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Audrey Tang, come socializzare con i social media?

ritratto di Audrey Tang
Audrey Tang: prima hacker e attivista, ora ministra per l’innovazione tecnologica a Taiwan. swissinfo.ch / Audrey Tang

Ovunque nel mondo le democrazie di lunga data stanno cercando la formula magica per convivere al meglio con le sfide di Internet. Taiwan può forse gridare Eureka? Nel Paese asiatico gli strumenti digitali sono parte integrante della quotidianità democratica. Audrey Tang, ministra per l’innovazione tecnologica sull’isola, ce ne spiega i vantaggi.

Interrotta la scuola diventa hacker, poi ministra: ecco in sintesi il percorso personale di Audrey Tang. Nella funzione di ministra competente per le nuove tecnologie è chiamata a rendere Taiwan una democrazia digitale cui ispirarsi. E al più tardi da quando il piccolo Stato insulare ha saputo districarsi nella pandemia come nessun altro è diventata ospite fissa delle maggiori testate internazionali.

Non lavora per il Governo, ma con il Governo, ribadisce sulle pagine del quotidiano svizzero Neue Zürcher ZeitungCollegamento esterno. Ministra senza portafoglio, non si ritrova alla testa di un grande dipartimento con oneri finanziari e funzionari, ma interpreta il proprio ruolo piuttosto come anello di congiunzione diretto tra il Governo, gli elettori e gli attivisti.

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Come rendere i social network di nuovo sociali

Questo contenuto è stato pubblicato al Appelli alla violenza, teorie del complotto e censura. Come rendere di nuovo Internet una risorsa per la democrazia?

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Da sempre la Cina rivendica la propria supremazia sullo Stato di 23 milioni di abitanti, che ritiene parte del proprio territorio. In effetti i Paesi che intrattengono relazioni diplomatiche ufficiali con Taiwan sono assai pochi – e la Svizzera non è tra questi. In questo contesto ostico Taiwan si è trasformata in una democrazia modello: nell’ultima classifica stilata al riguardo dalla rivista The Economist, Taiwan si piazza di poco davanti alla Svizzera, grazie in particolare a forme innovative di partecipazione digitale al sistema democratico.

SWI swissinfo.ch: Oggi le reti sociali non sono più viste come un vantaggio per la democrazia. Affiorano piuttosto problematiche legate ai discorsi di odio e alle fake news. Come la vede lei dalla prospettiva di Taiwan? Percepisce lo stesso tipo di pessimismo?

Audrey Tang: Non penso spesso in termini di ottimismo e pessimismo, ma piuttosto nelle categorie di un’infrastruttura compartecipativa di una società civile, in contrapposizione a una antisociale e tendenzialmente privatista.

I social media, antisociali o pro sociali che siano, possono restare tali. Esattamente come abbiamo gente che si ritrova in un municipio, a una tavola rotonda, in un parco, in un contesto accademico, e discute in modo strutturato di politica. Queste sono infrastrutture pubbliche.

“La differenza tra competenza ed istruzione si sintetizza nel fatto che l’istruzione si riceve. Con la competenza invece si partecipa”.

Si può parlare di politica anche in un bar rumoroso e affollato, in un nightclub, dove la gente deve gridare per farsi capire, con bibite che intontiscono, buttafuori all’ingresso e via di seguito. Anche questo è un modo di discutere di politica, anche se forse non è il più pro sociale.

Proprio come negli spazi fisici anche nella realtà digitale troviamo diverse configurazioni dell’interazione sociale. A Taiwan, il Movimento dei girasoli ha creato la nostra infrastruttura di comunicazione in un modo che spesso viene definito come “applicato alla situazione”

In questo modo, non appena si manifesta l’esigenza di comunicare possiamo programmare uno spazio digitale, senza doverci adeguare al lato meno sociale dei social media. Possiamo disegnare l’interazione seguendo i desideri dei partecipanti. Qui a Taiwan funziona così già da un pezzo, vale a dire da 25 anni.

Soffermiamoci sull’immagine del nightclub o del parco pubblico: in spazi di questo genere alcune regole stabiliscono come ci si deve comportare.

Il municipio non è un semplice edificio, o sbaglio? È un sistema di norme che definisce l’alternanza tra chi parla e chi ascolta. Queste regole sono impostanti. L’idea taiwanese della democrazia come forma di tecnologia racchiude molto bene questa norma. Le persone si fanno avanti quando pensano che qualcosa non quadri con l’attuale processo democratico, ma non lo fanno solo per protestare, bensì pure per mostrare come si potrebbero migliorare le cose. 

Partecipano così alla progettazione del sistema democratico, allo stesso modo in cui possiamo applicare un tipo di layout o design a un parco pubblico con l’uso di un software.

Ci tengo a precisare che nel secolo scorso si è spesso parlato in questo modo: “Per partecipare alla democrazia devi essere colto.” Oggi invece si dice: “Devi avere la competenza per prender parte alla democrazia digitale.”

La differenza tra competenza ed istruzione si sintetizza nel fatto che l’istruzione si riceve. Con la competenza invece si partecipa.

Come si raggiunge questa competenza?

Anziché frenare i giovani dicendo loro: “Dovete essere adulti per partecipare alla democrazia”, li incoraggiamo con queste parole: “Non lasciatevi intimorire, continuate e avviate le vostre iniziative.” Oltre un quarto delle iniziative dei cittadini sono piattaforme di democrazia digitale ideate da persone non ancora diciottenni, e peraltro anche molto efficaci, come ad esempio il divieto di usare cannucce di plastica per il tè a bolle di tapioca, la nostra bevanda nazionale.

Audrey Tang seduta alla scrivania nel suo ufficio
Audrey Tang nel suo ufficio a Taipei. Keystone / Chian Ying-Ying

Un aspetto centrale è l’apprendimento durante tutto l’arco della vita, la solidarietà intergenerazionale e il mentoring reciproco. Vogliamo garantire che anche i più giovani possano determinare l’agenda politica, sentendosi parte integrante del processo democratico ancor prima di potervi far parte come cittadini adulti.

Come si può evitare che i social media commerciali diventino antisociali?

Se la gente ha già un’idea ben chiara di cosa sia la norma vigente, i grandi colossi mediatici multinazionali come Facebook che la violano avranno grandi difficoltà ad imporsi.

Quando all’interno di una società manca una norma sociale radicata, ad esempio in ambito di trasparenza nel finanziamento delle campagne elettorali, allora è ovvio che i social media possono bypassare facilmente lo Stato.  

A Taiwan la società civile ha letteralmente occupato il Parlamento esigendo trasparenza. È entrata nell’Ufficio nazionale di controllo contabile, si è impossessata dei rapporti sulle uscite delle campagne elettorali e ha scannerizzato i dati rendendoli leggibili da una macchina.

“Quando all’interno di una società manca una norma sociale radicata allora è ovvio che i social media possono bypassare facilmente lo Stato”.

Questa trasparenza radicale e duramente conquistata sul finanziamento delle campagne politiche è diventata la norma. Ecco perché da noi Facebook non può opporsi all’esigenza sociale di trasformare in tempo reale gli annunci politici in dati pubblicamente accessibili. L’ingerenza o il finanziamento straniero sono vietati, analogamente a quanto vale per il finanziamento delle campagne elettorali.

Non abbiamo varato nessuna legge al riguardo. Si basa tutto su sanzioni sociali.

Per contrastare le bufale avete puntato sullo slogan “humor over rumor”: un software aiuta a intercettare la disinformazione sui social media. Prima che diventi virale, a Taiwan contrastate la bufala con il vostro messaggio, riportando i fatti in maniera spiritosa. Lo scopo è battere sul tempo la disinformazione, facendo in modo che i fatti divertenti vengano diffusi più in fretta. Inoltre impiegate degli addetti alla verifica dei fatti. Abbiamo capito bene?

Sì, tra questi addetti troviamo molti giovani in età scolastica. Anche questo fa parte della competenza.

Esistono strumenti simili anche per contrastare l’odio su Internet?

Gli utenti possono segnalare dei contenuti per uno “strumento anti infodemia”, come ad esempio Line.

Quando qualcosa viene segnalato, la dashboard della piattaforma Line indica cos’è di tendenza in quel momento, senza dire se si tratta di disinformazione, truffa, incitamento all’odio o altro. In modo molto neutrale, come se tali notizie stessero per diventare virali.

Ciò che è virale non è forzatamente tossico. Se però lo fosse, l’individuazione tempestiva ci permette di affrontarlo: l’umorismo funziona meglio del pettegolezzo – humor over rumor. Se si aspetta anche solo una notte, la gente associa questi memi virali alla memoria a lungo termine.

Se nel giro di poche ore riusciamo a snocciolare una risposta ironica che faccia da contraltare ai contenuti tossici, invogliamo la gente a condividere la gioia, anziché la ritorsione, la discriminazione o la vendetta. È un atteggiamento che fa stare meglio. La chiave sta però tutta nella tempistica. In rete, se aspetti un paio di giorni anche le migliori intenzioni non funzionano più.

Traduzione dal tedesco: Loredana Mombelli

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