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Vera inclusione – “arma” pacifica della democrazia contro le crisi e la guerra

persona che balla su una piattaforma colorata
Claire Hodgson, fondatrice di Diverse City, balla la hit di Sister Sledge "We Are Family" al festival "Camp Bestival" nel Regno Unito. Avalon All Rights Reserved.
Serie Inclusione, Episodio 1:

L'ascesa delle autocrazie, la pandemia, le fake news, la guerra di Putin contro l'Ucraina: di fronte a queste minacce, le democrazie devono accrescere la loro resilienza, sostengono politici e politiche. Tuttavia, per essere più forti, le democrazie devono diventare più eque, coinvolgendo tutte le minoranze nei processi politici, indicano attivisti e attiviste, esperti ed esperte. Swissinfo.ch dedica una serie di articoli alla cosiddetta inclusione.

“La guerra della Russia contro l’Ucraina è diretta contro tutte le democrazie in Europa” e “la resilienza è centrale per la democrazia”.

Sono due frasi che sono state ripetute come un mantra durante la due giorni di conferenza internazionale per la ricostruzione dell’Ucraina tenuta all’inizio di luglio a Lugano, in Ticino. Ad esempio, dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, da Ruslan Stefanchuk e Irène Kälin, i presidenti dei parlamenti di Ucraina e Svizzera.

La questione fondamentale in una democrazia è chi può prendere parte ai processi politici e chi, invece, non ha questa possibilità.

La democrazia sta vivendo la più grossa crisi dalla Seconda guerra mondiale e dalla Guerra fredda.

Sul lungo periodo, a causa della tendenza all’autoritarismo e all’autocrazia che perdura da circa 15 anni.

Sul breve periodo, a causa della pandemia di COVID-19 e della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina.

La resilienza è un elemento chiave nelle discussioni volte a risolvere la crisi dalle mille sfaccettature: le democrazie devono rafforzare la loro resistenza e solidità “dall’interno verso l’esterno” per respingere meglio le minacce.

Nella nostra serie puntiamo l’attenzione su un principio della democrazia che finora è stato toccato solo marginalmente nel dibattito intorno alla resilienza: l’inclusione.

Vi presentiamo persone che si impegnano per la “deep inclusion”, ossia un’inclusione globale di tutte le principali minoranze. Anche i contrari di questa idea, che godono del sostegno della maggioranza politica, verranno sentiti.

In occasione del Forum globale 2022 sulla democrazia diretta modernaCollegamento esterno, in programma a Lucerna dal 21 al 25 settembre, swissinfo.ch organizza un panel una tavola rotonda sull’inclusione.

Per inciso, anche gli Svizzeri all’estero sono stati esclusi per molto tempo: possono infatti usufruire dei diritti politici solo dal 1992.

Un’inclusione completa, in inglese si parla di deep inclusion, ha un ruolo centrale per rafforzare il sistema immunitario delle democrazie dal loro interno, ossia per renderle più resilienti. L’argomento principale ci viene fornito dal ricercatore in materia di democrazia Marc Bühlmann:

“Se in una democrazia si allarga l’elettorato, si aumenta il potenziale dialettico sui temi in discussione”. In parole povere, il professore di scienze politiche dell’Università di Berna spiega che “chi impedisce a donne, persone con un retroterra migratorio, giovani di 16 e 17 anni o persone diversamente abili di accedere ai diritti politici, ci si priva di altre prospettive. Da un punto di vista democratico ci si nega qualcosa”.

La diversità, una risorsa democratica per eccellenza

La base di questo “qualcosa” è la diversità. È sostanzialmente la grande legge non scritta della democrazia. Quest’ultima punta sulla diversità e sulla polifonia di opinioni delle cittadine e dei cittadini per trovare con loro soluzioni condivise.

In economia, la diversità è un elemento che buona parte delle aziende considera una risorsa. Per avere successo, le imprese fanno capo a tutto il personale. La varietà di età, livello formativo, identità, valori, lingue e culture è considerato un punto di forza per sviluppare e migliorare strategie, prodotti, l’atmosfera sul posto di lavoro, ma anche per ridurre gli errori e i rischi.

Il CEO, che regna come un lupo solitario sulla “sua” azienda, è passato di moda. Prendiamo a titolo di esempio il grounding nel 2001 della Swissair, la compagnia aerea della Svizzera: il motivo principale del disastro è stata la strategia sbagliata e altamente rischiosa degli ultimi direttori. L’acquisto di piccole aerolinee in difficoltà è stato un errore madornale. Il collasso è stato certamente favorito anche dagli attacchi terroristici dell’11 settembre, ma una gestione aziendale più orizzontale avrebbe probabilmente evitato il peggio. 

Ampi vantaggi

Ritorniamo alla politica: la valorizzazione della diversità vista come risorsa va considerata come senso e scopo originari della democrazia.

I principali vantaggi:

  • partecipazione politica come strumento integrativo;
  • maggior numero di argomenti;
  • dibattiti pubblici più vivaci;
  • base decisionale più ampia, soluzioni più solide;
  • migliore rappresentanza dei vari gruppi di popolazione;
  • appianamento delle differenze, invece della polarizzazione, esclusione o escalation;
  • maggiore legittimazione dei risultati di elezioni e votazioni;
  • maggior sostegno delle decisioni;
  • più fiducia nello Stato e nelle istituzioni politiche;
  • rafforzamento della coesione sociale;
  • creazione dell’identità politica delle cittadine e dei cittadini (political self);
  • più stabilità.

Nuovi argomenti:

  • diversità invece di omogeneità;
  • tolleranza invece di esclusione e discriminazione;
  • uguaglianza invece di privilegi;
  • più resilienza contro le crisi e gli attacchi.

L’inclusione, l’antitesi alla guerra

La guerra di Putin contro l’Ucraina è probabilmente il risultato di una “totale mancanza di dibattito politico” sia al Cremlino sia in tutta la Russia. Le voci critiche, di politici e politiche, attivisti e attiviste e dei mass media sono state messe a tacere con persecuzioni, campi di prigionia, multe e divieti. Putin è l’autocrate che può decidere da solo se mandare decine di migliaia di persone in guerra e mettere a soqquadro il mondo intero.

Se da una parte c’è la democrazia “profonda”, dall’altra c’è il dominio totalitario, la dittatura, la rovina e la morte.

L’inclusione parziale della Svizzera

Il mondo non è bianco e nero. L’inclusione, “il più democratico dei principi democratici”, non ha vita facile, anche in Svizzera, Paese che viene spesso preso a modello per la sua democrazia. La Confederazione conta 8,6 milioni di abitanti. Oltre il 25% sono persone con un retroterra migratorio senza passaporto svizzero e senza diritti politici.

La quota di chi non può votare in Svizzera è addirittura del 37% se consideriamo solo i maggiorenni, ossia le persone d’età superiore ai 18 anni.

Le donne escluse per quasi 125 anni

Le persone straniere hanno condiviso questa sorte con le donne svizzere fino al 1971, anno in cui queste ultime hanno ottenuto il diritto di voto ed eleggibilità. Per 123 anni, la democrazia svizzera era una prerogativa maschile e quindi una democrazia a metà. La Svizzera, fondata sui principi liberali della democrazia a suffragio universale, è una democrazia a tutti gli effetti solo da poco più di 50 anni.

La democrazia svizzera è abbastanza inclusiva? Scopritelo in questo video:

A tutt’oggi, le persone diversamente abili sottoposte a curatela generale sono escluse dai diritti politici, come i 16enni e i 17enni.

Ius soli o ius sanguinis

“La cittadinanza svizzera non può essere gratuita. Viene concessa solo se si presta qualcosa e ciò attraverso il processo di naturalizzazione”, ha detto Thomas Burgherr, consigliere nazionale dell’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice) in un convegno sulla democrazia tenuto nel 2016.

Il principio secondo cui “solo i cittadini e le cittadine elvetiche possono avere il diritto di voto” è sostenuto da buona parte della popolazione in Svizzera. In parlamento, la sinistra promuove regolarmente degli interventi volti a introdurre il diritto di voto per persone con un retroterra migratorio, progetti che vengono però affossati dalla maggioranza borghese.

Ad esempio, all’inizio di giugno, il Consiglio nazionale ha respinto nettamente due iniziative parlamentariCollegamento esterno che volevano concedere i diritti politici alle persone con un background migratorio residenti in Svizzera da almeno cinque anni. Il partito dei Verdi aveva chiesto di accordare il diritto di voto ed eleggibilità agli stranieri e alle straniere a livello nazionale, il Partito socialista a livello comunale.

L’idea nasce dalla convinzione secondo cui la cittadinanza svizzera deve essere concessa come premio per gli sforzi compiuti per integrarsi e assimilarsi nel Paese ospitante.

Libertà e giustizia solo con un’inclusione completa

L’esperta in materia di diversità Estefania Cuero fa parte di un gruppo di attiviste e attivisti che collegano i due grandi valori fondamentali della democrazia, libertà e giustizia, con l’inclusione. La dottoranda presso l’Università di Lucerna concentra le sue ricerche soprattutto sulle persone svantaggiate, tra cui quelle con un retroterra migratorio. “Soprattutto nella democrazia svizzera sono escluse le persone socialmente svantaggiate. Per loro, i privilegi e le norme degli altri significano esclusione e svantaggi”, dice Cuero.

L’esperta spiega che le persone con privilegi dovrebbero essere disposte a condividere le loro risorse per permettere l’inclusione di nuovi gruppi di popolazione. Anche il pubblicista e scrittore Roger de Weck indica che l’inclusione nei processi politici è collegata al concetto di libertà. “Dobbiamo interporre la libertà di difendere i nostri privilegi alla libertà di tutti”, sostiene de Weck.

Rovescio della medaglia: rappresentanza incompleta

Sanija Ameti, copresidente di Operazione Libero ricorda i costi dell’inclusione parziale nella democrazia svizzera. La rappresentanza incompleta delle minoranze ha quale conseguenza “una mancanza di fiducia di molte persone nello Stato poiché né loro né i loro gruppi si sentono rappresentati”. Ameti parla per esperienza personale visto che a nove anni è fuggita con la sua famiglia dalla guerra nell’ex Jugoslavia, lasciando la Bosnia e raggiungendo la Svizzera.

“Il paradosso della democrazia”

In Svizzera, la popolazione straniera ha qualche diritto politico. Ma sono isole minuscole: solo due dei 26 cantoni e circa 380 comuni su un totale di 2148 hanno concesso il diritto di voto a chi è sprovvisto del passaporto svizzero.

Adrian Vatter, professore di scienze politiche all’Università di Berna, parla di un “paradosso della democrazia svizzera”. Infatti, la maggioranza dell’elettorato è contrario all’estensione del diritto di voto, ad esempio a chi ha meno di 18 anni, motivo che rende estremamente difficile ogni nuova concessione democratica. Per dirla senza giri di parole: la democrazia diretta frena la democratizzazione della democrazia.

Stati Uniti ambivalenti

Anche gli Stati Uniti, la prima democrazia modello dell’era moderna, danno di sé un’immagine contradditoria. Sono una meta privilegiata per gli emigranti, Paese che concede la cittadinanza statunitense a tutti coloro che nascono negli USA. Negli Stati, però, i governatori repubblicani fedeli a Donald Trump promuovono una cosiddetta voter supression, ossia impediscono a cittadini americani con diritto di elezione di recarsi alle urne. Oppure li dissuadono di esercitare il proprio diritto con ostacoli quasi insuperabili. E tutto per legge e in maniera legale.

Nelle ultime elezioni presidenziali del 2020, gli ex detenuti erano circa 6 milioni, a cui vanno aggiunti 2,1 milioni di persone che si trovavano in carcere. La voter supression ha preso di mira anche chi frequenta le università e il voto per posta, definito soprattutto da Trump come “il lasciapassare per i brogli elettorali”

Queste misure sono state criticate anche dagli stessi repubblicani. “Queste leggi non sono emesse nell’interesse del popolo, ma del partito politico che controlla il legislativo di uno Stato federale”, ha spiegato a swissinfo.ch Dane Waters, stratega politico dei repubblicani in Virginia prima delle ultime elezioni presidenziali.

Ancora una volta Taiwan

Ci sono però anche buone notizie e ci arrivano da Taiwan. Lì, il ministro della digitalizzazione Audrey Tang ha avuto un ruolo chiave nell’introduzione della cosiddetta co-governance. Un termine che racchiude l’idea di governare insieme e in maniera inclusiva. “Noi non lavoriamo per le persone, ma insieme alle persone”, ha detto Tang alla fine del 2021 nell’ambito di un convegno che ha visto la partecipazione di esperte ed esperti di democrazia svizzeri.

Alla fine del simposio, sono giunti alla seguente conclusione: “Lottiamo contro la pandemia senza lockdown, la ‘epidemia d’informazioni’ senza censura. E ciò grazie alla cooperazione con le persone”.

Nell’approccio “Co-Gov” sono inclusi anche gli adolescenti e i bambini in età scolastica. Attraverso piattaforme online possono sollevare problemi sociali o personali e proporre possibili miglioramenti. Se le loro proposte sono sostenute da 5000 persone, stakeholder, autorità e gruppo promotore si ritrovano e sviluppano possibili soluzioni. Insieme e alla pari.

Di questi tempi sembra quasi una favola. Eppure è una realtà misurabile: nel “Democracy Index” della rivista britannica “The Economist”, durante i due anni di pandemia 2020 e 2021 Taiwan ha fatto un balzo verso l’alto e ha scalato di ben 23 posizioni la classifica piazzandosi tra i primi dieci Stati al mondo in fatto di democrazia. Piazzandosi all’ottavo posto ha addirittura superato la Svizzera, che l’anno scorso è passata dal 12º al 10° posto.

Traduzione di Luca Beti

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