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«Sono la cattiva coscienza della Svizzera»

Dia, musicista senegalese, è uno dei protagonisti del documentario "Le monde est comme ça". Emigrato in Svizzera nel 1995, dopo 15 anni ha perso il suo permesso di soggiorno ed è stato espulso con un volo speciale nel 2010. solothurnerfilmtage.ch

Negli ultimi cinque anni, 1'047 clandestini sono stati espulsi con la forza dalla Svizzera. Tra questi ci sono anche alcuni dei protagonisti di "Vol Spécial". Cosa ne è stato di loro? Fernand Melgar ce lo racconta in nuovo documentario, "Le monde est comme ça", presentato in prima mondiale alle Giornate di Soletta.

Il pubblico ha imparato a conoscerli attraverso gli occhi di Fernand Melgar: Geordry – richiedente l’asilo camerunense -, Dia il musicista del Senegal, i sans-papiers kosovari Ragip e Jeton e infine Wandifa, emigrato dal Gambia.

Come migliaia di altri clandestini, i protagonisti di “Vol Spécial” sono stati rinchiusi per mesi nel centro di detenzione amministrativa di Frambois, nel canton Ginevra, in attesa di essere rimpatriati con la forza. È lì che Fernand Melgar li ha conosciuti. Il suo documentario ha ottenuto numerose ricompense in patria e all’estero, ma è stato anche accusato di aver giocato con le emozioni e deformato la realtà.

Oggi, a due anni di distanza, Fernand Melgar ci invita a scoprire cosa ne è stato dei personaggi di “Vol Spécial”, attraverso una serie di ritratti intimi.

Giunto in Svizzera nel 2004 dal Camerun, dopo che i suoi genitori erano stati uccisi, Geordry ha trascorso 4 mesi nella prigione di Frambois prima di essere espulso con un volo speciale nel marzo 2010.

Appena atterrato all’aeroporto di Yaoundé, è stato arrestato dalle autorità che erano in possesso di documenti confidenziali relativi alla sua domanda di asilo.

Contattato da swissinfo.ch, l’Ufficio federale della migrazione (UFM) non ha confermato né smentito l’accusa di una possibile fuga di notizie. In un’intervista al quotidiano romando Le Temps, del marzo 2012, il nuovo direttore dell’UFM Mario Gattiker aveva detto che nessuna ipotesi era da escludere e aveva giudicato “inammissibile” che tali fatti potessero avvenire.

L’UFM ha precisato a swissinfo.ch che la seconda domanda di asilo depositata da Geordry all’ambasciata svizzera in Camerun è stata respinta.

Un ricorso è attualmente pendente al Tribunale amministrativo federale.

swissinfo.ch: Lo scorso anno è andato a trovare alcuni di quegli stranieri che erano stati incarcerati a Frambois. Cosa l’ha colpita di più?

Fernand Melgar: Sapevamo fin dall’inizio che la situazione di queste persone non sarebbe stata facile, una volta rientrate in patria. Però da un lato ci dicevamo: “Per lo meno hanno ritrovato la libertà, i loro amici, la loro famiglia”. In realtà ci siamo resi conto che si ritrovano tuttora imprigionate all’interno della loro società, isolate dalle famiglie e senza sbocco professionale. Sono persone che hanno vissuto per anni in Svizzera, hanno formato una famiglia, lavorato, mantenuto un’intera comunità nel loro paese d’origine e d’un tratto sono stati espulsi perché trovati in situazione irregolare.

Per loro tornare a mani vuote, dopo mesi di prigione e con un volo speciale, è stata una sconfitta migratoria, un suicidio sociale che rimette in questione gli equilibri famigliari.

Poi c’è il caso di Geordry, che è stato imprigionato e torturato dalle autorità camerunensi, entrate in possesso di documenti relativi alla sua domanda d’asilo in Svizzera. L’Ufficio federale della migrazione ha confermato che c’è stata una fuga di notizie, ma ha respinto nuovamente – un paio di settimane fa – la sua domanda d’asilo presentata all’ambasciata di Yaoundé.

swissinfo.ch: Al di là del caso di Geordry, gli altri protagonisti del documentario sono migranti economici e , secondo la legge svizzera, non hanno diritto all’asilo…

F.M.: È vero. Sono però convinto che una persona che fugge una carestia o una guerra debba essere trattata con lo stesso riguardo. In entrambi i casi è una questione di sopravvivenza. Non mi fraintenda: io difendo lo Stato di diritto e sono convinto che sia necessario ristabilire uno statuto di legalità. Ma cambiando le leggi in vigore e non sbarazzandosi dei migranti come spazzatura.

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Vol Spécial - Fernand Melgar

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Questo contenuto è stato pubblicato al Tre anni dopo La Forteresse, il regista svizzero Fernand Melgar torna a Locarno con un documentario sui rimpatri forzati degli stranieri in situazione irregolare. Girato in un centro di detenzione amministrativa, Vol spécial è in corsa per il Pardo d’Oro.

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swissinfo.ch: La Svizzera non può però permettersi di spalancare le proprie frontiere in mezzo a un’Europa sempre più restrittiva. Quale soluzione propone?   

F.M.: Il problema deve essere affrontato nella sua integralità. Bisogna cercare un nuovo equilibrio nei rapporti Nord-Sud. Prendiamo ad esempio il Nigeria: è un paese ricco di risorse naturali, ma estremamente povero, perché c’è una dittatura sostenuta tra l’altro dalle grandi multinazionali. E tra i maggiori investitori troviamo anche le banche elvetiche come l’Ubs o il Credit Suisse.

Senza contare poi che Zugo e Ginevra sono tra le principali piazze al mondo nel commercio delle materie prime: si arricchiscono sulle spalle dei paesi in via di sviluppo, lasciando la gente a mani vuote.

La Svizzera dà carta bianca a queste multinazionali e poi si stupisce se ci sono dei nigeriani che vengono a bussare alle nostre porte perché non hanno altra via d’uscita.

Nato nel 1961 da una famiglia di sindacalisti spagnoli esiliati in Marocco durante il franchismo, all’età di due anni è portato illegalmente in Svizzera dai genitori che lavorano come stagionali.

Interrompe gli studi di commercio nel 1980 per fondare con degli amici Le Cabaret Orwell, culla della cultura underground della Svizzera francese.

Nel 1983 inizia la sua avventura cinematografica, con alcuni film sperimentali e reportage iconoclastici.

Il suo documentario Exit – le droit de mourir” ha ricevuto diversi premi internazionali, tra cui il prestigioso Golden Link UER Award per la miglior produzione europea e il premio del cinema svizzero 2006.

Nel 2008, La Forteresse” ha ottenuto il Pardo d’Oro al festival del film di Locarno (sezione Cineasti del presente), mentre nel 2012 “Vol Spécial” ha ricevuto l’oscar del cinema svizzero come miglior documentario.

Stando a Swiss Films, “Vol Spécial” è tra le pellicole svizzere di maggior successo all’estero: sono oltre 15 i riconoscimenti internazionali ottenuti, tra cui il Premio Europa 2012.

Fernand Melgar sta attualmente lavorando a un documentario sui nuovi migranti giunti in Svizzera dai paesi del Sud Europa.

swissinfo.ch: La sua è una visione un po’ utopista, non crede?

F.M.: Ammetto di essere un’utopista, ma sono convinto che basti davvero poco per migliorare la situazione in questi paesi e cambiare le mentalità in Svizzera.

Ormai la mia è una generazione perduta. I giovani però hanno uno sguardo diverso: sono cresciuti in una società multiculturale, con amici dalla pelle scura. Sono proprio loro, d’altronde, ad essere rimasti maggiormente sconvolti da “Vol Spécial”. E sono sempre loro che tra un paio d’anni saranno chiamati a votare le nuove leggi sugli stranieri o l’asilo.

So che un film non può cambiare una società, ma se riesce per lo meno a far riflettere, allora ho vinto una battaglia. Prima del film erano in pochi a sapere cosa fosse un “volo speciale”. Ora se ne discute, si denunciano gli abusi e si cercano soluzioni. È un passo avanti.

swissinfo.ch: “Vol Spécial” è tra i documentari svizzeri che hanno raccolto i maggiori successi di critica all’estero. Qual è stata la reazione del pubblico?

F.M.: Il film ha suscitato molti dibattiti, non tanto sulla Svizzera, ma sulla situazione in Europa o nei singoli paesi dove è stato mostrato. In Argentina si è discusso dei problemi migratori all’interno del Mercosur, in Nuova Caledonia sui migranti in arrivo dall’isola Vanuatu, in Italia sul centro di detenzione di Torino… Insomma, ha suscitato sentimenti universali, al di là del particolarismo elvetico.

swissinfo.ch: In “Vol spécial” ha voluto mostrare il volto umano della migrazione, portando inevitabilmente il pubblico a simpatizzare con i suoi protagonisti, guardie comprese. Questa scelta le è valsa però numerose critiche, da parte di chi l’accusa – tra l’altro – di aver deformato la realtà. A due anni di distanza, non rimpiange questa scelta?

F.M.: Io faccio un cinema di prossimità e osservazione. Avrei potuto intervistare i politici, ma così facendo avrei raccontato il loro punto di vista e non quello delle centinaia di persone che ogni anno vengono condannate a mesi di prigione solo perché non hanno i documenti in regola. Oggi quando si parla di migrazione, lo si fa attraverso le cifre e i pregiudizi, dimenticando che questi stranieri sono esseri umani, e magari i nostri vicini di casa o gli amici dei nostri figli.

Le persone rinchiuse nei centri di detenzione amministrativa come quello di Frambois non sono criminali come alcuni politici di destra hanno voluto far credere. Il loro unico reato è quello di essere clandestini e di non voler rientrare a casa per timore di rappresaglie o semplicemente perché sono in Svizzera ormai da tanti anni. Nel film si dice chiaramente che la metà ha un casellario giudiziale: ma hanno già pagato per questi delitti. Mentre a Frambois scontano una doppia pena: un’incarcerazione che può durare fino a 18 mesi e un rinvio forzato.

Il mio obiettivo è sempre stato quello di mostrare le derive del sistema, senza giudicare. È più facile criticare il mio lavoro che rimettersi in questione in quanto cittadini, esseri umani e politici. Io sono un po’ come la cattiva coscienza di questo paese.

Nel 2012 sono state presentate in Svizzera 28’631 richieste d’asilo, il 27 percento in più rispetto all’anno precedente.

Principali paesi di provenienza: Eritrea (4’407), Nigeria (2’746), Tunisia (2’239), Serbia (1’889), Afghanistan (1’386) e Siria (1’229).

Negli ultimi cinque anni, 1’047 stranieri in situazione irregolare sono stati rimpatriati con un volo speciale, 178 dei quali negli ultimi 12 mesi.

Questa misura viene utilizzata nel caso in cui i detenuti si rifiutano di partire: immobilizzati al loro sedile, vengono protetti con un casco, muniti di pannoloni e talvolta tranquillizzati con dei medicinali senza la loro autorizzazione.

Il volo può superare le venti ore, a seconda della destinazione e del numero di scali.

Nel marzo del 2010 un nigeriano detenuto in attesa di espulsione è morto all’aeroporto di Zurigo, poco prima della partenza di un volo diretto a Lagos.

I voli speciali sono oggetto di critiche da più parti: la sinistra, le ONG e diversi medici li reputano disumani; la destra troppo cari.

Stando all’Ufficio federale della migrazione, nel 2012 il costo medio di un volo speciale è stato di 13’300 franchi per persona. Le autorità si rifiutano di divulgare informazioni sui principali paesi di rimpatrio.

Losanna

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