Accordo istituzionale: da un chiaro “no” a un esitante “sì, ma…”
L'accordo quadro istituzionale tra la Svizzera e l'Unione europea obbliga i partiti a prendere posizione. Ma chi lo fa ora rischia di perdere elettori. La tattica è quindi di rimanere vaghi, guadagnare tempo e inviare segnali in ogni direzione. E in quest'ottica, è il Partito socialista a mostrare la via.
Ancora fino a qualche giorno fa, alla domanda se volevano accettare l’accordo istituzionale negoziato tra Berna e BruxellesCollegamento esterno, i principali partiti svizzeri rispondevano: “Non così”. Ora i toni sono cambiati. Con l’eccezione dell’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice), tutti dicono “sì” o perlomeno “si’, ma…”.
È un po’ come è successo per il segreto bancario svizzero. Nel 2008, l’allora ministro delle finanze Hans-Rudolf Merz si era rivolto all’estero dichiarando: “Sul segreto bancario non si negozia”. Alcuni mesi più tardi, il segreto è stato levato.
L’evoluzione è molto simile per ciò che riguarda la resistenza dei partiti governativi nei confronti della bozza dell’accordo istituzionale, salvo come detto l’UDC, che si è categoricamente opposta sin dall’inizio. Fino a poco tempo fa, gli altri partiti avevano sempre rifiutato l’accordo che la Svizzera aveva negoziato con l’Ue per cinque anni e il cui contenutoCollegamento esterno è stato presentato ufficialmente il 7 dicembre 2018.
La causa di questa esitazione è da ricercare nelle elezioni federali in autunno. Contrariamente all’UDC – i cui sostenitori condividono appieno il no deciso del partito – i partiti popolare democratico (PPD, centro-destra), liberale radicale (PLR, destra) e socialista (PS) temono che se dovessero prendere una posizione chiara, rischierebbero di perdere una parte dell’elettorato.
Svolta socialista
Questo vale soprattutto per il PS. Ancora in dicembre, gli esponenti dell’ala sindacale affermavano che non avrebbero mai accettato un accordo che indebolirebbe, anche solo di poco, la protezione dei salari in Svizzera. Con questa posizione irremovibile, i socialisti si sono presentati come coloro che vogliono affossare l’accordo, mano nella mano con un’UDC tradizionalmente eurofoba.
Il PS ha irritato non soltanto la sua ala eurofila in parlamento – la deputata Chantal Galladé ha persino cambiato partito raggiungendo i ranghi dei Verdi liberali – ma anche una parte sostanziale del suo elettorato. Secondo l’ultimo barometro elettorale della Società svizzera di radiotelevisione (SSR), alle elezioni federali di ottobre il PS registrerebbe un calo dell’1,4%. Una diminuzione riconducibile al rifiuto dell’accordo istituzionale, emerge dall’analisi del sondaggio.
Dall’assemblea dei delegati di domenica scorsa, il PS ha assunto la posizione “sì all’accordo istituzionale, sì alla protezione dei salari”. Ma che cosa significa concretamente? Il PS ha cambiato opinione oppure per il partito le misure d’accompagnamento per la protezione dei salari continuano a rimanere intoccabili?
Quando la Televisione pubblica di lingua tedesca (SRF) gli ha rivolto la domanda, il presidente del gruppo parlamentare socialista Roger Nordmann ha risposto: “Vogliamo un accordo istituzionale con l’Ue con una protezione intatta dei salari”. Più eloquente è stata al contrario la domanda che il PS ha rivolto al governo: “In che modo è possibile mantenere l’attuale protezione dei salari?”. Il PS suggerisce così per la prima volta di essere disposto a discutere di questo tema.
PPD: non a qualunque prezzo
Fa invece meno discutere la posizione del PPD, sebbene il partito sia passato questa settimana da un “no” a un “sì, ma non a qualunque prezzo”. Come i socialisti, anche i popolari democratici passano la patata bollente al governo, chiedendo una legge di applicazione. La motivazione: il parlamento e il popolo devono poter votare tempestivamente sul recepimento dinamico degli sviluppi del diritto dell’UE.
“L’Ue riconosce la situazione particolare della Svizzera. È già una concessione.”
Christa Tobler, esperta di diritto europeo
Il chiaro “sì” del PLR
A fine febbraio, il PLR ha comunicato il suo “sì della ragione”. Per i liberali radicali, delle condizioni economiche stabili sono più importanti della sovranità. Inoltre, ritengono che un indebolimento della protezione salariale non significherebbe perdere la faccia.
Ma l’Ue ha davvero l’obiettivo di ridurre la protezione salariale in Svizzera?
L’Ue stessa riconosce le misure di protezione dei salari secondo il principio “lo stesso salario per lo stesso lavoro nello stesso luogo”. C’è però un problema, avverte Christa ToblerCollegamento esterno, professoressa di diritto europeo all’Università di Basilea: “Secondo l’Ue, alcune misure adottate dalla Svizzera violano l’accordo sulla libera circolazione delle persone”.
Nella bozza dell’accordo, l’Ue ha comunque fatto un passo verso la Svizzera, tollerando alcune misure elvetiche. “Si tratterebbe di una regolamentazione consentita per la Svizzera, ma non per gli Stati membri dell’Ue. Ciò dimostra che l’Ue riconosce la situazione particolare della Svizzera. È già una concessione”, afferma Christa Tobler. L’esperta dubita tuttavia che l’Ue sia disposta a concedere ancora una volta una regolamentazione speciale alla Svizzera.
Anche per Christa Tobler, saranno i socialisti a svolgere un ruolo cruciale. “Se il PS continuerà ad appoggiare l’accordo istituzionale unicamente a condizione che non venga superata alcuna linea rossa in materia di protezione dei salari, è poco probabile che l’Ue farà ulteriori concessioni. Se però la sua posizione diventerà più flessibile e se sarà disposta a discutere della natura delle misure, sempre che il livello della protezione salariale sia garantito, le probabilità aumenteranno”. Gli ultimi segnali del PS vanno proprio in questa direzione.
Garanzia o boomerang?
Il 18 marzo, il Consiglio nazionale (Camera del popolo) si esprimerà sul cosiddetto ‘miliardo di coesioneCollegamento esterno‘, il secondo contributo finanziario che la Svizzera mette a disposizione degli Stati europei economicamente più deboli. Accanto all’UDC, che lo respinge in modo compatto, anche i rappresentanti del PLR e del PPD hanno indicato di non voler accordare il contributo incondizionatamente.
Nel 2018, la Camera dei Cantoni, aveva accettato il miliardo a condizione che l’Ue non adotti misure discriminatorie nei confronti della Svizzera.
Si possono quindi prevedere dei segnali di fumo dalla sala del Consiglio nazionale a Berna in direzione di Bruxelles. La posizione della Svizzera nei confronti dell’Ue diventerà allora più chiara. E più chiara diventerà anche la situazione interna: si vedrà chi dirà “sì”, chi “no” e chi preferirà invece rimanere su un “ma”, un “se” o un “piuttosto no”.
Misure di protezione dei salari in Svizzera
L’Ue e la Svizzera sono in disaccordo su alcune disposizioni della Legge sui lavoratori distaccati. Questa fa parte delle misure di accompagnamento all’Accordo sulla libera circolazione delle persone, volte in particolare a garantire l’alto livello dei salari e altre condizioni di lavoro in Svizzera. Tra queste disposizioni figura la cosiddetta regola degli otto giorni: le aziende straniere che vogliono essere attive nella Confederazione devono annunciarsi in Svizzera con un preavviso di almeno otto giorni. In questo modo, le autorità elvetiche hanno il tempo per verificare il rispetto delle misure di protezione salariale. L’Ue vorrebbe ridurre il termine di notifica a quattro giorni. Inoltre, è contraria alla cauzione che devono depositare le aziende straniere, all’alta frequenza dei controlli e alle sanzioni in casi di abusi o raggiri.
Traduzione dal tedesco di Luigi Jorio
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