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«Un massacro senza via di ritorno al Cairo»

Il Cairo a ferro e a fuoco AFP

Uno sgombero costato centinaia di morti e feriti, scontri in tutto il paese, proclamazione dello stato d’emergenza: all’indomani dell’intervento dell’esercito nelle due piazze del Cairo occupate dai pro-Morsi, la stampa svizzera teme che in Egitto si riproduca uno scenario all’algerina.

«L’Egitto si sveglia questa mattina con un gusto di sangue in bocca», sottolineano giovedì la Tribune de Genève e 24 Heures. Per la stampa svizzera, l’intervento delle forze di sicurezza egiziane per sloggiare i sostenitori del deposto presidente Morsi dalle due piazze del Cairo che occupavano, con un bilancio ancora provvisorio di oltre 500 morti (i Fratelli musulmani parlano dal canto loro di più di 4’000 morti), incanala l’Egitto in una strada senza uscita.

Nel loro commento comune, il Bund e il Tages-Anzeiger rilevano che l’assalto chiude le porte a qualsiasi possibile negoziazione coi Fratelli musulmani. «Il conflitto avrebbe potuto essere risolto al tavolo dei negoziati, evacuando in maniera pacifica le piazze e fornendo nello stesso tempo la garanzia ai Fratelli musulmani di poter continuare a partecipare al processo politico», scrivono in due quotidiani. Ad imporsi è stato però «il diritto del più forte», malgrado i liberali spingessero per una soluzione negoziale, ad immagine del vicepresidente ad interim Mohamed El Baradei, dimessosi dopo le violenze.

Il ricorso alla forza non risolverà comunque i problemi, poiché i radicali islamici, «pur essendo una minoranza, rimangono numerosi, ideologicamente incrollabili e estremamente ben organizzati». Il rischio di entrare in una spirale di violenza senza fine, è più che mai reale.

Una sconfitta per la democrazia

Per la Tribune de Genève e 24 Heures, «il dramma che i mediatori internazionali hanno tentato invano di evitare» si è purtroppo concretizzato. «Dopo il massacro del Cairo, la reazione di collera dei Fratelli musulmani, ad Alessandria e in altre città del paese, fa ormai temere uno scenario di guerra civile all’algerina».

Uno scenario che evoca anche la Neue Zürcher Zeitung: «Questa escalation di violenza incoraggerà un culto del martirio che finora in Egitto era relativamente poco sviluppato e susciterà sete di vendetta. Vendetta contro chi? Lo spettro è ampio: poliziotti, soldati, israeliani, stranieri e copti».

Per la Südostschweiz, «il bagno di sangue è una sconfitta per la democrazia». La responsabilità non va attribuita però solo ai falchi del regime: «Dopo il naufragio del loro governo, l’organizzazione islamica ha respinto ogni offerta di dialogo». La vita di donne e bambini – continua il giornale della Svizzera orientale – conta poco per i Fratelli musulmani, i cui leader «da decenni si compiacciono nel ruolo di vittima e sono assetati del sangue dei martiri». Un sangue che «funziona da combustibile per la loro macchina di reclutamento e assicura la solidarietà con altri gruppi islamici». Nel frattempo, «la società civile sulle rive del Nilo rischia di soffocare a causa dei gas lacrimogeni e della sete di sangue».

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Guerra civile?

In un reportage al Cairo, il quotidiano ginevrino Le Temps illustra dal canto suo le insanabili divisioni venutesi a creare in una società in cui i due campi si accusano a vicenda «di non essere dei veri egiziani». Un giovane anti-Morsi interpellato dal reporter si dice però fiducioso: «Non scoppierà una guerra civile. L’esercito egiziano non è quello siriano. Vi sono i nostri fratelli, i nostri amici. Non spareranno su di noi».

Anche per Reinhard Schulze, professore di islamistica all’università di Berna, non si è alle porte di una guerra civile, poiché «la situazione di conflitto è troppo eterogenea» e «solo se vi fossero dei fronti chiari, potrebbe essere uno scenario alla siriana». Il rischio è piuttosto che si sviluppino tutta una serie di conflitti «tra singole parti della società».

Intervistato dal Tages-Anzeiger e dal Bund, Schulze ritiene poco probabile una radicalizzazione dei Fratelli musulmani, poiché i membri fanno parte soprattutto della classe media.

«Ad uscire vincitori da questa situazione sono i salafiti», prosegue il professore di islamistica. «Contrariamente ai Fratelli musulmani, sono pronti a collaborare in seno al Consiglio costituzionale (…). Si presentano come un’istituzione neutrale e aspirano ad assumere l’eredità dei Fratelli musulmani». Ma possono realmente fondersi nel gioco democratico? «È nel loro interesse, afferma Schulze. E lo faranno fino a quando ciò contribuirà a fare i loro interessi».

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