Schiarimenti nelle relazioni tra Berna e Bruxelles
Una rondine non fa primavera: benché la decisione del governo svizzero di applicare la libera circolazione alla Croazia, a titolo transitorio, consenta di riavviare il dialogo tra Berna e Bruxelles, la stampa elvetica vede ancora molte nuvole nere all'orizzonte.
Il governo federale ha deciso ieri di trattare la Croazia alla stessa stregua di tutti gli altri Stati dell’Unione europea, finché non sarà trovato un accordo globale sulla libera circolazione delle persone tra Berna e Bruxelles, al massimo entro tre anni. Una nuova intesa resasi necessaria dopo l’approvazione, nella votazione del 9 febbraio scorso, dell’iniziativa popolare contro l’immigrazione di massa, che prevede l’introduzione di contingenti di lavoratori stranieri in Svizzera.
Dato che l’articolo costituzionale approvato il 9 febbraio, comporta la rinegoziazione dell’accordo bilaterale tra la Confederazione e l’Unione, l’esecutivo elvetico aveva in seguito rifiutato di firmare il protocollo sull’estensione della libera circolazione alla Croazia, nuovo Stato membro dell’UE.
Ma poiché il testo adottato nella votazione popolare dà tre anni di tempo per giungere alla sua applicazione, il governo ha ora deciso una soluzione di transizione: a partire da luglio, la Svizzera concederà 50 permessi di dimora annuali e 450 permessi per dimoranti temporanei a cittadini croati. L’esecutivo ha inoltre previsto di versare alla Croazia 45 milioni di franchi, quale contributo all’allargamento, conformemente al memorandum d’intesa con l’UE. Un contributo che dovrà però essere avallato dal parlamento svizzero.
La manovra governativa è volta a rilanciare i negoziati con l’UE sulle questioni istituzionali, come pure sulla partecipazione svizzera al programma di mobilità degli studenti Erasmus+, e di ricerca scientifica Orizzonte 2020 e Media. E la reazione di Bruxelles è stata immediata: gli ambasciatori dei 28 Stati membri ieri hanno dato il via libera al mandato UE per negoziati su un accordo quadro (sulle questioni istituzionali) con Berna. La piena partecipazione ai programmi “Horizon 2020” e “Erasmus +” non è invece ancora possibile.
La decisione del governo federale di impegnarsi a rispettare la libera circolazione delle persone con la Croazia è stata accolta positivamente da quasi tutti i partiti svizzeri. Solo l’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice) – promotrice dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa – e il Partito socialista (PS) la criticano, sebbene per opposte ragioni.
L’UDC, annunciando che si batterà contro l’accordo, ritiene che il governo faccia concessioni “inammissibili” all’Unione europea, mettendo a repentaglio l’autodeterminazione della Svizzera. Berna sacrifica l’indipendenza “per programmi educativi e di ricerca che sono dubbi”. L’accordo non ha valore poiché ignora la volontà popolare. “Lo scorso 9 febbraio i cittadini hanno deciso di porre fine alla libera circolazione delle persone”, scrive l’UDC in un comunicato.
Per i socialisti invece l’accordo è una sorta di bricolage politico che riduce il margine di manovra e la sovranità del Paese. “Gli sforzi del Consiglio federale per risanare le relazioni con l’UE sono onorevoli, ma poco convincenti”, secondo il PS. Con la garanzia alla Croazia Berna si salva momentaneamente, ma non è una soluzione stabile, dichiarano i socialisti; non se la cavano né i ricercatori né gli studenti o il mondo cinematografico. Occorre un esame di tutte le opzioni politiche nei riguardi dell’UE affinché i cittadini possano valutare le conseguenze di una prossima votazione sulla politica europea.
(Fonte: Ats)
Senza grande entusiasmo
La stampa svizzera oggi si rallegra della ripresa del dialogo, ma in generale i commentatori vedono il bicchiere piuttosto mezzo vuoto che mezzo pieno. E prospettano un cammino lento, tutto in salita.
Del resto, lo stesso presidente della Confederazione Didier Burkhalter, ieri si era mostrato prudente: “Abbiamo rilanciato il dossier europeo, anche se al piccolo trotto, ma la strada da percorrere è ancora irta di ostacoli”.
“Il processo di discussione rimesso in moto è un inizio prezioso. È per così dire un quadro regolamentato per i lavori di riparazione per restare sulla via bilaterale nei prossimi tre anni”, scrive Der Bund. Il quotidiano bernese avverte però che “legare un pacchetto completo, che va bene sia all’UE che al popolo svizzero, richiederà molta creatività”.
Nella sua edizione online, la Neue Zürcher Zeitung sottolinea che questa “soluzione pragmatica” rappresenta indiscutibilmente “un successo della diplomazia svizzera in una situazione piuttosto ingarbugliata”. Il commentatore del media zurighese puntualizza però che la diplomazia non basta per ottenere un risultato finale soddisfacente.
“La soluzione unilaterale trovata dal Consiglio federale nella questione croata ha placato la situazione bloccata dopo l’adozione dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa. Tuttavia non c’è ancora alcuna soluzione definitiva in vista”, rileva dal canto suo il Walliser Bote.
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Fattura salata per una pace di facciata
“UE: la Svizzera ottiene poco ma non poteva aspettarsi di più”, titola Le Temps, per il quale “siamo entrati in un’era d’incertezza e di squilibrio”. Secondo il foglio ginevrino, “malgrado tutti i suoi sforzi per rabberciare le relazioni della Svizzera con l’UE, il presidente della Confederazione Didier Burkhalter deve confessare che, ormai, il meglio che potremmo ottenere non sarà mai all’altezza di quel che avevamo. Bisognerà accontentarsi”.
In un commento comune, il 24heures e la Tribune de Genève mettono l’accento sul prezzo da pagare per quella che giudicano “una pace fittizia” tra la Svizzera e l’UE. “La distensione spettacolare osservata dopo le prime irritazioni di febbraio è stata acquisita con uno sforzo notevole. E la ripresa del dialogo è stata pagata in contanti”, sottolineano i due quotidiani lemanici.
In cambio di cosa?, si chiedono poi. “Ebbene, non di granché. Appena la promessa di una ripresa dei negoziati e, forse, la prospettiva di un accordo istituzionale che ‘rinnova la via bilaterale’, secondo il nuovo vocabolario diplomatico elvetico”.
Rapporti di forza
I giornali sono unanimi nel considerare che lo stratagemma trovato per la Croazia non risolve i problemi in sospeso con Bruxelles. Soprattutto, il popolo svizzero dovrà dire chiaramente se vuole o meno continuare sulla via bilaterale con l’UE.
“Il quadro istituzionale delle relazioni con l’UE l’accesso al grande mercato, l’accordo sull’elettricità, tutto dipenderà da un solo fattore, qualsiasi sia la qualità de nostri negoziati: il mantenimento o meno dell’accordo della libera circolazione”, scrive Le Temps.
Spetterà “in ogni caso al popolo prendere una decisione sul risultato dei negoziati. Di fatto, ciò porterà a una nuova votazione, nella quale dovremo dire se vogliamo realmente applicare l’iniziativa contro l’immigrazione di massa”, sottolinea la Berner Zeitung.
E “alla fine saranno gli europei che decideranno se considerano la nuova legislazione compatibile o no con l’accordo sulla libera circolazione”, ammonisce Le Temps. “Il voto del 9 febbraio non ha invertito il rapporto di forza tra la Svizzera e l’UE. Al contrario”, rincarano il 24heures e la Tribune de Genève.
Il commento del responsabile dell’attualità nazionale della RSI
Entrato in vigore gradualmente dal 2002, l’accordo sulla libera circolazione delle persone tra la Svizzera e l’UE figura tra i punti fondamentali del primo pacchetto di trattati bilaterali.
Questo accordo garantisce ai cittadini svizzeri e a quelli dell’UE il diritto di lavorare e risiedere in ognuno dei paesi firmatari.
Il popolo svizzero si è già espresso tre volte su questioni relative alla libera circolazione delle persone. Nel maggio 2000, gli accordi bilaterali I sono stati approvati da una chiara maggioranza di cittadini.
Nel 2005, il popolo elvetico ha accettato di estendere gli accordi ai 10 paesi che hanno aderito nel 2004 all’UE.
Nel 2009 è stata accettata anche l’estensione dell’accordo ai due nuovi membri dell’UE, la Romania e la Bulgaria.
I rapporti tra la Svizzera e l’UE sono regolati da una ventina di accordi bilaterali e da un centinaio di altri trattati.
In caso di disdetta di un accordo, tutto il pacchetto di trattati bilaterali rischia di cadere.
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