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Una visione di compromesso per la sicurezza nazionale

L'obbligo di servire e il sistema di milizia non vengono messi in discussione dal governo Keystone

Il governo svizzero intende proseguire l'attuale strategia di difesa nazionale. Il nuovo Rapporto sulla politica di sicurezza prevede alcuni correttivi, ma niente rivoluzioni: l'esercito e la neutralità resteranno i principali pilastri, mentre non verranno soppressi gli interventi all'estero.

Dall’ultimo Rapporto sulla politica di sicurezza della Svizzera, risalente al 1999, la situazione mondiale ha subito importanti sviluppi, a cominciare dagli attentati terroristici negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Spagna o dalle guerre in Afghanistan, Iraq e Georgia. Anche in Svizzera la politica di sicurezza e le relative condizioni quadro hanno registrato un’ulteriore evoluzione.

I cambiamenti intervenuti sulla scena mondiale non hanno tuttavia modificato sostanzialmente il quadro di minacce che pesano sulla Svizzera, ritiene il Consiglio federale. A suo avviso, “gli aspetti centrali dell’attuale strategia della Confederazione in materia di politica di sicurezza sono tuttora fondamentalmente validi”.

Il governo elvetico ritiene quindi necessario mantenere gli stessi orientamenti strategici, apportando soltanto alcuni correttivi alle linee generali. E questo nonostante le pressioni che giungono da più parti in favore di una revisione della politica di sicurezza nazionale. Mentre la sinistra vuole ulteriormente alleggerire l’esercito svizzero, la destra chiede una rinuncia alle attività all’estero e alla cooperazione con altri paesi.

Compromesso elvetico

“È un compromesso tipicamente svizzero”, ha dichiarato il ministro della difesa Ueli Maurer, presentando giovedì a Berna il nuovo Rapporto sulla politica di sicurezza della Svizzera. Pilastri della strategia futura resteranno infatti l’esercito e il principio della neutralità, senza escludere nel contempo la cooperazione internazionale, ossia le missioni per il promovimento della pace in altri paesi – attualmente la Svizzera è impegnata ad esempio in Kosovo.

Per quanto riguarda l’esercito, le forze armate saranno impiegate maggiormente in compiti di sorveglianza, guardia e protezione (vedi appoggio alle autorità civili in caso di calamità), ma continueranno ad essere il nucleo di una classica difesa contro un attacco militare. A tale riguardo assume una particolare importanza la difesa dello spazio aereo, un settore nel quale il mantenimento del grado di prontezza e le capacità di successo nel caso di un attacco militare dipendono “fortemente dal numero e dall’efficacia dei velivoli da combattimento”.

Il rapporto non entra tuttavia in materia sulla contestata acquisizione di nuovi aerei da combattimento, al posto degli obsoleti Tiger. Il documento non si sofferma neppure sull’organizzazione futura dell’esercito. A detta di Ueli Maurer, non vi sono motivi per modificare due capisaldi sui quali si basa la difesa armata attuale: l’obbligo di servire e il sistema di milizia.

Ad ogni modo, l’esercito è destinato a rimpicciolire ulteriormente negli anni a venire. Tale evoluzione è dovuta alla situazione demografica sfavorevole, a problemi di costi, ma anche ai cambiamenti culturali in atto (vedi incremento candidati al servizio civile), ha spiegato Maurer. La futura architettura dell’esercito non dovrà quindi tenere conto solo della situazione di minaccia, ma anche considerare questi fattori.

Impegno qualitativo all’estero

La cooperazione con la comunità internazionale rappresenta un altro tassello del rapporto. Ciò vale in particolare per le missioni per il promovimento della pace, non molto amate soprattutto dall’UDC, il partito del ministro della difesa. Anche se l’obiettivo del governo rimane l’incremento delle capacità in materia di promovimento della pace, il Consiglio federale “dà la precedenza all’aspetto qualitativo dell’impegno”.

Maurer si è detto favorevole al proseguimento della missione in Kosovo dopo il 2012, anche se rimane aperta la questione del numero di soldati che si intendono mettere a disposizione. Rispondendo indirettamente a coloro che vogliono un maggiore impegno all’estero dei soldati svizzeri, il ministro della difesa ha sottolineato che per queste missioni si fa fatica a reperire volontari.

Tra le minacce dirette, il rapporto indica le catastrofi naturali e tecnologiche, le perturbazioni dell’approvvigionamento energetico, il terrorismo, la criminalità organizzata e la cibercriminalità. Su quest’ultimo punto, Maurer ha indicato che manca ancora un piano di difesa globale, anche se Confederazione e privati sono consapevoli del pericolo. Quanto al terrorismo, il rischio di attacco alla Svizzera è considerato debole.

Reazioni tiepide dei partiti

Il Rapporto sulla politica di sicurezza della Svizzera non ha suscitato grande entusiasmo da parte dei maggiori partiti politici nazionali. L’Unione democratica di centro ha nuovamente criticato la partecipazione dell’esercito a missioni di mantenimento della pace all’estero, chiedendo una riduzione della cooperazione internazionale.

Per il Partito socialista, il documento dovrebbe chiarire maggiormente il ruolo e l’entità che il governo intende accordare all’esercito in futuro, mentre i Verdi criticano la volontà di mantenere l’obbligo del servizio militare. Secondo il Partito liberale radicale, il rapporto corrisponde in linea di massima alle aspettative del centro.

swissinfo.ch e agenzie

Durante la Guerra fredda le forze armate assorbivano addirittura un terzo del budget federale. Con ben 700’000 mila soldati in attività, oltre il 10% della popolazione, la piccola e neutrale Svizzera contava uno degli eserciti più grandi di tutto il continente europeo.

Il 26 novembre 1989, pochi giorni dopo il crollo del muro di Berlino, un’iniziativa favorevole alla soppressione dell’esercito veniva approvata da un terzo degli svizzeri. Uno shock per la classe dirigente, che ha rimesso fondamentalmente in discussione la politica di difesa nazionale, aprendo un cantiere diventato da allora interminabile.

Il primo grande progetto di riforma, Esercito 95, ha portato nella seconda metà degli anni ’90 ad una riduzione degli effettivi a 400’000 unità. Con la riforma Esercito XXI, entrata in vigore dal 2004, il loro numero è sceso a 120’000 soldati attivi e 80’000 riservisti, mentre il budget è diventato ormai inferiore ad un decimo delle spese statali.

Attualmente la Confederazione spende circa 4,1 miliardi di franchi per la politica di sicurezza nazionale, di cui 3,7 miliardi per l’equipaggiamento e l’infrastruttura dell’esercito. Secondo il ministro della difesa Ueli Maurer, le forze armate dovrebbero disporre di 500 a 700 milioni di franchi in più per assolvere il loro mandato.

Secondo un sondaggio pubblicato giovedì dal settimanale romando L’Hebdo, solo il 43,5% degli svizzeri è tuttora favorevole all’obbligo di servire.

Lo scetticismo nei confronti del servizio militare si sta rafforzando nella Svizzera Romanda (solo il 32,3% dei consensi) ma anche in quella tedesca (47%).

Le donne appoggiano lo stato attuale nella misura del 40%, mentre gli uomini del 46,6%.

Il sistema in vigore incontra solo il favore della popolazione di età superiore ai 50 anni (53,3%), mentre nelle fasce d’età 18-34 e 35-49 anni ottiene solo l’appoggio del 37,6%.

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