Ricercatori, cineasti e professori: il freno all’immigrazione fa ancora male
Due anni dopo l’esclusione dai programmi Horizon 2020, Media e Erasmus+, la Svizzera continua a leccarsi le ferite. Le misure compensatorie messe in atto dalla Confederazione non sono sufficienti, affermano in coro alcuni professionisti, che denunciano un crescente clima d’incertezza.
Si potrebbero definire i “danni collaterali” del 9 febbraio 2014. In seguito al ‘sì’ popolare all’iniziativa “Contro l’immigrazione di massa”, l’Unione europea ha sospeso la partecipazione della Svizzera ai programmi europei Horizon 2020, Erasmus e Media fintanto che la vertenza sulla libera circolazione delle persone non sarà risolta.
Qual è la situazione due anni dopo? swissinfo.ch ha interrogato alcuni professionisti dei vari settori, per fare il punto della situazione.
Horizon 2020: i ricercatori svizzeri “guardati con sospetto”
Grazie a un accordo raggiunto con l’Unione europea, la Svizzera è riuscita a salvare – temporaneamente – la sua partecipazione al programma europeo “Horizon 2020”, la “Champions league” della ricerca europea.
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L’immigrazione sarà frenata con una clausola di salvaguardia
Il mondo scientifico elvetico si è dovuto però accontentare di un’associazione parziale. Dal settembre 2014, la Svizzera partecipa a pieno titolo soltanto al cosiddetto primo pilastro, la ricerca fondamentale, ma è considerata uno Stato terzo – al pari del Libano o dell’Albania – per i progetti che riguardano, ad esempio, l’eccellenza industriale. La Svizzera è così esclusa da alcuni programmi, come lo “SME instrument” destinato alle piccole e medie imprese.
Gli effetti di questo cambiamento di rotta sono palpabili. Per la prima volta, la partecipazione elvetica è in netto calo: dal 3,2% di tutti i progetti europei (2007-2013) all’1,8% nel periodo 2014-luglio 2015, stando a un rapporto pubblicato di recente dalla Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione (SEFRI).
Anche a livello di coordinamento dei progetti, la Svizzera è meno presente sulla scena europea (dal 3.9% allo 0,3%) e i contributi assegnati agli istituti svizzeri di ricerca sono passati da 2,5 miliardi a 172 milioni.
Lo statuto fragile della Svizzera ha creato un clima d’insicurezza tra la comunità scientifica, afferma Peter Erni, direttore di EuresearchCollegamento esterno, istituto che si occupa di facilitare la partecipazione elvetica a progetti europei. “Dal febbraio 2014, i ricercatori svizzeri sono guardati con sospetto e i partner europei preferiscono cercare collaborazioni altrove. Lo statuto della Svizzera è troppo incerto e la ricerca scientifica ha bisogno di una pianificazione sul lungo termine”. Un’analisi confermata anche da Martin Kern, della SEFRI, secondo cui i ricercatori svizzeri sono attualmente percepiti “come un rischio”.
Per il mondo scientifico, il programma Horizon 2020 è una delle forze trainanti su cui poggia il successo elvetico nel campo della ricerca e dell’innovazione. “Si tratta della principale fonte di finanziamento per le imprese e la seconda per le università e le alte scuole, dopo il Fondo nazionale svizzero (FNS)”, ricorda Peter Erni.
Certo, la Svizzera iniettava anche diversi miliardi nel fondo europeo per la ricerca, ma grazie all’alto numero di progetti elvetici approvati dall’UE, nel periodo 2007-2013 è uscita con un saldo positivo, secondo Peter Erni. Con questa soluzione transitoria, invece, la Svizzera finanzia direttamente la stragrande maggioranza dei progetti (81,5%), poiché in quanto paese terzo non ha diritto ai contributi europei. Le ricadute finanziarie sono dunque inferiori.
I dati raccolti finora sono tuttavia insufficienti per stilare un bilancio finanziario, afferma la SEFRI, che non nasconde tuttavia la sua preoccupazione per un’eventuale esclusione della Svizzera da Horizon 2020.
L’accordo raggiunto con l’Ue scade infatti a fine anno. Se entro questa data, la Svizzera deciderà di firmare il protocollo aggiuntivo sull’estensione della libera circolazione alla Croazia, la piena partecipazione elvetica a Horizon 2020 sarà automaticamente confermata. In caso contrario, dal 2017 la Svizzera sarà considerata un paese terzo in tutti gli ambiti di ricerca.
Una situazione che preoccupa il governo elvetico. In risposta a un’interpellanzaCollegamento esterno del senatore Felix Gutzwiller, il Consiglio federale ha sottolineato nel maggio 2015 che la ricerca elvetica risulterebbe “fortemente penalizzata”. Un’esclusione dai programmi europei scoraggerebbe i “migliori ricercatori del mondo a proseguire le loro ricerche nel nostro paese” e “rimetterebbe in discussione il coordinamento dello Human Brain Projet da parte del Politecnico di Losanna”.
Media: i film svizzeri bloccati alle frontiere
Se nel settore della ricerca, la Svizzera è riuscita a trovare un’intesa – seppur lacunosa – con l’Unione europea, il mondo del cinema elvetico si ritrova tuttora escluso dal programma MEDIA. Conseguenza: i film svizzeri faticano sempre più a varcare le frontiere e gli scambi internazionali sono limitati.
Freno svizzero all‘immigrazione
Il 9 febbraio 2014, il popolo svizzero ha accolto col 50,3% dei voti l’iniziativa “Contro l’immigrazione di massa”, lanciata dall’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice). Il testo prevede l’introduzione di contingenti, tetti massimi e preferenza nazionale, entro un tempo massimo di tre anni. Data l’incompatibilità di queste misure con la libera circolazione delle persone, l’Unione europea ha deciso di sospendere – tra l’altro – le trattative per una partecipazione della Svizzera ai programmi europei Horizon 2020, Erasmus+, e Media. Nel mese di marzo, il governo elvetico dovrebbe presentare al parlamento una proposta di legge per l’attuazione del nuovo articolo costituzionale.
“La Svizzera è considerata un paese terzo… È assurdo perché siamo al centro dell’Europa e la storia culturale del nostro paese è indissociabile da quella dei nostri vicini”, deplora Ivo Kummer, capo della sezione cinema dell’Ufficio federale della cultura.
Lanciato nei primi anni Novanta, per far fronte allo strapotere dei blockbuster americani, il programma MEDIA garantisce un sostegno finanziario nelle diverse tappe cinematografiche: formazione, produzione, distribuzione, uscita nelle sale e nei festival. La Svizzera vi ha aderito nel 2006 – nel quadro dei Bilaterali II – e da allora ha ricevuto ogni anno circa 4 milioni di franchi di aiuti diretti o indiretti.
Concretamente, i distributori europei ricevono circa un euro per ogni entrata nelle sale contabilizzata su un film prodotto da un paese associato a MEDIA. Tra il 2006 e il 2013, ad esempio, i film svizzeri hanno portato circa 300mila euro ai distributori in Germania e in Francia. Ma visto che oggi la Svizzera è considerata un paese terzo, questi incentivi finanziari vengono a cadere e i film elvetici sono confrontati con una concorrenza più grande di quelli americani, argentini o giapponesi.
Corinna Marschall, direttrice dell’ufficio Media Desk Svizzera, afferma: “Mi è capitato spesso che i distributori mi dicessero ‘vorremmo comprare un film svizzero, ma visto che non riceviamo nulla, dobbiamo vedere se il gioco vale la candela’”.
Per compensare l’esclusione da MEDIA, la Confederazione ha stanziato un credito annuo di 5 milioni di franchi. Queste misure transitorie coprono però unicamente il mercato interno, in particolare la diffusione di film europei. «Per noi era fondamentale poter assicurare una pluralità dell’offerta culturale», afferma Ivo Kummer.
Una parte dei fondi compensatori è destinata anche allo sviluppo dei progetti. In questo campo i produttori elvetici sono in qualche modo avvantaggiati dall’esclusione di MEDIA perché devono confrontarsi solo con la concorrenza interna e non più con quella europea, afferma Ivo Kummer.
Ma questo isolamento rischia di abbassare ulteriormente il livello del cinema svizzero, che al di là di tutti i sostegni fatica a ritagliarsi uno spazio a livello internazionale, secondo Thierry Spicher, produttore e membro della Commissione federale del cinema. Il problema di fondo, dal suo punto di vista, non è però tanto la carenza di fondi europei, ma la qualità del prodotto. “Da 25 anni a questa parte il livello del cinema svizzero è mediamente pessimo”.
Limitare i vantaggi del programma MEDIA alla sola questione finanziaria sarebbe però riduttivo, affermano in coro gli esperti del settore. Far parte del club è anche un’importante occasione di scambio e di crescita, fondamentale per un paese senza una vera e propria industria cinematografica.
Erasmus+: mobilità in crescita, ma bloccata la ricerca
Il 9 febbraio 2014 è stata una doccia fredda anche per il mondo studentesco, che si è risvegliato privato del popolare programma di scambio Erasmus.
Il governo elvetico ha messo in piedi rapidamente una soluzione transitoria, denominata Swiss-European Mobility Programme, attraverso la quale vengono finanziati i soggiorni all’estero e in Svizzera. Anche in questo caso i costi sono coperti dal credito che il parlamento aveva approvato per la partecipazione al programma europeo.
A livello di numeri, il bilancio è positivo: la Fondazione ch, che si occupa di coordinare gli scambi, ha registrato un aumento dell’11% nel 2015. Dietro a queste cifre si cela però un importante lavoro di lobbying e sensibilizzazione da parte delle università.
“C’è ancora molta confusione e incertezza per quanto riguarda lo statuto della Svizzera e siamo regolarmente chiamati a dover spiegare che gli scambi sono tuttora possibili, anche se non facciamo più parte di Erasmus+”, afferma Denis Dafflon, responsabile del servizio relazioni internazionali all’università di Losanna. Un sentimento condiviso dall’università di Zurigo, che sottolinea anche un aumento dell’onere amministrativo.
“La comunicazione è stata un po‘ più complicata con le università in Italia, Francia, Spagna, Regno Unito e Europa dell’Est. Inoltre alcuni tra i migliori istituti al mondo hanno deciso di interrompere la collaborazione con Zurigo nel campo della mobilità e ciò ci ha naturalmente rammaricati”, afferma Josias Planta, responsabile del servizio relazioni internazionali.
Erasmus+ non è però unicamente un programma di mobilità studentesca, ma prevede anche il finanziamento di progetti di ricerca in campo educativo. Ed è in questo settore che le università sono confrontate con i maggiori problemi. La Svizzera non è più autorizzata a coordinare progetti europei e anche per partecipare come semplice partner deve dimostrare di avere un valore aggiunto da offrire. Nel 2014 l’università di Losanna ha perso la direzione di due importanti progetti e anche quella di Zurigo ha dovuto cedere il comando di un progetto nato in seno all’istituto.
L’incertezza è palpabile. “Il prossimo test sarà nell’estate/autunno 2016, quando l’università di Zurigo dovrà prolungare circa 200 accordi di scambio. Stando alla SEFRI, il parlamento deciderà probabilmente solo in dicembre su un prolungamento delle misure transitorie. Ancora una volta dobbiamo contare sulla buona volontà e la fiducia dei nostri partner”, conclude Josias Planta.
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