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Ginevra, culla di iniziative per creare un mondo migliore

Piazza delle Nazioni a Ginevra
Quartier generale delle Nazioni Unite in Europa, nella Ginevra internazionale non si parla solo di diritti umani. © Keystone / Salvatore Di Nolfi

A Ginevra sono state lanciate di recente varie iniziative filantropiche. Le artefici di questi progetti sono spesso donne migranti che intendono affrontare con spirito innovativo le attuali sfide con cui è confrontato il pianeta.

Rocio Restrepoe è fuggita al regime tirannico in Colombia nel 1999. In tasca due lauree universitarie in economia e commercio e un’esperienza professionale di 18 anni. Nonostante le sue credenziali, non è riuscita ad accedere al mercato del lavoro a Ginevra.

Invece di prendersela con il Paese d’accoglienza, Restrepoe si è rimboccata le maniche, cercando la chiave giusta per la sua integrazione professionale.

“Ho deciso di incontrare persone che stavano vivendo un’esperienza simile alla mia”, racconta la donna a swissinfo.ch. “Inizialmente ne ho incontrate un’ottantina per imparare da loro e per dare vita all’associazione Découvrir (scoprire, in italiano). L’obiettivo è di lottare contro il fenomeno dello spreco di competenze e sensibilizzare le amministrazioni cantonali e le compagnie sull’importanza di aprire le porte del mondo del lavoro alle donne immigrate che in patria hanno conseguito titoli accademici e con una lunga esperienza in varie discipline”.

Nonostante le difficoltà iniziali dovute al fatto che l’associazione veniva snobbata dalle autorità, non godeva della giusta considerazione e contava solo 40 membri, con il passare degli anni Découvrir è riuscita a guadagnarsi la fiducia dei vari attori del mercato del lavoro. Oggi sostiene annualmente oltre 700 donne in vari cantoni della Svizzera.

“L’amministrazione svizzera agisce con intelligenza e gestisce bene le risorse economiche a sua disposizione”, ricorda Restrepoe. “Dedica però poca attenzione alle risorse professionali provenienti dall’estero”. Grazie alla sua associazione, le aziende private hanno riconosciuto quali sono gli ostacoli che impediscono agli immigrati di accedere al mercato del lavoro in Svizzera.

“Alcune compagnie richiedevano requisiti che gli immigrati non riuscivano a soddisfare, per esempio il permesso di domicilio C o la nazionalità svizzera”. Stando a Restrepoe, in futuro il mondo dovrebbe dare a tutti la possibilità di valorizzare le proprie competenze ed esperienze senza alcuna discriminazione di genere, lingua o appartenenza geografica.

L’attivismo della donna colombiana non è passato inosservato. Lo scrittore e blogger svizzero Zahi Haddad le ha dedicato un ritratto nel suo libro “126 Hearts Beating for International Geneva”. A colloquio con swissinfo.ch, Haddad elogia la vitalità e l’importanza di associazioni come Découvrir perché sono flessibili e capaci di lasciare un segno in diversi settori.

Oltre a modificare concretamente le condizioni quadro, queste iniziative “cambiano il nostro modo di vedere le cose e danno all’umanità una nuova prospettiva, permettendoci di vivere in armonia ed equilibrio con la società e il mondo animale e vegetale”, sostiene Haddad.

“Questo approccio acquisisce importanza proprio in una situazione eccezionale come quella che stiamo vivendo in questo momento. La crisi provocata dal nuovo Coronavirus ha evidenziato la fragilità delle entrate economiche e la necessità di guardare al mondo di domani in modo diverso. Questo mondo a cui aneliamo non può essere realizzato cambiando una legge qua e là, bensì modificando fondamentalmente la percezione che abbiamo delle cose”.

Le iniziative presentate nel suo libro si sono poste l’obiettivo di promuovere la pace, salvaguardare l’ambiente e creare una società più giusta. E Ginevra sembra essere una città capace di promuovere questo spirito innovatore.

Il dialogo come chiave per la pace

Un’altra iniziativa è stata lanciata da una coppia: Mehra, svizzera, musulmana, di origini iraniane, e David, ebreo, di origini canadesi. Il loro progetto intende promuovere la cultura della pace, “cambiando le norme culturali e le esperienze umane affinché sia possibile apprezzare la bellezza della condivisione umana”.

 Nel 2015, durante un viaggio in Medio Oriente, i due hanno rafforzato la loro convinzione. “In Israele e Palestina abbiamo incontrato attivisti impegnati in un dialogo reale, lontano dall’imbarazzante silenzio che avvolge il rapporto tra i due popoli”, ricorda David.

Mehra ci racconta al telefono dell’ammirazione che prova nei confronti di Abu Awad, un prigioniero palestinese che ha partecipato alla prima intifada e che, molti anni fa, ha perso un fratello durante uno scontro con i soldati israeliani. “La sua arma è l’umanità, la cui forza è l’abilità di convincere gli altri”.

Ispirati da questi incontri, la coppia decide di fondare a Ginevra l’associazione “B8 OF Hope”. L’associazione intende sostenere israeliani e palestinesi che hanno trovato il coraggio di perseguire il loro obiettivo senza far capo alla violenza. “Abbiamo rapidamente scoperto che decine di gruppi in Israele e Palestina stanno lottando per diffondere una cultura della pace. Oggi sosteniamo 17 ONG di ambedue le parti”, ricorda Mehra.

Alcune di queste organizzazioni rappresentano famiglie che hanno perso un figlio a causa del conflitto o combattenti palestinesi o soldati israeliani che hanno deciso di abbandonare le armi e di seguire lo slogan “resistenza congiunta per vivere in pace”.

Questi predicatori della pace “sostengono che non è possibile cambiare il passato. Bisogna invece vivere nel presente, guardando con ottimismo al futuro”, spiega Mehra, che ricorda come la sua iniziativa si ispiri allo spirito di tolleranza che caratterizza la città di Ginevra e alla gentilezza che pervade i rapporti tra i vari gruppi di popolazione. L’intento è di dare vita a una nuova realtà tra Israele e Palestina basata sul rispetto reciproco e sulla volontà di permettere a tutti di vivere un’esistenza dignitosa.

Da rifugiata a imprenditrice ambientale

Nhat Vuong ha raggiunto Ginevra con la sua famiglia nel 1980. Allora era ancora un bambino, sfuggito al conflitto in corso in quegli anni in Vietnam. Cresciuto nella città di Calvino, Vuong ha ottenuto la laurea in ingegneria presso la Facoltà di economia e commercio dell’Università di Losanna.

A colloquio con swissinfo.ch, Vuong ricorda un importante avvenimento che ha cambiato il suo modo di guardare al mondo. “Dopo aver ottenuto il passaporto svizzero nel 1995, ho visitato il Vietnam con la mia famiglia. Sono stato confrontato per la prima volta con la povertà, la miseria e la violazione dei diritti dei bambini quali il diritto di un’educazione o di una vita decente. Questa esperienza mi ha aperto gli occhi sul fatto che in Svizzera viviamo in una sorta di bolla e che dimentichiamo spesso le difficoltà con cui è confrontato chi è meno fortunato”, racconta Vuong.

L’uomo ha deciso così di fare qualcosa per aiutare le persone più indifese e dimenticate. Per caso legge un articolo che presenta la tecnologia rivoluzionaria sviluppata da un ingegnere spagnolo grazie alla quale è possibile ottenere acqua dall’aria, dopo averla purificata. “Questa invenzione mi ha subito fatto pensare ai rifugiati, soprattutto a quelli del conflitto in Siria che hanno dovuto trovare rifugio in Libano”, spiega Vuong. “Questa macchina non poteva restare a prendere polvere in un garage”.

Nhat Vuong
Nhat Vuong, cittadino svizzero di origini vietnamite, in un campo di rifugiati siriani a Tripoli, in Libano, nel 2019. Nhat Vuong

Vuong ha fondato così l’ONG “Water Inception” e ha iniziato a raccogliere fondi per il suo progetto mediante un crowdfunding. Alla fine ha ottenuto donazioni pari a un importo di 30mila franchi. Con questi soldi ha acquistato la prima macchina che ha installato in un campo profughi a Tripoli, nel Nord del Libano. Prossimamente, l’apparecchio sarà in grado di erogare 500 litri di acqua potabile al giorno. Sarà il primo passo concreto dopo due anni di sforzi.

Nel 2019, Vuong ha lanciato una start up che non ha nulla a che fare con l’acqua. La sua azienda, fondata con un partner vietnamita, si concentra sulla fabbricazione di prodotti ecologici e riciclabili realizzati in Vietnam ed esportati in tutto il mondo.

Il primo prodotto è stata una cannuccia, realizzata con patate e magnesio e che può essere mangiata o riciclata dopo averla usata. In Svizzera viene distribuita nei principali festival e venduta da uno dei maggiori distributori al dettaglio. Vuong ha lanciato un secondo prodotto sul mercato: mascherine approvate in Svizzera e antibatteriche, vendute negli uffici della Posta. Anche in questo caso, l’obiettivo è la riduzione dell’inquinamento dovuto alle mascherine monouso.

Laboratorio di idee creative

Vuong ha indubbiamente fiuto per gli affari. Infatti, il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva una legge che vieta a partire dal 2021 l’uso di articoli in plastica monouso, una decisione che metterà le ali alla sua start up. “Il mondo ha bisogno di iniziative sostenibili per salvaguardare l’ambiente, evitare lo spreco di risorse e proteggere le persone più vulnerabili”.

“Il mondo non può essere cambiato con un tratto di penna o con un battito di ciglia. Tutti hanno il potere di renderlo un po’ migliore. Serve solo un po’ di buona volontà”, dice Vuong.

Queste iniziative, nate dal desiderio di dare a tutti la possibilità di vivere un’esistenza degna di questo nome, fanno di Ginevra un eccezionale laboratorio di idee. In città sembra aleggi, come a cavallo del XIX e XX secolo, lo spirito che diede vita a varie organizzazioni internazionali, come il Comitato internazionale della Croce Rossa, fondato nel 1964 da Henry Dunant, o la Società delle Nazioni.

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