Uno “svizzero medio” di frontiera che teme la libera circolazione
I sondaggi sulle votazioni del 27 settembre indicano che l’iniziativa “per un’immigrazione moderata” è avversata dalla maggioranza degli elettori svizzeri. Ma nella Svizzera italiana, il fronte del sì è più forte che altrove. Le opinioni di un imprenditore del Grigioni italiano, membro dell’UDC, convinto della necessità di porre dei limiti alla libera circolazione.
Brusio è un comune di circa 1100 abitanti, nel canton Grigioni, al confine con l’Italia. “Gente di frontiera, intraprendente e cordiale”, si legge sul sito Internet del municipio. Le relazioni con la vicina Valtellina hanno radici secolari e sono tuttora molto intense. Gli abitanti delle aree a ridosso del confine parlano la stessa lingua, i legami di parentela sono molto frequenti.
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Terra di confine
Nei periodi di maggiore attività, quasi un migliaio di lavoratori provenienti dall’Italia passa il confine per lavorare a Brusio e nel resto della Valposchiavo, altri ancora valicano il passo del Bernina per recarsi in Engadina.
Nel secondo dopoguerra, lo sviluppo economico di Brusio ha dovuto molto alla prossimità della frontiera. Nella bassa Valposchiavo sono sorte varie attività commerciali e almeno fino agli anni Settanta è fiorita anche un’intensa attività di contrabbando, in particolare di caffè e sigarette.
Oggi il tessuto economico del comune rimane relativamente dinamico, ma Brusio deve fare i conti, come molte altre aree periferiche e di montagna, con un progressivo calo demografico.
Politicamente, Brusio ha conosciuto negli ultimi anni una rapida ascesa dell’Unione democratica di centro (UDC), la destra conservatrice e antieuropeista. Nelle elezioni al Consiglio nazionale del 2019, le varie liste del partito hanno ottenuto nel comune oltre il 50% dei consensi.
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Un imprenditore innovativo
Dario Cao è nato fra queste montagne nel 1969. Dopo le scuole dell’obbligo, impara il mestiere di lattoniere e idraulico. All’inizio degli anni Novanta si mette in proprio e qualche anno dopo comincia a interessarsi all’energia solare. È l’inizio di un lungo percorso imprenditoriale, che lo porterà nel 2010 a vincere il Premio solare svizzeroCollegamento esterno, per il risanamento di un albergo in Engadina.
In quel periodo, Cao è anche tra i primi imprenditori locali a cercare di farsi strada sul mercato italiano, con la consulenza della Regione Valposchiavo e approfittando degli accordi sulla libera circolazione delle persone tra Svizzera e Unione europea. All’epoca è spesso additato ad esempio delle nuove possibilità che si aprono per le piccole e medie aziende delle regioni di confine.
“Per qualche tempo avevamo il 20-25% delle attività in Italia”, affermava durante una nostra intervista nel 2012. Ma l’entusiasmo iniziale si è scontrato presto con il cambio sfavorevole tra euro e franco e soprattutto con gli ostacoli burocratici.
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Ostacoli burocratici
Oggi guarda a quell’esperienza con molto scetticismo. “Quando mi è stato proposto di fare da cavia per provare ad andare a lavorare in Italia avevo grande entusiasmo. A distanza di oltre dieci anni posso affermare che non è possibile.”
“I meandri della burocrazia italiana”, dice, lo hanno “obbligato a desistere”. A suo avviso l’Europa, e nel caso specifico l’Italia, non fa nulla per rendere davvero reciproca la libera circolazione.
Dario Cao è da anni membro dell’UDC ed è deputato supplente al Gran consiglio, il parlamento cantonale. Condivide appieno le posizioni del suo partito sull’Europa e l’immigrazione e non lascia alcun dubbio sul suo sostegno incondizionato all’iniziativa per la limitazioneCollegamento esterno. La sua esperienza di imprenditore sul mercato italiano lo conferma in questa scelta.
“Il furbone di turno”
Nel suo lavoro quotidiano sui cantieri afferma inoltre di trovarsi spesso confrontato con una mancanza di precisione e di rispetto per il lavoro altrui e lo attribuisce a una questione di cultura. “È molto deprimente”, dice.
Eppure nella sua azienda dà lavoro a molti frontalieri, con i quali non ha nessun problema. “Vengono dalla Valtellina, sono come noi”. Il vero problema sono gli stranieri che aprono una ditta in Svizzera, afferma. A suo dire sovente non hanno la professionalità e la qualità delle aziende svizzere. “A farne le spese sono i nostri stessi clienti”.
In caso di approvazione dell’iniziativa non teme troppo una carenza di manodopera. Spera anzi che se “si rallenta la corsa” un maggior numero di giovani svizzeri sia indotto a intraprendere carriere professionali nelle piccole e medie imprese e che i salari aumentino, “per il bene di tutti”.
“Ora che tutta questa gente fa quasi a gara per venire a lavorare in Svizzera”, dice, ci sarà sempre “il furbone di turno” che ne approfitta per abbassare i salari.
Se guarda più lontano, se pensa ai suoi amici a Genova, che gli parlano di un'”invasione di stranieri”, vede un futuro a tinte fosche. “Loro sono messi male veramente”, dice. E teme che la Svizzera si avvii sulla stessa strada. A rimetterci sarebbe “lo svizzero medio, quello che vive normale, che lavora tutti i giorni, che fa la Svizzera grande nel suo piccolo”.
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