L’Accordo di Parigi è solo «l’inizio di un processo»
Lo storico accordo per limitare il riscaldamento climatico, adottato sabato alla COP21 di Parigi, è soltanto l’inizio di un processo, ha sottolineato la ministra svizzera dell’ambiente Doris Leuthard. ONG ed ecologisti invitano ora la Confederazione a passare ai fatti.
«Abbiamo trovato una formula per lavorare sul limite dei 2 gradi (di riscaldamento), ma questo non è probabilmente l’obiettivo finale», ha affermato a swissinfo.ch la consigliera federale Doris Leuthard poco dopo l’adozione per consenso del nuovo Accordo di ParigiCollegamento esterno da parte della sessione plenaria della COP21, riunita a Le Bourget.
«Non abbiamo trovato la soluzione definitiva, ma piuttosto una base legale e un meccanismo. Ora è l’inizio di una dinamica concernente le procedure e le misure che devono adottare i diversi paesi», ha aggiunto la ministra dell’ambiente.
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«Un buon compromesso»
«Alle parole devono ora seguire i fatti: gli obiettivi nazionali annunciati vanno realizzati e verificati, e le misure di riduzione delle emissioni di gas serra devono essere adeguate periodicamente», indica in un comunicato ’Ufficio federale dell’ambiente (UfamCollegamento esterno).
L’Accordo di Parigi
L’accordo, che sostituisce il Protocollo di Kyoto del 1997, fissa come obiettivo il mantenimento del riscaldamento globale «ben al di sotto dei 2 °C» e chiede di «proseguire gli sforzi per limitare l’aumento a 1,5 °C» rispetto all’era preindustriale. Prevede anche una revisione degli impegni obbligatori «ogni 5 anni» a partire dal 2025, così come un aiuto finanziario per i paesi del Sud.
L’aiuto ai paesi in via di sviluppo, che deve totalizzare 100 miliardi di dollari all’anno nel 2020, dovrà essere rivisto e aumentato. Questa è una delle esigenze di lunga data dei paesi del Sud.
L’intesa conclusa a Parigi deve permettere di riorientare l’economia mondiale verso un modello a debole consumo di carbonio. Questa rivoluzione implica un abbandono progressivo delle risorse fossili (carbone, petrolio, gas), che attualmente dominano la produzione energetica mondiale, una crescita delle energie rinnovabili, una forte riduzione del consumo energetico e una maggiore protezione delle foreste.Fonte: agenzie
«Sebbene questo accordo non sia perfetto, costituisce un buon compromesso», ha puntualizzato Doris Leuthard, citata dall’Agenzia telegrafica svizzera. In merito alla riduzione di gas a effetto serra, la ministra ha indicato di aspettare con impazienza la reazione del parlamento quando dibatterà della revisione della legge sulle emissioni di CO2.
Per la Svizzera, il fatto che i paesi considerati i principali responsabili delle emissioni globali sono ora tenuti ad agire in virtù dell’Accordo di Parigi, rappresenta «un punto centrale» ottenuto durante i negoziati. Ma l’Ufam avverte che «l’entità degli impegni previsti da questo accordo non è tuttavia sufficiente per limitare a meno di 2 gradi l’aumento della temperatura globale». In occasione delle prossime conferenze sul clima, sottolinea, dovranno essere concretizzate numerose disposizioni.
Tentativi di indebolimento
Questa settimana, la Svizzera era entrata a far parte di un gruppo denominato “High Ambition Coalition”, che riuniva un centinaio di paesi, il cui scopo era di contrastare i tentativi di Cina, India e Arabia Saudita di indebolire alcuni aspetti dell’accordo.
La ministra dell’ambiente ha affermato che i negoziatori svizzeri hanno lavorato duramente per aiutare a trovare un consenso. Paesi in via di sviluppo e Stati industrializzati partivano infatti spesso da posizioni opposte. «Ci sono stati gruppi che hanno fortemente difeso le loro posizioni. Ma abbiamo trovato un accordo e questo è fantastico», ha detto Doris Leuthard, precisando che l’ultima settimana di negoziati è stata particolarmente intensa.
Perdite e danni
Uno dei punti di disaccordo tra la Svizzera e alcuni paesi in via di sviluppo concerneva la questione del meccanismo legato alle perdite e ai danni causati dal cambiamento climatico. L’alleanza dei piccoli Stati insulari (AOSIS), di cui molti rischiano di essere sommersi dall’innalzamento dei mari, aveva chiesto un sistema di aiuto a loro favore.
Come gli Stati Uniti, la Svizzera non voleva però includere nell’accordo una formulazione che l’avrebbe costretta a fornire un sostegno illimitato alle vittime del cambiamento climatico. «Capisco le preoccupazioni degli abitanti di queste isole, che temono per il loro futuro, ma per noi è difficile dire che abbiamo una responsabilità legale per ciò che sta succedendo in quei posti», ha spiegato Doris Leuthard. «È importante dire che si tratta in questo caso di una responsabilità comune. Aiuteremo comunque i paesi ad adattarsi e a ridurre le emissioni».
In un comunicato, le isole Figi hanno giudicato «incoraggiante» il fatto che il meccanismo legato alle perdite e ai danni sia finalmente un punto a sé stante nell’accordo, sebbene si dovranno risolvere ancora diverse questioni durante le prossime discussioni.
Lavoro per la Svizzera
Jürg Staudenmann di Alliance SudCollegamento esterno ha salutato l’adozione dell’accordo, definendola «una tappa storica per l’umanità». L’ONG avrebbe tuttavia auspicato un testo più ambizioso, in particolare sul sostegno finanziario alle popolazioni più povere e fragili, che avrebbero bisogno di un aiuto immediato.
Le autorità elvetiche, ha detto il responsabile di Alliance Sud, devono ora mettersi al lavoro per rispettare l’Accordo di Parigi. «La Svizzera deve modificare la sua legislazione in materia di CO2. L’Accordo di Parigi le conferisce un mandato chiaro».
I Verdi ritengono dal canto loro che la politica climatica della Svizzera «rimane insufficiente». Secondo la vicepresidente Adèle Thorens, «la Svizzera può e deve fare di più». Gli ecologisti chiedono ora al governo federale di «passare all’azione» e di adottare «misure più drastiche» per proteggere il clima.
Per la sezione elvetica del WWFCollegamento esterno, l’Accordo di Parigi costituisce un progresso, ma non un successo. In particolare, osserva l’organizzazione, non contiene alcun segnale chiaro in favore dell’abbandono delle energie fossili. Uno dei suoi rappresentanti, Patrick Hofstetter, presente a Parigi, ha invitato la Confederazione a dare l’esempio sul modo di mantenere il riscaldamento climatico al di sotto di 1,5 ºC. «Ciò significherebbe elaborare una nuova legge sul CO2 l’anno prossimo, in vista della riduzione del 60% delle emissioni in Svizzera entro il 2030».
Nuovi impieghi in un mondo più verde
Doris Leuthard, che ha fatto la spola tra Berna e Parigi durante gli ultimi giorni della COP21 a causa dell’elezione del Consiglio federale, ha agito in seno a un gruppo che è riuscito a inscrivere nell’accordo la nozione di protezione delle foreste.
Interrogata sugli effetti dell’accordo sull’economia svizzera, la ministra ha assicurato che il settore finanziario ha già iniziato a tener conto del prezzo del CO2. L’accordo, ha aggiunto, cambierà la percezione dell’opinione pubblica nei confronti del cambiamento climatico e favorirà la creazione di nuovi impieghi in un mondo più verde.
Traduzione e adattamento dall’inglese di Luigi Jorio (con agenzie)
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Deforestazione, le banche sono pronte a darci un taglio?
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Le grandi banche, incluse UBS e Credit Suisse, devono limitare i loro investimenti nelle produzioni di beni agricoli che implicano la distruzione delle foreste, auspicano alcune ong. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, gli istituti finanziari non stanno infatti facendo abbastanza per contrastare la deforestazione, tra i temi discussi alla COP21.
La deforestazione dovrebbe essere inclusa nell’accordo globale in discussione alla Conferenza internazionale sul clima di Parigi (COP21). Le foreste sono infatti in grado di assorbire in modo naturale il CO2 emesso nell’atmosfera. Secondo il negoziatore della delegazione svizzera Keith Anderson, esperto di politica forestale internazionale, la COP21 sarà «una pietra miliare per la questione della riduzione delle emissioni nel settore forestale».
Tuttavia, fino a quando le istituzioni finanziarie non valuteranno attentamente le loro relazioni con i clienti che promuovono le colture da reddito (olio di palma, soia, pascoli, …) a scapito delle foreste, le azioni per frenare la deforestazione rischiano di essere sterili.
Secondo le voci critiche, gli schemi di certificazione esistenti e le iniziative per la sostenibilità promosse dall’industria, e sottoscritte da banche quali UBS e Credit Suisse, non sono sufficientemente severi. Scott Poynton, fondatore di Forest Trust, un’ong con sede a Nyon (canton Vaud), sostiene che le banche e i servizi finanziari «non stanno facendo la loro parte».
«Nel caso della Tavola rotonda per l’olio di palma sostenibile (RSPO), [un’organizzazione che riunisce le parti interessate], si può deforestare e al contempo ottenere la certificazione. È addirittura possibile procedere al lavoro forzato», afferma Scott Poynton, il cui lavoro è di informare le multinazionali e le istituzioni finanziarie sulle filiere che potrebbero svolgere un ruolo nella deforestazione, aiutandole a formulare delle politiche efficaci.
Banche svizzere accusate di favorire il disboscamento
Questi sistemi, che coinvolgono numerosi attori, si basano sul consenso, prosegue il fondatore di Forest Trust. «Alla fine, a essere incluso negli standard è il minimo denominatore comune. Sul terreno non cambia nulla».
All’inizio di quest’anno, l’ong danese Bank Track ha accusato Credit Suisse di aver concesso un prestito di 50 milioni di franchi a un gruppo indonesiano, la cui società di disboscamento sussidiaria April era stata definita da Greenpeace «la più grande minaccia per la foresta pluviale dell’Indonesia».
Nel 2012, il Fondo Bruno Manser, con sede in Svizzera, ha dal canto suo affermato che UBS ha contribuito a riciclare il denaro di un politico malese, proveniente dal disboscamento illegale nello stato di Sabah, nel Borneo.
In merito alle accuse di Bank Track, Credit Suisse scrive a swissinfo.ch di «partecipare regolarmente a un dialogo con attori esterni quali ong» e di «prendere sul serio le indicazioni relative a clienti che non sono conformi alle nostre politiche e linee guida».
Per ciò che riguarda la Malesia, il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) ha aperto un procedimento penale nei confronti di UBS. Le indagini sono in corso e non può essere fornita alcuna informazione supplementare, indica l’MPC a swissinfo.ch.
Migliorare i controlli
Ethos, la Fondazione svizzera per lo sviluppo sostenibile, auspica dei miglioramenti nel controllo dei crediti, in particolare nei casi in cui il denaro viene concesso a determinate condizioni.
«Quando il Credit Suisse afferma che concede crediti a una condizione, vorremmo saperne di più su questa condizione», dice il direttore di Ethos Vincent Kaufmann, sottolineando che nel quadro della RSPO il controllo è limitato.
Le linee guida di UBS sono più «precise» di quelle di Credit Suisse, puntualizza Vincent Kaufmann, specificando che la banca non accetta di fare affari con aziende attive in foreste protette e chiede ai suoi clienti di ottenere una completa certificazione entro il 2020.
Sebbene le banche locali si facciano spesso avanti quando i grandi istituti internazionali rifiutano di concedere un prestito, questi creditori più piccoli non possono agire da soli, osserva Scott Poynton. «Hanno legami con il settore bancario internazionale».
Banche insufficienti
Consapevoli del ruolo svolto dalle banche e delle ripercussioni sul clima, diverse agenzie dell’ONU (UNEP, FAO, UNDP) hanno commissionato uno studio per valutare le politiche di banche e investitori nei confronti dei cosiddetti beni agricoli quali olio di palma, soia e manzo. Lo studio ha analizzato 30 banche, incluse UBS e Credit Suisse, indica Anders Nordheim dell’Iniziativa Finanziaria del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP FI), con sede a Ginevra.
Le valutazioni si basano su diversi aspetti: le informazioni pubbliche e le dichiarazioni ufficiali degli istituti, l’efficacia delle loro politiche nel contesto dei requisiti ambientali e sociali e il modo in cui queste politiche sono adottate e controllate. In media, le banche hanno ottenuto 58 punti su 100 (quando la “sufficienza” era di 67 punti).
I risultati individuali non sono stati resi noti. Il rapporto si limita a indicare che le valutazioni migliori sono state ottenute dalle banche di sviluppo internazionali, quali la Banca di sviluppo africana e la Società finanziaria internazionale, e dalle banche commerciali Standard Chartered e Sumitomo Mitsui Trust. A loro è stato riconosciuto il merito di avere «investito risorse per capire, e prendere in considerazione, i rischi legati ai beni agricoli».
«Banche, trader e consulenti d’investimento hanno un impatto indiretto considerevole quando concedono prestiti o investono in aziende coinvolte in produzioni non sostenibili oppure attive nel commercio di beni agricoli», indica il rapporto.
Tener conto dei rischi ambientali e sociali
Secondo il direttore esecutivo dell’UNEP, Achim Steiner, gli istituti devono impegnarsi assieme ai clienti, ridurre i crediti concessi alle pratiche più dannose e incorporare i rischi derivanti dal degrado ambientale nella loro analisi finanziaria.
Per aiutare gli istituti finanziari a valutare le loro prassi, a sviluppare politiche appropriate e a raffrontarsi con altri istituti, l’Iniziativa Finanziaria dell’UNEP ha sviluppato uno speciale strumento online. Le banche, insiste Anders Nordheim, devono integrare questa comprensione dei rischi nei loro diversi servizi e transazioni.
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