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“La Russia e l’Europa sono agli antipodi nella protezione dei diritti umani”

perosne a un tavolo
Olga Romanova durante una discussione coi colleghi europei su questioni relative ai diritti umani. Olga Romanova

Olga Romanova ha lasciato la Russia dopo essere stata messa sotto pressione a causa delle sue attività contro il regime. Ora la dissidente vive in Germania e denuncia gli abusi che accadono nel suo Paese. Al centro del suo lavoro: il problematico sistema giudiziario russo e la lotta per i diritti dei detenuti.

Mentre la partecipazione diretta del popolo al governo dello Stato è una tradizione di lunga data in Svizzera, il popolo russo non ha ancora molte opportunità per farlo. Per questo motivo, personalità pubbliche e attivisti creano fondazioni e organizzazioni senza scopo di lucro per aiutare la società nel suo complesso e alcuni individui in ambiti che destano preoccupazione.

“Le sanzioni svizzere contro determinate persone sono una mossa intelligente.”

Il sistema penitenziario è uno di questi ambiti. Rus Sidyashchaya’ (Russia dietro le sbarre) è la più nota organizzazione russa per i diritti umani e si occupa di questioni rilevanti. È diretta dall’attivista e saggista Olga Romanova. L’organizzazione aiuta i detenuti e le loro famiglie in varie fasi del loro percorso: durante il processo, dopo l’eventuale condanna, fino all’adattamento a una nuova vita dopo il rilascio.

Gli ultimi tre anni sono stati molto intensi per Romanova: si è trasferita a Berlino per motivi politici, ha scritto un altro libro ed è diventata una blogger influente.

swissinfo.ch: Quali emozioni suscitano le notizie che provengono dalla Russia?

Olga Romanova: Quando abbiamo sentito per la prima volta dell’avvelenamento di Navalny mi sono spaventata, davvero spaventata. Era come se le autorità del nostro paese cercassero di dire a tutti noi: “Sì, può succedere a chiunque”.

Quale sarebbe la risposta adeguata della Svizzera a situazioni come il caso Navalny?

Per la società civile che resiste in Russia, ogni reazione è importante. Abbiamo bisogno di percepire segnali di ascolto. Una notizia sulla stampa svizzera? Eccellente! Un forum, un workshop o un festival con la partecipazione di personalità politiche d’opposizione russe, attivisti, giornalisti e sostenitori dei diritti umani potrebbero rappresentare un grande sostegno. Le sanzioni svizzere contro determinate persone sono una mossa intelligente. Anche l’indagine sull’origine dei beni appartenenti a funzionari e ufficiali russi delle forze di sicurezza depositati in Svizzera potrebbe essere un’ottima risposta.

Inoltre, ad esempio, se un residente svizzero che parla russo o che sta studiando russo scrivesse una lettera a un prigioniero politico in Russia, potrebbe essere di grande aiuto, perché una lettera in una busta affrancata proveniente dalla Svizzera potrebbe impressionare molto la direzione del carcere e quindi questo prigioniero potrebbe sfuggire alla tortura.

Nata nel 1966, è una giornalista russa, attivista politica e scrittrice. È la fondatrice dell’organizzazione non governativa Rus Sidyashchaya (in italiano: ‘Russia dietro le sbarre’), che si batte per i diritti dei detenuti e degli oppositori politici. Nel 2017 è fuggita dalla Russia a Berlino, dove ora vive.

Nel 2008, il suo allora marito, Alexei Kozlov, un imprenditore della classe media, è stato arrestato. Durante il processo, Kozlov è rimasto imprigionato in una colonia penale siberiana per tre anni. Durante questo periodo è stata fondata l’organizzazione Rus Sidyashchaya.

Quando gli uffici dell’organizzazione sono stati perquisiti nel giugno 2017, Romanova ha lasciato la Russia. L’accusa era che ‘Russia Behind Bars’ avesse sottratto fondi statali, benché l’organizzazione non abbia mai ricevuto denaro dallo Stato russo.

Se cercassimo di confrontare la tutela dei diritti umani in Russia e in Europa, quali caratteristiche comuni e quali differenze emergerebbero?

Siamo due mondi agli antipodi. Il compito principale degli attivisti per i diritti umani nella Russia del XXI secolo è quello di spiegare che la tortura è un male e proibita dalla Convenzione di Ginevra e che le persone non possono essere torturate in nessun caso. Dobbiamo ancora giustificarlo e dimostrarlo. In Russia, c’è una legge che permette l’uso della forza fisica e delle pistole stordenti contro un individuo in caso di aggressione fisica e gli agenti di polizia possono sempre sostenere di essere stati aggrediti, mentre l’opinione pubblica è abituata a credere che “non c’è fumo senza arrosto”.

Quindi ci sono differenze sia nella legge che nell’applicazione della legge?

Perché il sistema giudiziario russo è così raccapricciante, così corrotto? Perché l’élite russa crede di essere immune rispetto a questo stesso sistema e vive secondo il principio “Tutto per gli amici, la legge per i nemici”.

Le persone che lavorano nelle carceri europee non sono gravate da pensieri sul loro stesso operato, ma qui osserviamo anche la differenza di mentalità. Una volta ho parlato con un impiegato di un carcere in Germania e gli ho chiesto se urlasse e reagisse violentemente contro i detenuti. Mi ha risposto: “No, mai. Perché? Se urlo, a loro non piacerebbe. Reagirebbero male e probabilmente si comporterebbero in modo irragionevole. Tutto questo porterebbe a insoddisfazione, lamentele e ispezioni. Perché dovrei provocare tutto questo?

Non ho nemmeno provato a chiedergli delle torture.

Olga Romanova
Olga Romanova durante una conferenza. Olga Romanova

La durata delle pene in Russia e in Svizzera o in Germania è ovviamente differente. Qual è la differenza nei metodi?

Il principale problema russo è quello della riabilitazione degli ex detenuti. L’Europa si concentra sul reinserimento di una persona nella società, fornendo un lavoro agli ex detenuti, evitando che diventino emarginati. In Russia il sistema di rinserimento è organizzato male e la detenzione è paragonabile a una condanna a vita. Una persona detenuta è semplicemente cancellata dalla società e stigmatizzata, di solito insieme alla sua famiglia.

Come mai la Russia non rispetta i diritti umani fondamentali?

Uno dei problemi principali è che le persone non sono consapevoli dei propri diritti. Lo Stato può prendere una ragazza di 14 anni da casa e rinchiuderla in un ospedale psichiatrico con il consenso dei genitori. Si è scoperto che alla madre è stato detto: “Sua figlia non sta bene”, le è stato dato un foglio da sottoscrivere e la madre ha firmato. La ragazza è stata trovata in tempo e salvata, ma è stato un caso molto complicato, perché i suoi genitori non avevano formalmente nulla contro il suo ricovero coatto.

Come è considerato il lavoro della vostra organizzazione in Europa?

Abbiamo ricevuto la sovvenzione dell’UE per monitorare il rispetto dei diritti umani nelle carceri. Ma dobbiamo affrontare alcuni ostacoli legati alle differenze di mentalità. Faccio un esempio: ogni Paese ha la quota Interpol che limita il numero di persone ricercate da rivendicare. La quota della Russia è molto alta, 160 persone, il doppio di quelle che Cina e Stati Uniti hanno insieme. Inoltre, il 99% dei ricercati è ceceno.

Perché?

Difficilmente possiamo spiegare agli europei che la maggior parte dei casi sopracitati sono persecuzioni politiche. Questo è il modo in cui il nostro governo tratta i suoi avversari. I documenti presentati per l’estradizione vengono eseguiti alla perfezione. Questo è un problema per le organizzazioni locali per i diritti umani, perché è difficile dimostrare che questi documenti sono falsi in sostanza.

Dopo averli esaminati, l’europeo capisce che la persona in questione è un terrorista o un islamista, comunque un criminale che deve essere estradato. Così ha funzionato per diversi anni fino all’assassinio di Zelimkhan Khangoshvili a Berlino nel 2019, quando la Corte costituzionale si è fatta un quadro completo del caso e ha annunciato che i documenti provenienti dalla Cecenia non erano più validi perché lì la giustizia veniva violata.

Come funziona concretamente la vostra organizzazione? A quali progetti state lavorando?

Durante uno dei nostri ultimi progetti abbiamo intervistato i detenuti e le loro famiglie e, sulla base delle loro risposte, ci siamo fatti un’idea della situazione in un determinato carcere: come funziona il sistema di riscaldamento, se gli avvocati hanno contatto con i detenuti, se ci sono reclami presso la Corte europea dei diritti dell’uomo e così via.

Come è andata?

Abbiamo fatto un buon lavoro e gli effetti ci hanno stupito: di solito, le persone che ci parlano sono detenuti e parenti, ma in questo caso siamo stati contattati da funzionari della prigione e del campo. Sono stati un terzo di tutti gli intervistati. Ci hanno rivelato una serie di fatti: alcuni di loro sono stati costretti a lavorare per tre settimane senza un giorno di riposo, altri hanno dovuto convertire i locali della prigione in ospedali senza alcun controllo da parte dei medici. Le autorità li hanno lasciati senza alcun sostegno durante questa crisi e si sono rivolti a noi per paura, ovvero perché non ripongono alcuna fiducia nel governo.

L’organizzazione ha festeggiato i 10 anni nel 2020, un anno piuttosto turbolento. A che punto è del suo percorso?

‘Russia Behind Bars’ è sopravvissuta e si è sviluppata in modo significativo. La School of Public Defender – il progetto a lungo termine dell’organizzazione – è ancora in corso, anche se ora dobbiamo gestirla online a causa della pandemia. Inoltre, abbiamo creato degli studi legali affiliati, che forniscono finanziamenti per molti altri progetti.

“Uno dei problemi principali è che le persone non sono consapevoli dei propri diritti.”

A dire la verità, ‘Russia Behind Bars’ rimane il progetto della mia vita. Abbiamo affrontato la pandemia preparati perché durante i tre anni passati, quando ho vissuto fuori dalla Russia, abbiamo operato a distanza.

Che impatto ha avuto la pandemia sulla vita nelle prigioni?

La pandemia ha aggiunto il tema Covid-19 alla nostra agenda. Volevamo sapere quanti prigionieri sono stati effettivamente contagiati. La Svizzera e diversi Paesi dell’UE hanno smesso di inviare nuovi detenuti nelle prigioni durante la prima ondata. I condannati sono rimasti rinchiusi in casa e hanno aspettato di essere convocati per scontare la loro pena in carcere. I tribunali hanno cercato di evitare le pene detentive sostituendole con multe. Anche le estradizioni criminali sono diminuite.

E in Russia?

Secondo i dati ufficiali dell’aprile 2020, 3000 dipendenti e 2000 detenuti sono stati contagiati dal coronavirus nelle carceri russe. Ovviamente è impossibile. Le autorità hanno bisogno dei dati per renderli noti, mentre noi ne abbiamo bisogno per capire la reale portata del problema e trovare il modo di risolverlo.

Secondo David Mühlemann, capo dell’unità per la privazione della libertà presso Humanrights.ch, i detenuti nelle prigioni svizzere sono colpiti dal coronavirus più del resto della popolazione. “Le loro libertà e i loro diritti fondamentali, già fortemente limitati, sono ulteriormente minati”, dice Mühlemann. Cita un minor numero di uscite, l’annullamento delle visite o la possibilità di riceverle solo dietro la parete divisoria e l’estensione dei tempi di confinamento in cella. “Un detenuto ci ha detto che non gli hanno permesso di prendere in braccio il suo neonato a causa del rischio di infezione”, dice l’attivista per i diritti umani.

Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti ha invitato due volte gli Stati, a marzo e a luglio, a prendere in considerazione alternative alla privazione della libertà. Secondo le informazioni dell’organizzazione per i diritti umani di Mühlemann, la Svizzera ha dato seguito a questa richiesta solo in misura limitata. Mühlemann riferisce che singoli cantoni hanno liberato un buon numero di prigionieri appartenenti a gruppi a rischio.


Traduzione dal tedesco: Mattia Lento

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