Svizzera-UE: si avvicina “l’ora della verità”
Con la crisi dell'euro, in Svizzera l'euroscetticismo è cresciuto. Il sì all'iniziativa "Contro l'immigrazione di massa", nel voto del 9 febbraio, rimette persino in causa gli accordi bilaterali tra Berna e Bruxelles. L'adesione all'UE è dunque archiviata? Tutt'altro, secondo i nuovi copresidenti del movimento pro europeo Numes.
Meno di un anno dopo aver approvato gli accordi bilaterali della Svizzera con l’UE, l’elettorato elvetico nel marzo 2001 bocciava seccamente un’iniziativa popolare lanciata dalle organizzazioni pro europee che chiedeva l’avvio immediato di negoziati per l’adesione della Confederazione all’Unione. Da allora, il tema dell’adesione all’UE è scomparso dall’agenda politica e il Nuovo movimento europeo Svizzera (Numes) è praticamente sparito dai media.
Con la designazione di una copresidenza composta del parlamentare federale zurighese Martin Naef e dell’ex deputato cantonale vodese François Cherix, il timone del Nuovo movimento europeo Svizzera (Numes) dal maggio 2014 è per la prima volta in mani socialiste.
In precedenza, era sempre stato presieduto da politici liberali radicali, che alle origini del movimento pro europeista in Svizzera avevano incarnato la visione di un’Europa unita, federalista, fondata su principi democratici. Un ideale che aveva portato alla creazione, nel 1934, della “Unione europea, Movimento svizzero per una federazione dell’Europa”, precorritrice del Numes. L’organizzazione fu presieduta tra gli altri da Jean-Pascal Delamuraz dal 1981 al 1983, prima che fosse eletto al governo svizzero nel dicembre 1983.
Il Numes è nato nel 1998 dalla fusione di diversi gruppi pro europei (“Movimento europeo Svizzera”, “Nato il 7 dicembre”, “Aktion Europa Dialog” e “Gioventù europea federalista svizzera”). Nel 2001, cento giorni dopo il rifiuto popolare dell’iniziativa per l’avvio immediato di negoziati di adesione all’UE, vi ha aderito anche l’organizzazione “Renaissance Suisse-Europe”.
L’obiettivo del Numes è l’adesione della Svizzera all’UE “nelle migliori condizioni economiche, sociali e istituzionali possibili”, affinché gli svizzeri ottengano il diritto di voto europeo.
L’organizzazione attualmente conta circa 3’400 soci.
L’organizzazione che si impegna attivamente affinché la Svizzera diventi un paese membro dell’Unione europea ha risvegliato l’attenzione mediatica lo scorso maggio in relazione al cambio ai propri vertici. A seguito delle dimissioni di Christa Markwalder, deputata nazionale del Partito liberale radicale, la presidenza del Numes è diventata bicefala: è ora condivisa dallo svizzero tedesco Martin Naef e dal romando François Cherix, entrambi membri del Partito socialista.
swissinfo.ch: Condividete la presidenza per non sentirvi soli a un posto per una causa persa?
Martin Naef: Non è una causa persa, anzi al contrario. Con la copresidenza copriamo due regioni linguistiche. È una buona occasione per ancorare l’idea europea in Svizzera.
Ma in Svizzera non si intravvede nemmeno lontanamente l’eventualità che si possa costituire una maggioranza in favore dell’adesione…
François Cherix: Quel che si vede è che la Svizzera si sta dirigendo verso l’ora della verità: vale a dire che presto si rischia di ritrovare faccia a faccia l’isolamento e l’adesione. In questa prospettiva, io non sono affatto sicuro che gli svizzeri sceglieranno l’isolamento.
swissinfo.ch: Al di fuori dalla sinistra, l’adesione all’UE non ha il sostegno di alcun grande partito. Ma per ottenere una maggioranza avete bisogno di raccogliere voti anche nel centro dello spettro politico. Pensate di riuscirvi?
M. N.: Il 9 febbraio [quando, con una maggioranza di meno di 20mila voti, è stata approvata l’iniziativa popolare “Contro l’immigrazione di massa”, Ndr.] si è registrata una cesura. Spero che l’economia e anche i partiti borghesi abbiano notato che ora occorre che tutte le forze costruttive si spalleggino contro l’isolamento.
swissinfo.ch: Dal 9 febbraio sono in gioco persino gli accordi bilaterali. Non sarebbe più pragmatico concentrarsi su questi invece di perseguire l’obiettivo utopico di un’adesione all’UE?
M. N.: Noi riteniamo giusto che la Svizzera un giorno debba codecidere in Europa su questioni che riguardano anche lei stessa. Il Numes ha però sempre sostenuto soluzioni mirate con l’UE, nell’ambito di rapporti affidabili.
F. C.: La prova che l’obiettivo del Numes non è un’utopia: 400 nuovi membri sono venuti spontaneamente da noi dopo il 9 febbraio. È veramente spettacolare, considerate le dimensioni del nostro movimento.
swissinfo.ch: Nel 1992, dopo il no del popolo svizzero all’adesione allo Spazio economico europeo (SEE), avevate predetto una catastrofe per la Svizzera. Ma oggi la Confederazione in confronto all’UE va meglio…
F. C.: È successo esattamente quello che avevamo detto: per una decina di anni, la crescita svizzera ha stagnato o è persino regredita, è stata inferiore a quella degli Stati vicini. In realtà sono proprio gli accordi bilaterali I e II che hanno permesso alla Svizzera di compensare il no al SEE e di rientrare in modo estremamente positivo sul mercato europeo.
Una soluzione è stata trovata, ma era una situazione precaria, di recupero. Tutte le analisi del Numes hanno sempre detto che la situazione della Svizzera solo con gli accordi bilaterali era fragile, pericolosa, non duratura e che un giorno avrebbe richiesto nuove discussioni. Oggi ci troviamo esattamente a questo punto.
E la situazione attuale è molto più grave rispetto al 1992, perché la Svizzera ha attaccato degli accordi che essa stessa aveva chiesto e nei quali era già integrata.
M. N.: L’isolamento non è un’opzione per il nostro paese. Se la Svizzera va bene, non è dovuto al fatto che non abbiamo rapporti con l’Europa, ma è perché con gli accordi bilaterali abbiamo relazioni affidabili con i paesi dell’UE. Se l’Europa va bene, anche la Svizzera va bene.
swissinfo.ch: Ma l’euroscetticismo è aumentato anche negli stessi Stati membri dell’Unione.
M. N.: Certo, nell’UE si possono criticare molte cose: le istituzioni, la separazione dei poteri, la mancanza di partecipazione democratica o parlamentare. Nell’UE la Svizzera, come popolazione, avrebbe proporzionalmente lo stesso peso del cantone di Neuchâtel nella Confederazione.
Eppure, ai neocastellani non salterebbe mai in mente di dire: “la politica nazionale non ci va bene, perciò facciamo ancora solo un’unione doganale con gli altri cantoni, ma non vogliamo più partecipare alle decisioni”. Sarebbe assurdo. La Svizzera è in ogni caso una parte dell’Europa.
Trovo che rinunciare alla codecisione, nonostante che essa vi riguardi, sia antidemocratico e indegno di un paese sovrano.
Il 9 febbraio 2014, l’elettorato elvetico ha approvato di stretta misura l’iniziativa popolare “Contro l’immigrazione di massa”, promossa dall’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice), che impone l’introduzione, entro tre anni, di tetti massimi per i permessi di dimora e contingenti annuali per tutti gli stranieri.
Il 20 giugno, il governo svizzero ha presentato un piano per l’attuazione dell’iniziativa, secondo il quale tutti i permessi per gli stranieri, a partire da un soggiorno di quattro mesi, dovrebbero essere contingentati a partire dal febbraio 2017. Rientrerebbero nel contingentamento anche i frontalieri, i rifugiati riconosciuti e le persone ammesse provvisoriamente, mentre sarebbero risparmiati i richiedenti l’asilo in fase di procedura.
I contingenti e tetti massimi sarebbero fissati di anno in anno dal governo federale. Oltre a tenere conto dei bisogni dei Cantoni, l’esecutivo elvetico si farebbe anche consigliare da un’istanza separata, composta di rappresentanti delle autorità preposte alla migrazione e al mercato del lavoro della Confederazione e dei Cantoni. Sarebbero coinvolte anche le parti sociali.
Poiché una limitazione dell’immigrazione è contraria all’accordo bilaterale sulla libera circolazione delle persone tra la Svizzera e l’UE, il governo elvetico intende chiedere a Bruxelles di rinegoziarlo, conformemente a quanto previsto dal nuovo articolo costituzionale. Il mandato di negoziazione dovrebbe essere pronto entro l’autunno. Il governo dovrebbe poi presentare entro la fine dell’anno il disegno di legge per l’applicazione dell’iniziativa.
(Fonte: Ats)
swissinfo.ch: Entrambi siete membri del Partito socialista, ossia di un partito che lancia spesso iniziative e referendum. Come vedete concretamente la Svizzera in un’UE che non ha gli strumenti della democrazia diretta?
M. N.: In termini di democrazia, codecisione dei cittadini e sussidiarietà, nell’UE occorre progredire. E molte persone a Bruxelles lo hanno anche rilevato. Jean-Claude Juncker ha recentemente ammesso che ci si è dimenticati di coinvolgere i cittadini. E Martin Schulz ha giustamente detto che l’UE non deve regolamentare come vanno servite le bottiglie di olio d’oliva – aperte o chiuse – sui tavoli dei ristoranti. Anche in questo settore, la Svizzera potrebbe contribuire parecchio.
Ma non bisogna nemmeno temere che la democrazia diretta svizzera sarebbe totalmente incompatibile con l’UE. Se avessimo aderito al SEE vent’anni fa, avrebbe potuto esserci un problema con la nostra democrazia diretta un paio di volte. Sarebbe stato il caso con due rivendicazioni della sinistra, segnatamente con l’iniziativa per la protezione delle Alpi e la moratoria sull’ingegneria genetica.
F. C.: Dobbiamo smettere di pensare che l’Unione europea sia uno Stato. È ancora una specie di oggetto di diritto internazionale e di associazione di Stati membri non completamente definita, in cui gli Stati hanno un ruolo preponderante.
swissinfo.ch: Tornando alle relazioni tra Berna e Bruxelles, un’iniziativa popolare per un’adesione all’UE è rinviata alle calende greche?
F. C.: Penso che non si debba immaginare l’adesione come un’unica decisione che sarà presa d’un sol colpo. Si tratta di un processo graduale, con delle scelte ad ogni volta. E lì il lavoro di persuasione e di costruzione di una maggioranza è totalmente diverso, perché non credo che i nostri cittadini entreranno nell’UE per un immenso desiderio, una sorta di proiezione di sé stessi nel futuro radioso.
swissinfo.ch: La codecisione non è un’illusione in un’UE in cui sono sempre le grandi potenze economiche ad imporre la loro volontà e la loro politica ai piccoli Stati?
F. C.: Questa idea di un’Europa che sarebbe un monoblocco dominato dai grandi è totalmente smentita dalla realtà. Per esempio in questo momento c’è un gioco sulla futura presidenza della Commissione che è estremamente complesso, nel quale si possono svolgere ruoli straordinariamente interessanti anche se si è piccoli, perché ci sono dei giochi di alleanze, una diplomazia, degli equilibri che sono a geometria variabile.
E noi svizzeri siamo i sovrani di questo tipo di funzionamento. Non solo saremmo a nostro agio, ma saremmo molto bravi. Ed è quanto meno pazzesco che usiamo le caratteristiche della Svizzera per criticare un’eventuale partecipazione all’Unione europea.
swissinfo.ch: Avete detto che occorre ancora tempo prima che gli svizzeri si decidano a favore dell’adesione all’UE. Avete fissato delle scadenze precise?
M. N.: Noi non vogliamo fare proselitismo. Non abbiamo nessuno che possa dire – come l’ex consigliere nazionale Christoph Blocher – “dò cinque milioni per una truppa da combattimento”. Ma abbiamo degli argomenti più sfumati di semplicistiche affermazioni quali “fuori gli stranieri”, “no all’UE”, “abbassare le imposte”. Formulazioni simili si vendono facilmente, ma trovo più interessanti e proficue discussioni come quelle che conduciamo.
F. C.: Ci sono diversi calendari. C’è quello della consapevolezza degli esseri umani, che avanza in profondità senza che lo si veda. Poi ci sono agende politiche alle quali ci si adatta e che improvvisamente fanno avanzare o retrocedere un soggetto. Un esempio di incertezza che ha improvvisamente colpito la Svizzera è il segreto bancario. Si era detto che sarebbe durato ancora mille anni, con la separazione eterna tra evasione e frode fiscale. E un giorno la situazione è mutata rapidamente. Noi lavoriamo su questi due calendari: è un approccio umanistico di un dossier politico.
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