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La diagnosi preimpianto supera l’ultimo scoglio

La Svizzera era l'ultimo paese europeo la DPI. La nuova legge la permette, ma a determinate condizioni. Keystone

Gli elettori svizzeri hanno confermato domenica il loro sì alla diagnosi preimpianto, un anno dopo l’accettazione dell’articolo costituzionale sullo stesso tema.

Dodici mesi fa il 61% dei votanti aveva accettato l’articolo costituzionale sulla diagnosi preimpianto (DPI). Domenica l’elettorato ha confermato quanto deciso allora, accettando la legge federale sulla medicina della procreazioneCollegamento esterno col 62,4% di ‘sì’.

La revisione legislativa è stata respinta solo in tre cantoni: Appenzello esterno e interno e Obvaldo, con quote appena leggermente superiori al 50%. Rispetto a un anno fa, tre cantoni che si erano pronunciati contro la diagnosi preimpianto – Sciaffusa, Svitto e Uri – hanno invece cambiato campo.

Il ‘sì’ è stato massiccio soprattutto nella Svizzera francese, con proporzioni superiori all’80% a Vaud e Ginevra. 

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I timori dei contrari

Il comitato che si era opposto alla revisione legislativa si è rammaricato del risultato e ha chiesto al governo di mantenere la promessa fatta, ossia di porre sotto stretto controllo l’applicazione della DPI.

La legalizzazione di questa pratica alle condizioni attuali continua a dissimulare rischi sia etici che morali, ha indicato il comitato in un comunicato.

«Per la prima volta, la vita umana, dall’inizio del suo sviluppo, diventa valutabile e commercializzabile», ha constatato con preoccupazione Christine Häsler, consigliera nazionale dei Verdi.

Häsler teme che le tendenze eugenetiche di questa legge sulla procreazione medicalmente assistita, che lo stesso ministro della sanità Alain Berset ha constatato, siano ora iscritte nella legge e che in tal modo si crei una mentalità pericolosa.

Da parte sua Marianne Streiff, consigliera nazionale del Partito evangelico (PEV), formazione che aveva lanciato il referendum contro la legge, teme che l’applicazione della DPI sarà insidiosamente estesa.

Limiti chiari

Molto soddisfatta invece la consigliera nazionale zurighese Regine Sauter (Partito liberale radicale), membro del comitato per il sì alla modifica legislativa, che ha parlato di un’incredibile dimostrazione di fiducia da parte del popolo nei confronti del lavoro svolto dal parlamento.

La deputata ha ammesso che nella diagnosi preimpianto non si possono escludere abusi, tuttavia «è molto chiaro cosa è permesso e cosa è vietato»: chi fa qualcosa di proibito, agisce illegalmente, ha sottolineato. 

Nella tradizionale conferenza stampa del governo, il ministro della sanità Alain Berset ha notato con soddisfazione che ormai le coppie che devono far ricorso alla DPI «non saranno più costrette a recarsi all’estero». Il consigliere federale ha poi cercato di rassicurare i contrari: «Il governo è sempre stato cosciente che la DPI suscita dei timori. Il dibattito ha però permesso di chiarificare la situazione e di inquadrare la DPI in modo stretto. I limiti della sua attuazione sono chiari».

La Svizzera era uno degli ultimi paesi a vietare la DPI

Il referendum contro la modifica di questa legge federale sulla medicina della procreazione era stato lanciato dagli ambienti cristiani conservatori subito dopo l’accettazione dell’articolo costituzionale nel giugno del 2015.

La Svizzera era uno degli ultimi paesi d’Europa a vietare la DPI. Se l’articolo costituzionale spianava la strada a questa pratica, non diceva per contro nulla sui dettagli della sua attuazione, che dovevano appunto essere regolamentati in una legge. Nella prima versione, il governo voleva autorizzare la DPI solo per le coppie che rischiano di trasmettere al loro figlio una malattia ereditaria grave.

Il parlamento è però andato più in là. La legge accettata dalle Camere federali prevede che tutti gli embrioni concepiti in provetta possano essere esaminati con tutte le tecniche genetiche a disposizione e poi selezionati. In altre parole, gli embrioni in cui viene ad esempio diagnosticata la sindrome di Down, potrebbero essere distrutti prima dell’impianto.

Ciò ha fatto sì che il fronte degli oppositori si sia allargato. Ne testimonia l’attitudine di diverse associazioni di andicappati. Se durante la campagna del 2015 sull’articolo costituzionale erano divise, questa volta militavano praticamente tutte nel campo del ‘no’. Il loro auspicio: «Una società inclusiva e solidale», nella quale coabitano «persone con e senza andicap su un piede d’uguaglianza».

Al di là delle divisioni partitiche

Come tutto ciò che riguarda questioni etiche, la DPI non ha provocato una frattura sinistra-destra. I valori personali hanno preso nettamente il sopravvento sulle parole d’ordine del partito. Nei due campi vi erano così rappresentanti di tutto lo spettro politico.

Sul fronte dei sostenitori della legge, si è messo in avanti la libertà di scelta di fronte alle potenziali sofferenze delle coppie, che devono poter decidere da sole se avere un bambino andicappato oppure rinunciare alla gravidanza. Essi ritengono pure che la legge rimane prudente, poiché vieta di scegliere gli embrioni in funzione del sesso o di altri aspetti fisici. Infine, i sostenitori hanno ricordato che la DPI permette non solo di evitare molte gravidanze problematiche, ma pure il concepimento di gemelli, che rappresenta sempre un rischio per la madre e i bambini.

Ritenete che le regole per evitare i rischi di eugenismo siano abbastanza severe?

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