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Rubik, una proposta fiscale che non piace a Parigi

Imposta alla fonte in cambio dell'anonimato: per le banche svizzere è una buona cosa Ex-press

Rubik, il modello svizzero di convenzione fiscale che ha convinto Germania e Gran Bretagna, lascia indifferente la Francia: questione di principio, ma anche elettorale.

Un rompicapo. Come conciliare il segreto bancario svizzero e la lotta all’evasione fiscale? Per la Germania e la Gran Bretagna, la risposta si chiama Rubik (sì, come il famoso cubo) ed ha la forma dell’accordo che hanno siglato con la Svizzera. Rubik permetterà a Berlino e Londra di incassare miliardi, ma non di ottenere il nome dei loro cittadini con conti in Svizzera.

Austria e Grecia hanno già manifestato interesse nei confronti di un accordo simile. L’Italia è divisa tra chi sta con il ministro del tesoro Tremonti – contrario a trattative – e chi invece è tentato dai 9 miliardi di euro che, secondo le stime del quotidiano economico Il Sole 24 Ore, arriverebbero nelle casse dello stato con un accordo.

E la Francia? Non intende assolutamente rivedere i suoi principi in materia di lotta all’evasione fiscale. Almeno per ora. Eppure la proposta elvetica è allettante. Diversi miliardi di euro serviti su un piatto d’argento, al più tardi dal 2013. Una manna in questi tempi di crisi e indebitamento pubblico. Basti ricordare che il 24 agosto il governo francese ha annunciato tutta una serie di misure che peseranno sulle imprese, le classi medie e – accessoriamente – su chi ha redditi molto alti.

Semplice e molto sofisticata

L’idea che sta alla base di Rubik è contemporaneamente semplice e molto sofisticata. In poche parole, la Svizzera si occupa di tutto: riscuote un’imposta liberatoria alla fonte – ovvero sui conti dei contribuenti stranieri – e la versa agli altri paesi, senza divulgare nomi, numeri di conto o IBAN. Anonimità invece di trasparenza totale e scambio d’informazioni come vorrebbe l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse).

Il 24 agosto, la Gran Bretagna ha firmato un accordo fiscale ispirato a Rubik. I contribuenti britannici con conti in Svizzera dovranno dichiarare i loro averi al fisco inglese o accettare un’imposta sui redditi e utili da capitali che oscillerà tra il 27% e il 48%. I proventi saranno versati alle autorità britanniche.

Con la Germania, l’accordo è stato concluso il 10 agosto. L’imposta sugli utili sarà del 26,375%, praticamente identica a quella prevista per gli averi depositati nello stato tedesco. Come contropartita, le banche svizzere non dovranno rivelare l’identità dei loro clienti. Grazie all’imposta liberatoria, la Germania dovrebbe incassare un miliardo di euro l’anno. In più, riceverà una decina di miliardi a titolo di «risarcimento» per i casi di evasione fiscale del passato.

Per la Francia, peggio di un’amnistia

Parigi, per il momento, non vuole entrare in materia. L’avvocato fiscalista svizzero Philippe Kenel spiega così questa reticenza: «In sostanza Rubik consiste in un assegno volto a saldare i debiti del passato e poi, ogni anno, i proventi di un’imposta liberatoria che regola il presente. In altre parole è una forma di amnistia. E la Francia si è sempre opposta alle amnistie in materia fiscale».

Secondo Kenel, Rubik sarebbe visto addirittura peggio di un’amnistia. «Un’amnistia fiscale classica favorisce il rientro in patria dei capitali nascosti al fisco. Con Rubik, invece, i soldi restano all’estero».

Parigi, però, non ha chiuso completamente la porta. Secondo Mario Tour, portavoce della Segreteria di stato per le questioni finanziarie internazionali, «le autorità francesi sono interessate, ma piuttosto scettiche. Se dovessero constatare che il sistema funziona, potrebbero cambiare d’avviso».

Nelle speranze della Svizzera c’è dunque un effetto valanga. L’avvocato Kenel ricorda che «Berna ha cercato di convincere l’Unione europea che Rubik aveva lo stesso valore dello scambio automatico d’informazioni in materia fiscale. Invano. Allora la Svizzera si è concentrata sui singoli paesi, sperando che la salsa legasse poco a poco».

La freddezza di Parigi è una questione di «coerenza» e di «principio». Nicolas Zambelli, avvocato fiscalista a Ginevra e specialista di questioni franco-svizzere aggiunge: «E di timing».

Sulla lista grigia dell’Ocse

«Additata da tutti nel 2009, inserita addirittura nella lista grigia dell’Ocse, dove è rimasta per qualche mese, per trarsi d’impaccio la Svizzera ha dovuto negoziare rapidamente dodici accordi di cooperazione fiscale», ricorda Zambelli. La Francia faceva parte del gruppo. Il nuovo accordo è entrato in vigore il 1. gennaio 2010.

Nel frattempo, «Parigi ha attuato una vera e propria politica di lotta all’evasione fiscale sul suo territorio», aggiunge Zambelli. «Le sanzioni per i colpevoli sono state inasprite e contemporaneamente sono stati prolungati i termini di prescrizione in materia fiscale».

Una marcia indietro è molto improbabile. «Soprattutto in periodo elettorale», spiega il fiscalista ginevrino. In questi tempi di crisi e indebitamento pubblico, Nicolas Sarkozy difficilmente potrà permettersi di fare il benché minimo regalo ai ricchi contribuenti. Nel 2012, però, le cose potrebbero cambiare.

Germania e Gran Bretagna hanno concluso un accordo con la Svizzera.

Austria e Grecia hanno manifestato il loro interesse.

La Francia ha ufficialmente declinato l’offerta delle banche svizzere. Per Parigi, la trasparenza deve avere la priorità.

La Norvegia ha espresso dubbi sulla legalizzazione di conti segreti e afferma di non essere intenzionata ad avviare trattative con la Svizzera.

Il Belgio ha dichiarato che per il momento non ha contatti in merito con la Svizzera.

Anonimato. Il progetto Rubik separa il reddito e gli utili dal capitale. Introduce un’imposta alla fonte da versare agli stati esteri rispettando l’anonimato dei detentori stranieri di conti in Svizzera.

Protezione. Secondo i promotori, preservando la sfera privata del cliente questa strategia avrebbe anche l’effetto di proteggere i collaboratori delle banche straniere in Svizzera da eventuali procedimenti giudiziari intentati da stati esteri.

Fughe evitate. La garanzia dell’anonimato permetterebbe di evitare che i detentori stranieri di conti gestiti da banche svizzere portino i loro beni altrove.

(Traduzione, Doris Lucini)

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