Roma e Berna tornano a rivolgersi la parola
Italia e Svizzera hanno istituito un gruppo di pilotaggio per risolvere il conflitto fiscale e finanziario tra i due paesi. È quanto annunciato mercoledì in un comunicato comune. I ristorni fiscali dei frontalieri italiani, congelati mesi fa dal canton Ticino, sono stati sbloccati.
I segnali di disgelo lanciati una settimana fa da Mario Monti si sono velocemente tradotti nei fatti. Roma e Berna hanno infatti concordato l’apertura di un dialogo per risolvere le vertenze che ormai da anni avvelenano i rapporti tra i due paesi.
In una riunione svoltasi mercoledì, il responsabile della Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali Michael Ambühl e il consigliere diplomatico del ministero dell’economia e delle finanze italiano Carlo Baldocci hanno convenuto di istituire un gruppo di lavoro, la cui prima riunione è in programma il 24 maggio.
Incontro Widmer-Schlumpf – Monti
«Sono contenta che la porta sia stata riaperta, anche se siamo solo all’inizio», ha sottolineato in una conferenza stampa a Berna la presidente della Confederazione Eveline Widmer-Schlumpf. Nei prossimi giorni (la data non è ancora stata fissata), Eveline Widmer-Schlumpf si recherà a Roma per incontrare Mario Monti.
Non si tratterà di «un’umiliazione di Canossa», ha affermato la ministra delle finanze. Anche Roma è interessata a raggiungere un’intesa.
Il principale nodo da sciogliere sarà quello riguardante un possibile accordo fiscale, sul modello delle convenzioni già sottoscritte dalla Svizzera con Gran Bretagna e Germania, per regolarizzare gli averi non dichiarati e introdurre un’imposta alla fonte sui redditi da capitali.
Le discussioni porteranno anche su altri tre temi: l’accesso ai mercati finanziari, la presenza della Svizzera sulle liste nere italiane, che pregiudica le attività delle aziende elvetiche nella Penisola, nonché la revisione della Convenzione contro la doppia imposizione e il relativo accordo sull’imposizione dei lavoratori frontalieri.
Le «black list» fanno male non solo alle imprese ticinesi ma anche confederate, ha ricordato il presidente del Consiglio di Stato ticinese Marco Borradori durante la conferenza stampa. L’esponente della Lega dei ticinesi ha poi sottolineato l’importanza che il cantone accorda al riesame dell’accordo sui frontalieri: «Attualmente all’Italia viene retrocesso il 38,5% dell’imposta alla fonte percepita sul reddito dei frontalieri. Il parlamento ticinese ha recentemente chiesto di esaminare se non sia il caso di abbassare questa percentuale (nel caso dei frontalieri austriaci viene retrocesso a Vienna il 12,5%, ndr.). Più che una questione di cifre, si tratta però di valutare se questo accordo, che risale al 1974, sia ancora d’attualità o se non vada rivisto in alcuni punti».
Imposte ristornate
Se fino a un mese fa probabilmente nessuno avrebbe scommesso un centesimo sull’apertura a breve termine di negoziati tra Svizzera e Italia, le speranze si sono improvvisamente riaccese una settimana fa, quando il premier italiano aveva ventilato per la prima volta la possibilità di trattare per un accordo fiscale con la Confederazione.
Monti aveva però imposto una condicio sine qua non, ossia il «rispetto degli accordi vigenti». In altre parole, Monti aveva chiesto che si ponesse fine al blocco dei ristorni delle imposte alla fonte percepite sui redditi dei frontalieri. Nel giugno 2011, il governo ticinese aveva deciso unilateralmente di bloccare la metà dei ristorni «per lanciare un segnale politico forte», come aveva dichiarato all’epoca Marco Borradori, non solo nei confronti di Roma ma anche e soprattutto nei confronti della Confederazione, affinché si impegnasse per riaprire al più presto le trattative.
«Visto che le condizioni poste dal governo ticinese sono state adempiute, ovvero la ripresa delle discussioni e le indicazioni su un mandato di negoziazione globale», questo sospensione dei ristorni non aveva più ragione di essere, ha sottolineato la consigliera di Stato Laura Sadis, e i 28 milioni di franchi nel frattempo affluiti su un conto bloccato sono stati riversati all’Italia. «Il blocco non era fine a sé stesso – gli ha fatto eco Marco Borradori – aveva un obiettivo che è stato raggiunto».
Nel 2009, il governo italiano ha inserito la Svizzera nella lista nera dei paesi non cooperativi in materia fiscale e ha congelato le trattative in vista di un nuovo accordo sulla doppia imposizione fiscale.
Sempre nello stesso anno, settantasei filiali di banche elvetiche e di uffici bancari collegati a intermediari svizzeri in Italia sono stati perquisiti dalle Guardie di finanza in una retata senza precedenti.
Le autorità italiane hanno inoltre istallato telecamere ai posti di frontiera per sorvegliare il traffico di denaro e hanno inviato agenti in incognito nel canton Ticino per controllare i clienti italiani delle banche svizzere.
In seguito a queste misure, nel 2011 il Canton Ticino ha deciso di bloccare la metà dei ristorni delle imposte alla fonte prelevate sui frontalieri. Fino all’anno scorso, le autorità ticinesi riversavano ai Comuni italiani di confine il 38,8% delle trattenute fiscali.
La vertenza fiscale ha incrinato negli ultimi anni i rapporti tra i due paesi. Secondo la televisione svizzera RSI, Giorgio Napolitano aveva rinunciato tre mesi fa ad un visita in Svizzera. Il presidente della Repubblica italiana voleva che prima fossero intavolate delle trattative e riconsegnati i ristorni dei frontalieri bloccati.
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