“Questo mese salterà in aria Palazzo federale. Tremate!”
Una nuova serie di swissinfo.ch rievoca alcuni poco noti attacchi anarchici sul suolo svizzero. Questi episodi storici mostrano varie forme di terrore che la Svizzera ha dovuto affrontare all'inizio del XX° secolo. Parte 1: Quando Palazzo federale era diventato un bersaglio terroristico.
Il 26 gennaio 1885 il presidente della Confederazione Karl Schenk rimase inorridito, sfogliando la posta giunta a Palazzo federale. Una lettera anonima lo avvertiva che gli anarchici intendevano “far saltare in aria l’edificio durante una sessione plenaria del Consiglio federale”.
“Fate sorvegliare giorno e notte Palazzo federale, non lasciate entrare nessun estraneo, ma state attenti, poiché tutti i compagni dispongono di armi e acido solforico”, lettera anonima.
Diciassette uomini si erano offerti volontari per “compiere l’orribile lavoro”. La dinamite e l’orologio di accensione erano già a Berna, il materiale esplosivo era sufficiente “per distruggere tutta la città”.
L’autore della lettera, che si definiva il “numero 5”, era apparentemente afflitto dal rimorso. Affermava: “Rabbrividisco al pensiero di essere complice del terribile crimine, e così, su sollecitazione della mia cara moglie, faccio questa confessione”. Concludeva con il consiglio: “Fate sorvegliare giorno e notte Palazzo federale, non lasciate entrare nessun estraneo, ma state attenti, poiché tutti i compagni sono dotati di armi e acido solforico”.
Cambiare la società con la forza
Il presidente Schenk non prese la lettera alla leggera. In quegli anni erano diventati piuttosto frequenti gli attentati contro rappresentanti del potere statale e teste coronate. Gli autori erano per lo più sostenitori della cosiddetta propaganda del fatto, una corrente ideologica all’interno dell’anarchismo che sosteneva l’uso della violenza per cambiare la società. Coltelli e pistole, impiegati per i primi attacchi, avevano lasciato ben presto il posto a bombe, riempite della dinamite brevettata da Alfred Nobel nel 1867.
Nell’ottobre del 1878 vennero sparati dei colpi contro il re spagnolo Alfonso XII, un mese dopo il re Umberto I d’Italia subì lievi ferite in un attacco con un coltello e nel 1881 lo zar Alessandro II perse la vita in un attentato dinamitardo. Contro l’imperatore Guglielmo I vennero compiuti tre attacchi dal 1878. L’ultimo fallì solo perché la bomba non esplose a causa di una miccia umida. Alla luce di questa evoluzione, il Presidente Schenk non poteva escludere che gli anarchici stavano effettivamente progettando un attentato nel Palazzo federale.
Rifugio per gli anarchici stranieri
Benché fosse stata fino allora risparmiata dagli attacchi, la Svizzera svolse un ruolo importante nel terrore anarchico. Grazie alla sua politica liberale in materia di asilo, era diventata un importante rifugio per i perseguitati politici, provenienti soprattutto da Germania, Francia, Italia e Russia, che continuavano la loro lotta dal neutro suolo svizzero.
Si organizzavano in circoli cospiratori e, poiché la libertà di stampa era sancita dalla Costituzione svizzera fin dal 1848, stampavano qui opuscoli e riviste, per poi introdurli clandestinamente nei loro paesi d’origine.
Non era quindi un caso che le più importanti testate dell’anarchismo militante, “Freiheit” e “L’Avant-Garde”, fossero state fondate in Svizzera. Entrambe proclamavano la “necessità della rivoluzione” e diffondevano la violenza come mezzo legittimo contro lo sfruttamento, l’oppressione e l’ipocrisia. “Finché avremo una casta di fannulloni, sorretti dal nostro lavoro con il pretesto che sono necessari per guidarci, costoro formeranno sempre una fonte di peste per la morale pubblica”, si poteva leggere in L’Avant-Garde. “Abbiamo la peste in casa, dobbiamo distruggerne la causa e, se deve essere fatto con il ferro e il fuoco, non dobbiamo esitare”.
A causa della sua posizione liberale, la Svizzera si era trovata ripetutamente in difficoltà. Quando nel 1878 L’Avant-Garde pubblicò un inno di lode all’omicidio reale, Italia, Germania, Russia e Spagna reagirono con pressioni diplomatiche e chiesero il divieto della rivista. Il governo svizzero si arrese per non mettere a repentaglio i rapporti con i suoi vicini europei e un tribunale condannò l’autore dell’articolo a due mesi di prigione e dieci anni di reclusione per aver incitato alla violenza contro capi di Stato stranieri.
“Finché avremo una casta di fannulloni, sorretti dal nostro lavoro con il pretesto che sono necessari per guidarci, costoro formeranno sempre una fonte di peste per la morale pubblica”, L’Avant-Garde.
“I lavoratori costruiscono palazzi e vivono in misere capanne”
L’avvertimento anonimo giunse in un momento particolarmente preoccupante per il presidente della Confederazione Schenk. Solo un mese prima l’anarchico tedesco Friedrich August Reinsdorf, ideatore dell’attentato a Guglielmo I, era stato condannato a morte. In sua difesa disse in tribunale: “I lavoratori costruiscono palazzi e vivono in misere capanne; producono tutto e sostengono l’intera macchina statale, eppure non si fa nulla per loro; producono tutti i prodotti industriali, eppure hanno poco o cattivo cibo da mangiare […]. Ciò deve durare per l’eternità? Non è nostro dovere cambiare?”.
Reinsdorf aveva vissuto in Svizzera per molti anni ed era ben collegato alla scena anarchica locale. Non si poteva quindi escludere che i suoi compagni volessero vendicarsi della condanna a morte, facendo saltare in aria il Palazzo federale.
Il piano diabolico poteva anche essere collegato al destino del tedesco Hermann Stellmacher e dell’austriaco Anton Kammerer. Entrambi avevano vissuto anche in Svizzera prima di commettere diversi omicidi politici all’estero e erano stati condannati a morte da un tribunale viennese nel settembre 1884. Da allora erano stati glorificati dai loro compagni come “martiri della rivoluzione sociale”.
Il giornale Freiheit aveva pure esplicitamente invocato la vendetta: “Ancora molte canaglie devono cadere sotto il pugnale o revolver degli anarchici. Anche coloro che hanno portato Stellmacher al patibolo non saranno risparmiati. La sua morte deve essere espiata nel sangue”. Dato che Stellmacher aveva lasciato in fretta la sua residenza a San Gallo, essendo venuto a conoscenza di un’imminente perquisizione domiciliare, i suoi compagni potevano voler vendicarsi delle autorità svizzere.
“La Svizzera non può sfuggirci”
Sei giorni dopo, il presidente federale ricevette una seconda lettera anonima. Mentre la prima proveniva da San Gallo, dove viveva Stellmacher, la seconda era stata spedita da Frauenfeld. Ma era stata inequivocabilmente scritta dalla stessa mano e ripeteva lo stesso avvertimento.
Il 4 febbraio seguì una lettera da Winterthur, in cui si avvertiva che “l’esplosione del Palazzo Federale” sarebbe “immancabilmente avvenuta nel corso di questo mese. Tremate!”. In una quarta lettera si segnalava che un testo dei cospiratori era conservato in un ufficio postale vicino a Berna. La polizia vi trovò effettivamente una planimetria e istruzioni dettagliate su come far entrare la dinamite nel Palazzo federale.
Infine, il 21 febbraio, la rivista Freiheit, allora stampata a Londra, lanciava un monito a tutti i “banditi supremi dei vari paesi d’Europa”. Vi si leggeva: “In Inghilterra si impiega già enormemente la dinamite. La Svizzera non può sfuggirci. […..] Uno per tutti e tutti per uno! La nostra patria è il mondo”. Gli anarchici minacciavano di “spargere sale e arare il terreno”, dove sorgeva Palazzo federale.
Ondata di arresti
Poco dopo, il Consiglio federale decise di avviare un’inchiesta penale “contro le persone che, sul territorio elvetico, avevano incitato a compiere terribili reati in Svizzera o all’estero o che in altro modo avevano tentato di perturbare l’ordine costituzionale e la sicurezza interna del Paese”.
Il giorno seguente, alle prime luci dell’alba, 24 anarchici stranieri vennero arrestati a Berna e 7 a San Gallo e le loro case furono perquisite. Seguirono altri arresti in altre città. Grandi quantità di giornali, opuscoli e corrispondenza privata vennero confiscati.
Lettera da New York
Questi interventi non posero fine alla serie di lettere anonime. Dapprima giunse una lettera minacciosa da Winterthur, poco dopo una da Parigi. Vi stava scritto: “Il vostro presidente può farsi circondare da numerose guardie, ma morirà come un cane, perché faremo saltare in aria il suo palazzo!”
Il 12 marzo arrivò persino una lettera da New York, il cui l’autore anonimo sosteneva di aver appreso che un tedesco “vestito da gentiluomo con barba e baffi biondi, alti e forti” era stato incaricato di far esplodere il Palazzo federale. L’assassino avrebbe portato l’esplosivo in una piccola borsa o “forse sotto il suo cappello”.
Una persona mossa da “vanità, perfidia e meschinità, vanità sconfinata e sete di scandalo insaziabile”, ritratto di Wilhelm Huft tracciato dal giudice istruttore.
Il giorno dopo, una lettera anonima riferiva che un’organizzazione anarchica svizzera aveva deciso di “far saltare in aria con la dinamite tutti i membri del Consiglio nazionale, del Consiglio degli Stati e del Consiglio federale”.
Interrogativi ancora aperti
La segnalazione decisiva che permise di chiarire l’origine delle lettere venne da un poliziotto sangallese. Costui attribuì la grafia dei testi al parrucchiere tedesco Wilhelm Huft, che scriveva ogni tanto per la stampa anarchica.
Il 31 marzo 1885 Huft venne arrestato e interrogato. Si dichiarò innocente, così come al secondo e terzo interrogatorio. Dopo 44 giorni di detenzione, si impiccò nella cella con il suo fazzoletto di seta. Il rapporto finale del giudice istruttore tracciava un pessimo ritratto del detenuto. Huft viene descritto come una persona mossa da “vanità, perfidia e meschinità, vanità sconfinata e sete di scandalo insaziabile” e viene definito un donnaiolo e un visionario “che prova piacere a inventare”.
Il rapporto non risponde alla domanda su come Huft fosse stato in grado di organizzare l’invio di lettere anonime da diverse città svizzere, nonché da Parigi e New York. Il Consiglio federale pose fine alla vicenda espellendo 21 anarchici, senza dimostrare che avessero compiuto dei reati.
Ancora oggi non è chiaro se gli anarchici volessero seriamente far saltare in aria il Palazzo federale o se l’intera vicenda fosse il prodotto dell’immaginazione di un parrucchiere anarchico.
Attentati in Svizzera
Ripercorrendo la storia della Svizzera si scopre che gli atti di violenza a sfondo politico nel Paese un tempo erano molto più frequenti di quanto si possa supporre oggi. Il primo attacco terroristico sul suolo elvetico fu commesso nel 1898 contro l’imperatrice Elisabetta d’Austria, che fu pugnalata dall’anarchico Luigi Luccheni. Sissi fu la prima vittima del terrore anarchico in Svizzera, ma non l’unica.
All’inizio del XX secolo la Svizzera fu teatro di una vera e propria ondata di violenza terroristica. Gli anarchici fecero irruzione in banche e nella caserma della polizia di Zurigo, cercarono di far saltare in aria dei treni, ricattarono degli industriali, compierono attentati dinamitardi e uccisero degli avversari politici.
La maggior parte dei responsabili proveniva dall’estero: russi, italiani, tedeschi e austriaci che avevano trovato asilo politico in Svizzera. Solo una minoranza degli autori era svizzera. La maggior parte di costoro era in stretto contatto con anarchici stranieri. In generale, tuttavia, causarono più orrore che danni. E a volte erano talmente dilettanti da farsi esplodere accidentalmente mentre costruivano le loro bombe.
Per la Svizzera, gli atti di violenza anarchici furono una sfida politica: il paese reagì con espulsioni e l’inasprimento delle leggi. Nella cosiddetta legge sugli anarchici del 1894, furono aumentate le pene per tutti i reati commessi con l’ausilio di esplosivi e furono resi punibili gli atti preparatori. Al contempo, però, la Svizzera rifiutò di inasprire le disposizioni legislative sull’asilo, che offrivano una generosa protezione ai perseguitati politici.
Traduzione di Armando Mombelli
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