole non garantisce in alcun modo pasti supplementari a chi soffre la fame. Accetta anzi che in futuro i prezzi possano oscillare ancora più fortemente e che i contadini nei paesi in via di sviluppo abbiano più difficoltà a mettersi al riparo dai rischi. L’iniziativa è perciò controproducente.
Regole svizzere per gli scambi a Chicago
I giovani socialisti ignorano inoltre intenzionalmente il fatto che in Svizzera non esiste neppure una borsa per le derrate alimentari. Le borse commerciali di Chicago e Londra sono già regolamentate e non aspettano certo nuove direttive dalla Svizzera. Negli Stati Uniti e nell’Unione Europea si discute di limitare le posizioni degli operatori di borsa per evitare la manipolazione dei prezzi.
Tuttavia né Washington, né Bruxelles, né la FAO (l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) vogliono vietare completamente la speculazione. Gli stessi produttori di cipolle americani hanno notato nel frattempo che il divieto è per loro più uno svantaggio che un vantaggio e vorrebbero liberarsene.
Burocrazia senza controvalore
A livello globale l’approvazione dell’iniziativa della Giso non cambierebbe nulla. Per la Svizzera vi sarebbero però conseguenze importanti. Il commercio di materie prime, un settore importante fin dal XIX secolo, è diventato particolarmente rilevante negli ultimi decenni. Ormai genera il 3,9% del prodotto interno lordo e dà lavoro a oltre 12’000 persone. Anche queste aziende assicurano le loro forniture attraverso transazioni a termine, con le quali commerciano nelle borse all’estero.
Secondo l’iniziativa dovrebbero dimostrare per ogni singolo contratto se serve davvero ad assicurare una transazione (ciò che sarebbe permesso) o se si tratta di pura speculazione (ciò che l’iniziativa vieta). Poiché le transazioni in borsa avvengono però in forma anonima e il partner commerciale è ignoto, una separazione netta è quasi impossibile.
Lo sforzo burocratico sarebbe enorme; per le aziende coinvolte e anche per lo Stato, che dovrebbe creare una nuova autorità di sorveglianza. Questo peggioramento intenzionale e inutile delle condizioni quadro economiche obbligherebbe le aziende che commerciano in materie prime a lasciare il paese. Nella Svizzera francese, dove molti commercianti di materie prime hanno la loro sede, il danno economico sarebbe particolarmente grande.
L’iniziativa sulla speculazione crea quindi molti problemi, senza risolverne neppure uno.
Opponendosi all’iniziativa non si danneggiano le persone che soffrono la fame. La fame nei paesi in via di sviluppo è una sfida che va affrontata. Per farlo ci vogliono però tutt’altri strumenti: lo smantellamento degli ostacoli al commercio, la trasmissione di conoscenze, investimenti nelle tecnologie e nelle infrastrutture e inoltre possibilità sufficienti anche per i produttori dei paesi in via di sviluppo di assicurarsi contri i rischi della loro attività commerciale.
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