Una guerra a Gaza in una regione già in fiamme
In mancanza di un processo di pace tra israeliani e palestinesi, la guerra è ripresa a Gaza. Il contesto regionale è cambiato negli ultimi mesi con l’esplosione del conflitto tra sunniti e sciiti, che dà fuoco a tutta la Mezzaluna fertile, dal Libano e al Golfo Persico.
Come nel 2006, 2009 e 2012, la Striscia di Gaza si è ritrovata in questo mese di luglio sotto il fuoco dell’esercito israeliano, a seguito di lanci di razzi da parte del braccio armato di Hamas e altri gruppi palestinesi.
“L’obiettivo strategico è quello di far cessare i lanci di razzi. Lo perseguiamo militarmente, fino a quando non avrà successo la via diplomatica. Ma, dietro le quinte, lavoriamo per arrivare ad applicare i termini del cessate il fuoco egiziano”, afferma Yigal Palmor, portavoce del ministero israeliano degli affari esteri, sottolineando di parlare a nome del governo di Benjamin Netanyahu.
Al 10° giorno dell’offensiva israeliana
Oltre 210 palestinesi sono stati uccisi dall’inizio dell’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza l’8 luglio 2014, secondo l’ONUCollegamento esterno. Nello stesso periodo, le organizzazioni armate di Gaza hanno lanciato più di 1’200 razzi in direzione di Israele, uccidendo un civile.
Israele e Hamas si sono impegnati a rispettare giovedì una tregua umanitaria di cinque ore. Questo cessate il fuoco temporaneo è stato chiesto dall’ONU per permettere di fornire aiuti umanitari nella minuscola enclave palestinese di 362 km2, dove gli oltre 1,6 milioni di abitanti sono confrontati da anni con l’embargo israeliano.
Mercoledì sono stati uccisi almeno 25 palestinesi, tra cui 8 bambini, secondo i soccorsi palestinesi. Quattro bambini sono morti nel bombardamento che ha distrutto una baracca di pescatori su una spiaggia della città di Gaza, vicino al porto e nei pressi di un hotel utilizzato dai giornalisti.
Dall’inizio dell’offensiva israeliana si contano oltre 1’682 feriti, secondo i servizi di pronto intervento palestinesi.
Giovedì sera, le forze israeliane hanno lanciato una vasta operazione terrestre all’interno della Striscia di Gaza, con lo scopo di distruggere i tunnel che collegano l’enclave palestinese a Israele.
Una dichiarazione giudicata credibile da Pascal de Crousaz, specialista di relazioni internazionali presso l’Istituto universitario di studi internazionali e dello sviluppo (IHEID)Collegamento esterno di Ginevra.
“Benjamin Netanyahu non è davvero un guerrafondaio, a differenza del centrista Ehud Olmert ei suoi alleati del Partito laburista, che hanno condotto tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009 una guerra devastatrice per i civili a Gaza. Dall’inizio dell’offensiva israeliana, il primo ministro israeliano ha dichiarato che, alla calma, risponderebbe con la calma. In altre parole, se Hamas ponesse fine al lancio di razzi, Israele cesserà la sua offensiva militare”, rileva Pascal de Crousaz.
Il miglior piano, secondo il governo israeliano
Yigal Palmor precisa a proposito dell’iniziativa egiziana: “Finora questo è il miglior piano. Gode di un raro consenso della Lega Araba, dell’Unione europea, degli Stati Uniti e di Israele. E ciò va preservato. Vi è un obiettivo diplomatico di grande importanza e la volontà di concretizzarlo da parte di molti attori”.
E per quanto riguarda i palestinesi? “Impossibile, nelle condizioni attuali, che vi sia una delegazione palestinese con dei rappresentanti di Hamas”, risponde il portavoce israeliano.
Pascal de Crousaz specifica: “Anche se nel suo statutoCollegamento esterno (1988) Hamas rifiuta il diritto di Israele ad esistere, nella pratica i leader politici di Hamas hanno fatto sapere che era possibile concludere con l’avversario una tregua di lunga durata. Ma Hamas non intende porre fine a questo confronto senza ottenere, nell’ambito di un accordo di cessate il fuoco, almeno un allentamento del blocco israeliano-egiziano, che da anni sta soffocando Gaza, trasformando questa zona in un’affollata prigione a cielo aperto”.
“Hamas è un attore della scena politica palestinese. È una realtà”, dichiara invece Imad Zuheiri, diplomatico palestinese e direttore esecutivo del Centro di Ginevra per la promozione dei diritti umaniCollegamento esterno. “Nonostante tutte le differenze che abbiamo con la gente di Hamas per quanto riguarda la visione, la tattica e la strategia, abbiamo raggiunto un accordo con i nostri fratelli in Hamas e altri gruppi politici palestinesi. Come membro di Fatah, ritengo che dobbiamo agire come persone responsabili. Siamo in un processo di riconciliazione nazionale”.
“Il programma è lo stesso per tutti: la creazione di uno Stato palestinese”, aggiunge il diplomatico palestinese. “I mezzi possono variare. Dopo anni di fallimenti, non è facile tornare a una riconciliazione. Soprattutto quando Israele sta facendo di tutto per distruggerla, come dimostra quello che sta accadendo a Gaza, con un’offensiva che ha fatto seguito alla composizione di un governo di unità nazionale”.
Lo Stato palestinese nelle organizzazioni internazionali
Queste guerre a ripetizione sono riprese dopo il ritiro unilaterale e senza negoziazione degli israeliani da Gaza nel 2005. Ma il verme si trova nel frutto dalla creazione di Israele nel 1948, come spiega sul suo blog, ospitato dal sito Rue89, Jean-Pierre Filiu, docente di storia all’Università Sciences Po di Parigi e autore di una saggio storico su Gaza, pubblicato nel 2012.
Con quest’ultimo conflitto, la creazione di uno Stato palestinese sembra più che mai remota. Il governo Netanyahu – il più a destra della storia di Israele – non ha finora mostrato una vera volontà di negoziare con l’Autorità palestinese e di abbandonare la sua politica di colonizzazione, come indica anche il fallimento dell’iniziativa lanciata l’anno scorso dal ministro degli affari esteri americano John Kerry.
Reazioni del governo svizzero
Il Dipartimento degli affari esteri (DFAE) ha espresso la sua preoccupazione in seguito all’ondata di violenza nei Territori palestinesi e, in particolare, nella Striscia di Gaza, come pure in Israele.
Chiedendo un cessate il fuoco immediato, il DFAE ribadisce la sua opposizione alla violenza, da qualsiasi parte giunga, e invita tutte le parti in conflitto a rispettare gli obblighi del diritto internazionale, in particolare quelli che concernono la protezione della popolazione civile.
Il DFAE invita inoltre i governi israeliani e l’Autorità palestinese a riprendere i negoziati e ad operare congiuntamente affinché entrambi i popoli possano vivere durevolmente nella pace e nella sicurezza.
Da parte palestinese si è ormai persa la fiducia, visto il fallimento della lotta armata e gli scarsi risultati della via diplomatica scelta dall’Autorità palestinese. E, questo, pur avendo collaborato sul piano della sicurezza con il governo israeliano.
Ma non tutto è perduto, ritiene Imad Zuheiri: “C’è una terza opzione, la vial legale con le Nazioni Unite, la Corte penale internazionale e altri organismi internazionali. Il campo giuridico è molto ricco. L’Autorità palestinese continuerà a seguire questa direzione, oltre a quella della diplomazia e di altre forme di resistenza nel rispetto del diritto umanitario internazionale”.
Da quando, nel 2012, l’ONU e il suo Consiglio di sicurezza hanno riconosciuto la Palestina quale Stato osservatore, non membro, la diplomazia palestinese tesse la sua tela nel sistema delle Nazioni Unite, tentando nuove possibilità a livello di azioni legali. “Abbiamo già ratificato una dozzina di convenzioni internazionali”, dice Imad Zuheiri.
La guerra di troppo in un Medio Oriente in fiamme
Bisognerà ancora misurare l’impatto che la nuova crisi di Gaza avrà in Medio Oriente, mentre divampa nella regione una guerra sempre più intensa tra sunniti e sciiti, con l’Arabia Saudita da una parte e l’Iran l’altra.
Per ora, l’impatto sembra essere limitato, ritiene Pascal de Crousaz: “In teoria, la guerra di Gaza potrebbe evolvere in una scatola chiusa. Per gli abitanti della regione e, in particolare, la Mezzaluna fertile che va dal Libano al Golfo Persico, la posta in gioco più grande è costituita dallo scontro tra gli alleati locali dell’Arabia Saudita e dell’Iran, con la sua dimensione religiosa e geopolitica. Dalla caduta di Saddam Hussein nel 2003, a seguito dell’invasione degli Stati Uniti, entrambe le parti si contendono l’Iraq, che rappresentava una sorta di Stato cuscinetto”.
Lo specialista del Medio Oriente avverte: “In caso di estremo aggravamento del conflitto a Gaza o di una nuova rivolta in Cisgiordania, le scintille del vecchio conflitto israelo-palestinese potrebbe riaccendere il fuoco su un’area che non sembra poter trovare la pace. Oltre al Libano, da cui sono partiti alcuni razzi verso Israele, l’anello debole è la Giordania”.
Una prospettiva di cui sono perfettamente consapevoli i governi della regione, come pure gli occidentali, sostiene Pascal de Crousaz.
Traduzione di Armando Mombelli
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