1991, l’anno della caduta dell’ultimo baluardo maschile in Svizzera
Correva l’anno 1990 e a livello cantonale in Appenzello Interno gli uomini difendevano ancora il loro diritto di voto dall’avanzata delle donne. swissinfo.ch ne ha intervistate alcune, ripercorrendo le ragioni della svolta e i progressi raggiunti da allora.
Mentre spazzola concentrata i capelli di una cliente Maria Vitti ci racconta di non provare rancore. “Non hanno agito per fare un dispetto a noi donne, ma perché ligi alla tradizione”, afferma. “Appenzello Interno è un Cantone molto tradizionalista.”
Sembra inverosimile: ancora 30 anni fa in Appenzello Interno – che conta una popolazione di circa 16’000 abitanti – la maggioranza degli uomini vietava ancora l’esercizio dei diritti politici alle donne.
“Ero così entusiasta che ho votato con entrambe le mani e probabilmente quel giorno erano le uniche mani di colore.”
Anju Rupal, cittadina di Appenzello
Va detto che in casa di discuteva di come avrebbe dovuto votare il capo famiglia all’assemblea riservata agli uomini. “Di solito l’uomo si atteneva a quanto deciso tra le mura domestiche. Ma andare a votare è un diritto fondamentale, e a parte la tradizione non c’era motivo di vietarlo alle donne.”
Addirittura il padre della Vitti non si era capacitato dopo il rifiuto di allora di concedere il diritto di voto alle donne. D’altro canto, come italiano non poteva esprimersi ufficialmente. Venti anni fa, quando Maria Vitti ottenne il passaporto svizzero e poté recarsi per la prima volta “al centro della piazza”, il diritto di voto femminile era diventato cosa ovvia anche in Appenzello Interno.
Il 7 febbraio 1971 gli uomini svizzeri approvarono il diritto di voto e di eleggibilità delle donne. La Svizzera fu così uno degli ultimi Paesi ad introdurre il suffragio universale. Spesso citata a livello internazionale come modello di democrazia diretta, è invero una democrazia liberale assai giovane.
swissinfo.ch dedica una serie di articoli a questo inglorioso anniversario. Si parte con un reportage da Appenzello Interno, ultimo Cantone confederato ad introdurre nel 1991 il suffragio femminile anche a livello cantonale e comunale.
Il 4 marzo SWI swissinfo.ch organizza una tavola rotonda digitale incentrata sul tema “50 anni di suffragio femminile: vecchia questione di potere, nuova battaglia con nuovi volti”.
Il salone da parrucchiera della Vitti non dista molto dalla piazza della Landsgemeinde. Durante l’anno è un’area di parcheggio. In primavera vi si radunano migliaia di appenzellesi che in una giornata decidono delle sorti politiche del loro Cantone. Stretti gli uni agli altri, tranne l’anno della pandemia: in via del tutto eccezionale nel 2020 anche Appenzello Interno ha distribuito schede di voto.
Il villaggio “Salve”: che sia in piazza o davanti alla sede del governo il comune di Appenzello è forse l’unica capitale cantonale in cui nelle viuzze si salutano gli sconosciuti. La gente del posto parla del “villaggio”.
Anju Rupal viveva nel “villaggio” già alla fine degli anni 1980. Ignara, al suo arrivo, del deficit di democrazia. “Le amiche mi mandarono gli estratti del New York Times e del Guardian”, ricorda. L’inglese con radici indiane venne informata dell’assenza del suffragio femminile nel suo nuovo luogo di domicilio dalla stampa internazionale. Con il senno di poi può sembrare un po‘ ingenuo, ma a quei tempi Rupal era partita dal presupposto che nelle democrazie occidentali il suffragio fosse universale.
In Appenzello Interno è stata accettata velocemente. Il suo carattere aperto l’ha aiutata, ma anche il fatto di essere sposata con un uomo del posto. “In Appenzello la domanda ricorrente è: “Tu di che famiglia sei?”, spiega Rupal, ben sapendo che atteggiamenti come questi hanno concorso a lungo ad escludere le donne dal bastione maschile.
Visto che con il matrimonio Rupal ha ottenuto la cittadinanza svizzera era presente quando le donne appenzellesi hanno potuto prender parte per la prima volta alla Landsgemeinde. Quando ripensa a quel momento sente ancora l’eccitazione. “Ero così entusiasta che ho votato con entrambe le mani – e probabilmente quel giorno erano le uniche mani di colore.”
Contro la Svizzera disneyana maschilista
Nel movimento femminile svizzero Appenzello Interno gioca soltanto un ruolo marginale. A livello nazionale il suffragio femminile è stato introdotto appena nel 1971, 65 anni dopo la Finlandia, precursore europeo, e dodici anni dopo il Canton Vaud, pioniere in Svizzera. La decisione è stata presa alle urne dagli aventi diritto di sesso maschile. Quasi tutti i cantoni hanno seguito il responso e introdotto il suffragio femminile al più tardi l’anno successivo, nel 1972.
Altri sviluppi
Suffragio femminile
Soltanto in Appenzello Esterno si è dovuta attendere la Landsgemeinde del 1989. Mentre le donne di Appenzello Esterno inoltravano una petizione al Parlamento, a livello nazionale l’impegno di Appenzello Interno era decisamente scarso. Sui canali della televisione svizzera le femministe delle maggiori città denunciavano “un pezzo di Walt Disney” e a livello locale mancava un movimento femminile radicato.
Quando l’organizzazione nazionale delle donne socialdemocratiche tenne la propria assemblea annuale ad Appenzello alla fine degli anni 1980 l’accoglienza non fu proprio calorosa. In Appenzello Interno la reazione di difesa contro le ingerenze esterne era immediata.
“Ci sono state delle eroine molto combattive come Ottilia Paky-Sutter o l’artista Sibylle Neff, che per protesta si era messa a lanciare piatti dalla finestra durante una Landsgemeinde”, racconta Agathe Nisple. L’iniziativa di maggior peso è stato un manifesto in cui le donne di Appenzello Interno dichiaravano il loro sostegno al suffragio femminile. Grazie ai proventi del ricamo, a cavallo del xx secolo in molte famiglie il reddito principale era fornito dalle donne, afferma la storica dell’arte Nisple. La politica rimaneva invece di dominio maschile.
Oggi 65enne, Nisple è cresciuta ad Appenzello ma ha varcato i confini cantonali per motivi di studio e di lavoro. Appartiene alla prima generazione di svizzere con diritto di voto e di eleggibilità a livello nazionale. Nel suo Cantone d’origine ha invece dovuto accontentarsi di fare per anni da spettatrice. “Sono già passati 30 anni ormai – e d’altro canto sono appena 30”, sentenzia in tono di condanna.
Dopo che alla Landsgemeinde della primavera del 1990 gli uomini rifiutarono nuovamente il suffragio femminile vennero inoltrati ricorsi con centinaia di firme al Tribunale federale. Il 26 novembre 1990 il massimo tribunale svizzero li accolse all‘unanimità
“Dopo la sentenza del Tribunale federale mi sono sentita sollevata”, ricorda Nisple. “Se non fosse andata così, chissà, magari saremmo ancora oggi senza suffragio femminile.” L’atmosfera era così ambivalente. Nel 1990 nel parlamento appenzellese tutti gli uomini erano favorevoli, ma la Landsgemeinde li smentì.
Ai primi dell’Ottocento ancora otto Cantoni decidevano i loro affari alla Landsgemeinde. Glarona e Appenzello Interno sono gli ultimi rimasti. Nel vicino Appenzello Esterno nel 1989 una maggioranza di aventi diritto di voto approvò il suffragio femminile. Fu proprio questa decisione a far vacillare in molti sostenitori della Landsgemeinde e oppositori al diritto di voto delle donne la fiducia in questa forma arcaica di democrazia diretta e a spianare la strada per la sua abolizione alla fine degli anni 1990.
Come spesso accade quando gli uomini negano all’altro sesso i diritti, gli spazi e le posizioni, molti oppositori al diritto di voto per le donne avanzavano tesi non apertamente sessiste.
Si diceva ad esempio che la piazza dove ci si radunava era troppo piccola per accogliere anche le donne. In un dibattito televisivo un avversario arrivò addirittura a sostenere che per gli uomini la Landsgemeinde era come la festa della mamma per le donne. Peccato non avesse considerato che non tutte le donne sono madri. Abbiamo anche sentito che la figlia di una sostenitrice del suffragio femminile doveva essere scortata a scuola dalla polizia.
Agathe Nisple non ha mai nascosto di sostenere il diritto di voto alle donne. “Già da giovani, ai tavoli dei clienti abituali i compagni ci prendevano in giro. Non ne avete bisogno, non è necessario,” dicevano. Ha sempre risposto alle provocazioni in modo costruttivo e chiarificatorio. “Certe volte mi chiedo se ho fatto la cosa giusta.”
Una Landsgemeinde per entrambi i sessi
La prima presenza delle donne nella “piazza” della Landsgemeinde si svolse senza conflitti. “Mi ha sorpresa assai – ma ero anche molto felice,” ricorda Nisple. Un terzo circa dei 4000 presenti alla Landsgemeinde del 1991 erano donne. Una volta soltanto una di loro ha preso la parola. “Con la voce sei esposto”, riflette Nisple. “Ci vuole forza per avere un’opinione diversa. Ma fa parte del gioco.” Ogni argomentazione dal podio può far vacillare l’umore della piazza. Nisple adora questo rituale democratico.
“Di donne non ce n’erano. Ero appena arrivata da Stoccarda e mi chiedevo cosa stesse succedendo.”
Gerlinde Neff-Stäbler, deputata al parlamento cantonale di Appenzello Interno
Nel resto della Svizzera la Landsgemeinde è considerata obsoleta. Il luogo e l’orario fissi escludono dal voto gli ammalati e gli assenti. E ovviamente tutti possono vedere chi vota e come. La segretezza del voto come presupposto fondamentale per il funzionamento della democrazia non è quindi preservata. Nisple commenta: “Per quanto riguarda il voto alle donne la dinamica di gruppo ha fatto la sua parte. A quei tempi supportare il suffragio femminile non era ‘in’, né per gli uomini né per le donne.”
All’inizio degli anni 1990 il forum delle donne si è organizzato in associazione. Le donne sono diventate giudici e granconsigliere. La carriera di Ruth Metzler – senza ombra di dubbio la rappresentante più celebre del Cantone più piccolo della Svizzera – l’ha portata fino in Consiglio federale. Rispetto al resto della Svizzera, tuttavia, nel parlamento cantonale la quota femminile è rimasta estremamente bassa.
Per le strade solo uomini
Dei 50 deputati, solo undici sono donne. Una di esse è Gerlinde Neff-Stäbler. Percorrendo la via principale ci racconta come l’ha vissuta circa un trentennio fa. Era mercoledì, “Mektig”, come si dice nel dialetto locale. “Il centro storico era pieno di fumo. Ce n’erano dappertutto, con le loro pipe e cigarilli, intenti nei loro affari: contadini, commercianti di bestiame, mugnai e mercanti di farina.”
Anche donne? “Di donne non ce n’erano. Ero appena arrivata da Stoccarda e mi chiedevo cosa stesse succedendo. Un simile assembramento di soli uomini.” Neff-Stebler aveva lasciato la città tedesca per venire a lavorare come infermiera nella Svizzera orientale. Cambiò in fretta professione e con il suo attuale marito, un appenzellese, prese in gestione un alpeggio.
Oggi in parlamento rappresenta il gruppo degli agricoltori. “Ho un carattere placido, non sono combattiva.” Quando segue i dibattiti del Bundestag tedesco è felice che i toni nel parlamento cantonale siano più pacati. “Ma sono convinta che ci sia bisogno di donne con una voce forte.” Numerose richieste pressanti vengono smussate molto prima di essere attuate. “Quel che rimane, si spera, è perlomeno la parità.”
Proprio di recente un uomo le avrebbe confidato di non aver più partecipato a nessuna Landsgemeinde da quando esiste il suffragio femminile. “Ci sono ancora uomini che non accettano il cambiamento. E ci sono ancora donne che non ci vanno,” conclude Gerlinde Neff-Stäbler.
La storia dell’appenzellese Ottilia Paky-Sutter è diametralmente opposta a quella dell‘inglese Anju Rupal. Dopo aver sposato un austriaco, nel 1947 l’attivista per il suffragio femminile perse il passaporto rossocrociato. L’esperienza dell’esclusione – per lei che era “appenzellese da generazioni” e star della musica popolare – spianò la strada all’impegno politico della Paky.
Alla Landsgemeinde del 1952 lei e la sua famiglia riacquistarono la cittadinanza svizzera dietro pagamento di 2500 franchi. Oggi il potere d’acquisto di tale somma equivale all’incirca a 12 000 franchi. L’esperienza ha segnato la Paky, che gestiva un negozio di costumi tradizionali ad Appenzello, per tutta la vita, rendendola una portavoce combattiva del movimento per il suffragio femminile.
Alla fine degli anni 1970 Paky convocava incontri in cui si radunavano una sessantina di donne. Un’argomentazione popolare tra gli oppositori di allora al diritto di voto era che l’esercizio dei diritti politici veniva invocato solo dalle donne venute da fuori.
Paky era pronta a controbattere con un manifesto sottoscritto da un numero possibilmente elevato di donne. Quando 25 soltanto si dichiararono disposte a firmarlo, Paky mise fine ai suoi tentativi di far nascere un movimento.
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