Multilateralismo e diplomazia alle prese con il conflitto nel Nagorno-Karabakh
I combattimenti tra armeni e azeri che si contendono la regione del Nagorno-Karabakh dal 27 settembre si sono intensificati. È la più grave violazione del cessate il fuoco concluso tra le due parti nel 1994, dopo una guerra di sei anni segnata da numerose atrocità. Gli sforzi diplomatici, compresi quelli svizzeri, non hanno mai portato a una soluzione del conflitto.
È difficile stabilire il numero di morti e feriti, così come il numero di civili in fuga dai combattimenti, ma si contano centinaia di persone. “Possiamo già vedere il terribile impatto che questa escalation del conflitto ha sulla popolazione civile”, ha dichiarato il 2 ottobre Gerardo Moloeznik, capo della sottodelegazione del Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) a Barda, in Azerbaigian.
Tanto più che i grandi movimenti di popolazioni rischiano di amplificare la diffusione della Covid-19 e che l’inverno si avvicina, sottolinea il CICR. I combattimenti, in particolare i bombardamenti sulle città, si estendono oltre la linea di demarcazione fissata dal cessate il fuoco del 1994.
Appelli vani
Gli appelli di porre fine agli scontri si sono moltiplicati. Ma Mosca, Parigi, Washington, Berna, il Consiglio di sicurezza del’ONU, così come l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCECollegamento esterno) e il suo Gruppo di MinskCollegamento esterno – i primi interessati – finora non sono riusciti a frenare l’escalation militare. Battaglie e morti che incitano armeni e azeri a sostenere i rispettivi governi.
Sempre “pronta a ospitare riunioni al più alto livello, la Svizzera ha chiestoCollegamento esterno la fine delle violenze e ha anche sottolineato che le parti in conflitto devono rispettare i loro obblighi ai sensi del diritto internazionale, in particolare il diritto internazionale umanitario, e riprendere negoziati di pace incondizionati”, precisa Georg Farago, portavoce del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE). Un appello lanciato ripetutamente dall’OSCE e dal Consiglio d’Europa.
“Il sistema multilaterale e le grandi potenze si rendono conto ancora una volta che la diplomazia ha i suoi limiti”, commenta Keith KrauseCollegamento esterno, direttore del Center on Conflict, Development and Peacebuilding presso il Graduate Institute of International and Development Studies (IHEID) con sede a Ginevra.
Un conflitto mai risolto
L’antagonismo tra armeni e azeri è antico. La fine della Prima guerra mondiale – segnata nella regione dal genocidio armeno perpetrato dalla Turchia ottomana – permette loro nel 1918 di fondare due Stati, sulle macerie dell’Impero russo: le repubbliche dell’Azerbaigian e dell’Armenia, integrate nell’URSS. Le rivendicazioni territoriali di entrambe le parti sono permanentemente congelate da Mosca, prima di rinascere, nel 1988, in un’Unione Sovietica al tramonto, con la prima fase della guerra del Nagorno-Karabakh. La regione a maggioranza armena dichiara l’indipendenza nel 1991. Un cessate il fuoco nel 1994 pone fine alle operazioni militari, senza tuttavia impedire scontri periodici lungo la linea di demarcazione.
“Al momento della disgregazione dell’URSS, sia l’Armenia che l’Azerbaigian si sono impegnate formalmente a rispettare i confini esistenti, sottolinea Marcelo KohenCollegamento esterno, professore di diritto internazionale all’IHEID. Il Nagorno-Karabakh era una regione autonoma all’interno dell’Azerbaigian. E nessun membro delle Nazioni Unite ne riconosce l’indipendenza”.
Questo conflitto è inoltre lungi dall’essere l’unico ad agitare le ex repubbliche sovietiche: “L’Abkhazia e l’Ossezia del Sud hanno proclamato l’indipendenza dalla Georgia, la Transnistria dalla Repubblica di Moldova, la Crimea è stata separata dall’Ucraina e Donetsk e Luhansk hanno proclamato l’indipendenza dall’Ucraina”, ricorda Marcelo Kohen.
“In nessuna di queste situazioni è stato riconosciuto alle minoranze nazionali esistenti negli Stati interessati il principio del diritto dei popoli all’autodeterminazione. Ma questi Stati hanno l’obbligo di rispettare i diritti delle minoranze “. Ciò che è lungi dalla norma. Da qui l’emergere di una serie di conflitti che offrono l’opportunità a più potenze di essere coinvolte.
Le potenze regionali complicano il gioco
Le ingerenze degli Stati Uniti e dell’Unione Europea sono state ampiamente denunciata, ma non sono gli unici ad applicare due pesi e due misure. “La Turchia sostiene l’integrità territoriale dell’Azerbaigian, ma viola questo stesso principio nella Repubblica di Cipro, sostenendo la cosiddetta Repubblica turca di Cipro del Nord. Alcuni leader politici occidentali chiedono a gran voce il rispetto dell’integrità territoriale dell’Ucraina, ma l’hanno ignorata per la Serbia in Kosovo. Al contrario, la Russia l’ha difesa per la Serbia, ma la ignora per l’Ucraina”, osserva Marcelo Kohen.
L’ingresso in scena della Turchia e della sua diplomazia sempre più muscolosa conferma una tendenza duratura di un’epoca definita multipolare, secondo Keith Krause. “Le potenze regionali hanno più margine di manovra rispetto al passato per intromettersi nei conflitti e aumentare la loro sfera di influenza”
Questo interventismo turco pone un ulteriore problema a due istituzioni attive nella regione. “Una è l’OSCE, che finora non è riuscita a rilanciare le discussioni. L’altra è la NATO, di cui la Turchia è membro. Con la sua politica offensiva, ci si avvicina a un punto di rottura all’interno della NATO”, prevede Keith Krause.
Quale sbocco per la diplomazia?
Allora come ottenere la pace nel Nagorno-Karabakh? Per Marcelo Kohen, la soluzione del conflitto passa dal ritiro delle truppe straniere e dall’ingerenza straniera. “E l’OSCE è il quadro appropriato per condurre i negoziati, come in passato”, puntualizza, sottolineando l’importanza per le parti del rispetto del diritto internazionale umanitario, dell’integrità territoriale degli Stati, senza dimenticare la concessione, con garanzia internazionale, di un regime di ampia autonomia nel Nagorno-Karabakh. Questa non è l’ultima delle condizioni, in un conflitto segnato da tante atrocità da entrambe le parti.
Da parte sua, la Svizzera, ricorda l’esistenza dei Protocolli di ZurigoCollegamento esterno, accordo firmato da Ankara e Yerevan nel 2009 per ristabilire le relazioni diplomatiche tra Turchia e Armenia e per riaprire il confine comune. “Ad oggi, i Protocolli di Zurigo sono gli unici documenti che contengono proposte concrete per la normalizzazione dei rapporti tra Armenia e Turchia e che sono stati firmati dai rappresentanti dei governi armeno e turco. Tuttavia, non c’è ancora la ratifica da parte dei parlamenti di Yerevan e Ankara”, afferma il portavoce del DFAE Georg Farago.
Sul piano diplomatico, giovedì a Ginevra si è tenuto un primo incontro sul Nagorno-Karabakh. Il ministro degli esteri azero Jeyhun Bayramov ha presentato la posizione del suo Paese al Gruppo di Minsk, copresieduto da Francia, Russia e Stati Uniti. E oggi (venerdì 9 ottobre), su invito del presidente russo Vladimir Putin, i capi della diplomazia di Armenia e Azerbaigian hanno avviato colloqui sulla regione separatista. Yerevan ha annunciato di essere disposta a riprendere il processo di pace.
Traduzione dal francese: Sonia Fenazzi
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