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Una «depressione collettiva» affligge la Georgia

Alex Majoli/Magnum

Tra le repubbliche del Caucaso, la Georgia è stata a lungo considerata come un modello di democrazia. Il braccio di ferro con la Russia, le tensioni etniche e la crescente corruzione, hanno però spinto il paese verso una nuova crisi dello stato di diritto. La transizione, sostenuta anche dalla Svizzera, sembra a uno stallo.

Novembre 2003. Migliaia di persone scendono in piazza a Tbilisi per protestare contro presunti brogli elettorali e chiedere le dimissioni del presidente Eduard Shevardnadze. Ha inizio la rivoluzione delle rose e l’era Saakashvili, leader carismatico dell’opposizione e attuale capo di Stato.

L’arrivo al potere di questo giovane avvocato segna una svolta importante nel processo di transizione dell’ex repubblica sovietica.

«Mikhail Saakashvili rappresentava la speranza di un futuro migliore e di un avvicinamento all’Occidente», spiega il giornalista Eric Hoesli, profondo conoscitore della regione. «Durante i primi anni del suo regime, ha dichiarato guerra alla corruzione e al clientelismo, introducendo importanti riforme nell’apparato statale e tra le forze dell’ordine. Nel Caucaso, la Georgia era citata come un modello di democrazia».

Il processo di transizione, sostenuto anche dalla Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) e da diverse ONG svizzere, sembra però essersi inceppato. I ripetuti conflitti scoppiati con le regioni secessioniste dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud, sostenute da Mosca, e la conseguente interruzione delle relazioni diplomatiche con il Cremlino non hanno fatto che aggravare la situazione.

«Malgrado le riforme introdotte si assiste a una deriva dello stato di diritto e nella popolazione cresce il malcontento nei confronti del regime, prosegue Eric Hoesli. La corruzione si è installata tra le più alte sfere del potere, giustizia compresa, e la situazione rischia di peggiorare con le elezioni presidenziali del 2013».

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Agricoltura di sussistenza

Se durante l’epoca sovietica la Georgia era considerata una regione prospera, dal 1991 l’economia vacilla e la produzione industriale è diminuita di un quarto. «È un paese dalle grandi potenzialità, ma povero e soprattutto vittima di una sorta di depressione collettiva, in seguito al crollo subito dopo la caduta dell’Urss e ai ripetuti conflitti», ci spiega Stefanie Jud,  responsabile dei programmi di World Vision Svizzera. L’ONG lavora in diverse regioni della Georgia e dell’Abkhazia nel campo della salute e dell’educazione dei bambini, e a favore di un miglioramento della qualità di vita.

«Nelle zone rurali, la gente vive dei propri prodotti, in condizioni molto semplici», spiega Stefanie Jud. «Cerchiamo di dare ai giovani le competenze necessarie per lavorare nell’agricoltura. Il mestiere del contadino ha perso fascino, i giovani sognano un futuro diverso e spesso scelgono di emigrare. In molti villaggi non restano che vecchi e bambini e mancano braccia».

A differenza del vicino Azerbaijan, la Georgia non è una terra ricca di materie prime e la sua economia interna si fonda prevalentemente sull’agricoltura. Stando alla DSC, tra il 2006 e il 2010 il settore impiegava il 47 per cento della forza lavoro e un suo rafforzamento è considerato cruciale per la riduzione della povertà.

Fino al 2006 la Georgia esportava acqua minerale e vino in grandi quantità verso la Russia, ma poi l’embargo deciso dal Cremlino ha fatto crollare la produzione viticola dell’80% dall’oggi al domani e costretto Tbilisi a cercare nuovi partner, senza troppo successo.

Russia, così vicina e così lontana

Dall’arrivo al potere di Saakashvili, beniamino degli Stati Uniti e più vicino all’Europa e alla NATO che alla Russia, i rapporti tra i due paesi si sono però deteriorati.

«Saakashvili fonda la propria legittimità sull’opposizione politica con il Cremlino, facendo leva sul patriottismo», analizza Eric Hoesli. «La realtà economica però è quella di una forte dipendenza. La Russia non è solo il principale fornitore e cliente della Georgia, ma ospita anche gran parte della sua diaspora, una risorsa finanziaria importante». Di fatto, un quarto della popolazione attiva georgiana vive all’estero, prevalentemente nei paesi dell’ex Repubblica sovietica e in particolare in Russia.

Si tratta di una situazione paradossale, prosegue il giornalista. «La Georgia non può essere in guerra con un paese dal quale dipende. È come se la Svizzera interrompesse i propri rapporti con la Germania. È comprensibile che dopo anni di dominazione sovietica la Georgia voglia crescere da sola, ma fin dagli inizi Saakashvili ha portato avanti una politica volontarista e aggressiva, alla quale Putin non ha però risposto con la magnanimità di cui dovrebbe far uso una grande potenza».

Indipendente dal dicembre 1991, dopo la disgregazione dell’URSS, la Georgia è stata teatro negli ultimi vent’anni di numerosi conflitti interni legati alle aspirazioni di autonomia e secessione dei territori dell’Ossezia del Sud e dell’Abcasia.

Le due regioni, sostenute dalla Russia, hanno proclamato a più riprese la propria indipendenza già dal 1989.

Nell’agosto del 2008 le forze armate georgiane hanno invaso l’Ossezia del Sud per cercare di tenere sotto controllo le forze secessioniste.

L’intervento delle forze armate russe ha però costretto il governo georgiano a ritirare le proprie truppe dopo pochi giorni di scontri. Tbilisi ha quindi accettato di firmare un accordo di cessate il fuoco elaborato dall’Unione europea, ma ha interrotto le relazioni diplomatiche con Mosca.

L’indipendenza dell’Abcasia e l’Ossezia del Sud è stata riconosciuta unicamente da Russia, Nicaragua, Venezuela e qualche isola del Pacifico. Per la comunità internazionale queste regioni fanno tuttora parte della Georgia.

Dopo la firma della tregua, Russia e Georgia hanno avviato delle trattative di pace sotto l’egida dell’Unione europea, delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa.

Stando all’Unhcr, in Georgia, Abcasia e Ossezia del Sud vi sarebbero almeno 240’000 rifugiati interni.

Grazie anche all’intervento della Svizzera, che dal 2009 rappresenta gli interessi di Mosca e Tbilisi, la situazione è «tecnicamente migliorata», spiega Hoesli. «I diplomatici elvetici hanno dato prova di inventiva e originalità per superare le divergenze tra i due paesi, in particolare nel caso dell’adesione della Russia all’OMC. Ma il problema fondamentale è legato alla figura stessa di Saakashvili, considerato dal Cremlino come un personaggio poco fidato e pericoloso. È sulla lista nera di Putin e se nel 2013 verrà rieletto è difficile immaginare un miglioramento fondamentale delle relazioni tra i due paesi».

Un confine inesistente, ma fin troppo presente

Resta aperta anche la questione dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud, due spine nel fianco per Saakashvili. Queste regioni strategiche, che per la comunità internazionale fanno ancora parte della Georgia, sono di fatto controllate dalla Russia.

Ma malgrado questo sostegno finanziario e politico, l’Abkhazia fatica a risollevarsi. «È una terra fantasma», dice la coordinatrice di World Vision, l’unica ONG svizzera ad avere progetti in tutta la regione, in collaborazione con l’Unicef e l’Unhcr. «Molti villaggi sono deserti; gli edifici distrutti dalla guerra non sono mai stati ricostruiti e mancano i servizi di base».

Per incontrarsi, il personale abcaso e quello georgiano dell’ONG sono costretti a rifugiarsi in un paese vicino, l’Armenia o l’Azerbaijan. E per affrontare il tema della pace bisogna ricorrere ad escamotage, perché dall’indipendenza auto-dichiarata questa repubblica non vuol più sentir parlare di conflitto etnico. Eppure praticamente ogni persona in Abkhazia può raccontare esperienze di guerra, spiega Stefanie Jud. «La guerra è ancora presente nella loro vita, ha un impatto sull’organizzazione del presente e la visione del futuro».

Negli ultimi anni la situazione sembra essere arrivata a un punto di non ritorno. «La Georgia si è lasciata sfuggire l’occasione di creare una repubblica multietnica, lasciando una certa autonomia all’Abkhazia e all’Ossezia del Sud. Ora dovrà prima di tutto passare per la Russia per appianare i rapporti con le due regioni e per questo ci vorrà del tempo e un cambiamento ai vertici», sottolinea ancora Eric Hoesli.

Se le ONG non sembrano temere  un nuovo conflitto nell’immediato, i loro occhi sono puntati al 2014, quando i due paesi avranno già archiviato da un lato le elezioni presidenziali e dall’altro i giochi olimpici di Soci e allora le questioni territoriali potrebbero tornare d’attualità. Con tutte le drammatiche conseguenze del caso.

La Svizzera è attiva nel Caucaso del Sud – Georgia, Armenia e Azerbaijan – dal 1988 con diversi progetti di aiuto umanitario e cooperazione tecnica. Sostiene in particolare le popolazioni rurali e i profughi.

Dopo la caduta del muro di Berlino, il 25 dicembre 1991 la Svizzera riconosce l’indipendenza della Georgia.

La presenza elvetica si rafforza agli inizi degli anni Novanta, per soccorrere le vittime dei conflitti territoriali scoppiati in Abkhazia, Ossezia del Sud e Nagorno-Karabakh.

Nel 1996 viene aperto a Tbilisi un ufficio regionale di cooperazione; nel 2001 l’ambasciata.

Dal 2009 la Svizzera rappresenta gli interessi diplomatici e consolari della Russia a Tbilisi e della Georgia a Mosca.

La Svizzera ha inoltre svolto un ruolo attivo nella missione di osservazione dell’ONU in Georgia (MONUG), diretta da Heidi Tagliavini dal 2002 al 2006.

Attualmente la DSC ha progetti anche nella zona di frontiera tra l’Abkhazia e la Georgia, mentre è assente dall’Ossezia del Sud.

 

(Fonte: DFAE)

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