Quali qualità ci vogliono per dirigere l’Alto commissariato dell’ONU per i diritti umani?
L'Alta commissaria ONU per i diritti umani Michelle Bachelet ha annunciato in giugno che non intende ricandidarsi per un secondo mandato. Lascia la carica per motivi familiari e la decisione non è legata alla sua controversa visita in Cina del maggio scorso. Quale eredità lascia Bachelet e quali requisiti deve avere chi le succederà?
“Michelle Bachelet ha assunto la carica visto il suo passato di vittima di violazioni, attivista e donna di Stato”, dice Jürg Lauber, ambasciatore svizzero presso le Nazioni Unite a Ginevra. “Pur evidenziando le violazioni dei diritti umani ovunque nel mondo, Bachelet ha costruito ponti, si è impegnata in favore del dialogo e ha promosso la cooperazione”.
La ex presidente del Cile (tra il 2006 e il 2010 e tra il 2014 e il 2018) è stata la prima capo di Stato donna in America latina. Durante il regime di Augusto Pinochet è stata imprigionata e suo padre è morto in carcere a causa delle torture subite.
Michelle Bachelet ha assunto la carica di Alto commissario dell’ONU per i diritti umani nel settembre 2018. Durante il suo mandato è stata confrontata con la pandemia di COVID-19, con gravi crisi in ambito di diritti umani, ad esempio quelle in Myanmar, Yemen, Afghanistan, Etiopia e Sudan del Sud, e con la guerra in Ucraina, scoppiata alla fine di febbraio di quest’anno. Il suo periodo di presidenza è stato offuscato dalla visita in maggio nella provincia cinese dello Xinjiang, visita che le ha fatto piovere addosso aspre critiche.
“Per affrontare la crisi provocata dal coronavirus e le sue conseguenze, il suo ufficio è stato estremamente attento nel promuovere un approccio basato sui diritti umani”, indica Lauber, che spiega a swissinfo.ch come Bachelet sia stata una “paladina nella lotta al cambiamento climatico, alla povertà e alla disuguaglianza”. Phil Lynch, direttore della ONG International Service for Human RightsCollegamento esterno (ISHR), con sede a Ginevra, ricorda inoltre che Bachelet ha avuto un ruolo importante nelle questioni legate alla migrazione, al razzismo sistemico e alla promozione di una giusta distribuzione del vaccino contro la COVID-19. Lynch è però critico nei suoi confronti per quanto riguarda il suo atteggiamento con i governi: “Ha privilegiato il dialogo amichevole anche di fronte a chiare violazioni dei diritti umani”.
La visita in Cina
Stando a Lynch, l’episodio più emblematico è quello legato alla sua visita in Cina dove “Bachelet ha completamente omesso di affrontare la questione dei diritti umani, come i crimini contro l’umanità nello Xinjiang o la repressione in Tibet e Hong Kong, le sparizioni forzate e le detenzioni arbitrarie dei difensori e degli avvocati che si battono per i diritti umani”. Il direttore dell’ONG indica che l’atteggiamento dell’Alta commissaria dell’ONU in Cina è stato una “grave mancanza di solidarietà con le vittime e con chi lotta per i diritti umani e ha dimostrato una palese incapacità o un’impreparazione a chiedere al governo cinese di rendere conto delle proprie violazioni”.
La visita di Michelle Bachelet in Cina alla fine di maggio è stata aspramente criticata da varie ONG, anche da Human Rights Watch e Amnesty International, e da alcuni Stati, perché l’hanno giudicata troppo accomodante e remissiva con Pechino. Ad innescare le critiche è stata anche la decisione di ritardare la pubblicazione di un rapportoCollegamento esterno che metteva a nudo le violazioni cinesi nella provincia dello Xinjiang nei confronti della minoranza etnica degli uiguri. Stando a varie fonti, dal 2017 circa un milione di donne e uomini appartenenti a gruppi etnici prevalentemente musulmani sono stati imprigionati dal governo cinese. Pechino nega le accuse di tortura, lavoro forzato e altri abusi, sostenendo che le persone sono detenute in centri “educativi” e di addestramento.
Altri sviluppi
L’equilibrismo dell’ONU sui diritti umani in Cina
“Non è facile dimenticare la visita in Cina visto che è avvenuta alla fine del suo mandato”, dice Sherine Tadros, vicedirettrice di Amnesty International e responsabile dell’ufficio presso le Nazioni Unite a New York. “La sua eredità è stata indelebilmente macchiata, un neo che sarà sempre ricordato”.
Tadros elogia però comunque l’operato di Bachelet, “sempre al fronte e molto impegnata” a favore dei diritti economici, sociali e culturali. Inoltre, il suo ufficio ha pubblicato un rapporto impietoso sulla situazione in Venezuela, documento che Amnesty International ha accolto con favore. Ma in Cina ha peccato di ingenuità e si è lasciata strumentalizzare dal regime di Pechino. “Seduta a fianco delle autorità cinesi, Bachelet ha parlato di campi di addestramento, adottando il linguaggio propagandistico del governo. Sono parole che i parenti delle vittime o dei superstiti non dimenticheranno mai”, dice Tadros.
Un’analisi condivisa da Lynch. Il direttore di ISHR ricorda che “il dialogo, la cooperazione e l’assistenza tecnica sono indubbiamente strumenti importanti e legittimi per far progredire i diritti umani quando c’è la volontà politica. Ma quando le violazioni sono istituzionalizzate, diffuse o addirittura fanno parte della politica del governo, come nel caso dello Xinjiang, allora è fondamentale monitorare, stilare dei rapporti e chiedere alle autorità di rendere conto delle proprie azioni”.
Il rapporto
All’inizio della 50esima sessione del Consiglio per i diritti umani, tenuta in luglio, Michelle Bachelet ha comunicato che prima della sua partenza in agosto intende pubblicare una versione rivista del rapporto sullo Xinjiang, documento che, com’è prassi, verrà condiviso con la Cina. La ex presidente cilena riuscirà a smacchiare il suo mandato?
“Dovremo prima di tutto leggere il rapporto e capire come i commenti cinesi possano attenuare le critiche espresse nel testo che, da quanto si sente, sono piuttosto dure”, dice Tadros. “Le prove raccolte sul campo da Human Rights Watch, Amnesty International e molti altri sono inconfutabili e convincenti”.
“Poco attiva”
Secondo Lynch, l’Alta commissaria dell’ONU è stata “poco attiva” in altri Paesi, tra cui Egitto, Arabia Saudita, Bahrein e Venezuela, dove il suo giudizio sulla situazione dei diritti umani è stato “all’acqua di rose”. A differenza dei suoi predecessori, il sudafricano Navanethem Pillay o il giordano Zeid Ra’ad Al Hussein, Bachelet non ha cercato “nemmeno lontanamente” il dialogo con la società civile.
Khalid Ibrahim, direttore del Centro del Golfo per i diritti umani, concorda con Lynch. Durante il suo mandato, molti difensori dei diritti umani sono stati incarcerati in Paesi come il Bahrein e gli Emirati Arabi Uniti. Bachelet ha fatto “troppo poco per migliorare la situazione nella regione”. Ibrahim sostiene inoltre che c’è stato uno scollamento tra le ONG come la sua e l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, agenzia che svolge un compito difficilissimo. Tuttavia, Bachelet ha passato più tempo a discutere con i leader politici dei vari Paesi che con la società civile. “Se vuoi essere la voce dei senza voce, devi ascoltare chi si batte sul campo e devi sapere ciò che sta davvero succedendo”.
Alla ricerca di un nuovo Alto commissario
A metà giugno, un portavoce delle Nazioni Unite a Ginevra ha dichiarato che il processo di reclutamento era in corso e che il Segretariato generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres avrebbe sottoposto il candidato o la candidata all’approvazione dell’Assemblea generale a ricerca conclusa. La comunicazione avverrà a “tempo debito”.
Ma quanto è importante l’Alto commissario alla luce dei vincoli politici? “È vitale. È la voce della comunità dei diritti umani”, dice Tadros di Amnesty International. “È un lavoro incredibilmente duro, come quello del Segretario generale delle Nazioni Unite. Nessuno nega quanto sia delicato negoziare con gli Stati, mantenere la possibilità di visitare le varie regioni e garantire la sicurezza del proprio personale. Allo stesso tempo bisogna fare emergere la verità e denunciare ciò che sta avvenendo nei Paesi. È un esercizio di equilibrismo tutt’altro che facile, ma che Bachelet non è sempre riuscita ad intrepretare”, afferma Tadros.
Jürg Lauber, ambasciatore svizzero presso le Nazioni Unite a Ginevra, spiega che chi assumerà la carica di Alto commissario per i di diritti umani dovrà avere una “grande affinità con la promozione e la protezione dei diritti umani e avere una caratura sufficiente per poter dialogare alla pari con tutti i leader del pianeta”.
Secondo Lynch ciò non basta: “L’Alto commissario deve essere un campione dei diritti umani. Deve essere il leader mondiale nel campo della difesa dei diritti umani. È una caratteristica che lo distingue da un semplice diplomatico o da un inviato politico”.
Richiesta di un processo ‘trasparente’
Oltre 60 ONG, tra cui ISHR, Amnesty International e Human Rights Watch, hanno inviato una letteraCollegamento esterno aperta al Segretario generale delle Nazioni Uniti, chiedendo un “processo consultivo aperto, trasparente, fondato sui meriti”. “Deve prevedere un’ampia e significativa consultazione delle organizzazioni indipendenti che si battono per i diritti umani e di chi li difende”, si legge nella lettera. “Visto che il mandato di Bachelet scade alla fine di agosto è importante che il processo si svolga rapidamente”.
“È importante ricordare che il posto di Alto commissario è nato su iniziativa della società civile”, dice Lynch. “In vista della Seconda conferenza mondiale sui diritti umani del 1993, la società civile ha individuato e chiesto di creare il ruolo di leader e campione per promuovere i diritti umani in tutto il mondo”.
“È importante consultare la società civile”, sostiene Ibrahim del Centro del Golfo per i diritti umani che afferma di essere stufo di assistere alla scelta dell’Alto commissario a “porte chiuse”. Neil Hicks dell’Istituto di ricerca sui diritti umani del Cairo indica che “vede di buon occhio un coinvolgimento pubblico della società civile. In questo modo, la comunità internazionale vedrebbe che l’ONU fa di tutto affinché anche le organizzazioni per i diritti umani e la società civile abbiano voce in capitolo nel processo di selezione”. Sarebbe un riconoscimento importante del loro ruolo, in un momento in cui rischiano di essere “cancellate” in molte parti del pianeta, ad esempio in Medio Oriente o in Nord Africa.
“Per ora il bando di concorso è stato pubblicato online”, dice Tadros di Amnesty. “Non sappiamo nulla di più. Non sappiamo chi sono i candidati o le candidate, quali sono i criteri, se si tratta di un vero processo di selezione o un esercizio meramente formale”.
Traduzione dall’inglese: Luca Beti
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