Zona grigia tra clienti e despoti
Sia dall'interno della Confederazione che dall'estero giungono lodi. Ma i conti di dittatori ancora al potere o del passato offuscano l'immagine delle banche svizzere pulite. L'autoregolazione funziona od occorrono leggi più severe? I pareri divergono.
Il New York Times ha recentemente elogiato la Svizzera come”uno dei paesi che si distingue maggiormente nella restituzione di fondi rubati ai paesi in via di sviluppo”.
“Con questa nuova legge la Svizzera conferma il suo ruolo di precursore a livello mondiale nell’ambito della restituzione di averi di origine illecita”, ha scritto il Dipartimento federale degli affari esteri nel comunicato in cui annunciava l’entrata in vigore, il 1° febbraio 2011, della Legge federale sulla restituzione dei valori patrimoniali di provenienza illecita di persone politicamente esposte (LRAI), la cosiddetta “Lex Duvalier”.
In quella nota, tuttavia, la Svizzera ufficiale omette di precisare che la Lex Duvalier si applica solo a pochi paesi, in particolare non alla Tunisia e all’Egitto.
Il giudizio del New York Times nel frattempo è stato superato dagli avvenimenti. Il 19 gennaio, il governo elvetico ha deciso di bloccare con effetto immediato eventuali averi in Svizzera del deposto presidente tunisino Ben Ali e del suo clan.
Secondo l’organizzazione di aiuto allo sviluppo Dichiarazione di Berna, restano comunque delle spine nel fianco. Lascia l’amaro in bocca il fatto che il blocco sia stato deciso solo dopo che il presidente tunisino è stato destituito, come anche il fatto che non sia ancora stata presa alcuna misura circa presunti fondi in Svizzera del presidente egiziano Hosni Mubarak.
“C’è un grosso problema con i dittatori che sono in carica. Questi fondi vengono alla luce solo se i despoti vengono rovesciati. In linea di principio, così come la Svizzera presenta i fatti all’esterno, i fondi avrebbero dovuto essere bloccati prima”, ha detto a swissinfo.ch Andreas Missbach, membro della direzione della Dichiarazione di Berna.
Ciò non è accaduto per due motivi: “la Svizzera non vuole creare dispute con i dittatori in carica e le banche non hanno alcun interesse nel porre fine a un rapporto d’affari, finché questo non diventa discreditante”, prosegue Missbach.
L’esecutivo federale ha dovuto intervenire
È proprio questo il punto dolente. Secondo la legge sul riciclaggio di denaro, le banche sono tenute a esaminare attentamente la provenienza dei soldi di persone politicamente esposte (PEP) e controllare le transazioni. Ciò significa che le banche devono dimostrare che si tratta di fondi legali. Questo non è sempre facile, ci sono zone grigie tra fondi legali e illegali.
I fondi che si presume che Mubarak abbia depositato in banche in Svizzera potrebbero rientrare in questa “vasta area grigia”, spiega a swissinfo.ch Daniel Thelesklaf, esperto di lotta al riciclaggio di denaro. Inoltre, vi sono anche molti casi “di fondi legati ai partner commerciali del regime. Qui non è facile distinguere tra fondi legali e illegali, dato che più o meno tutti i governi occidentali hanno fatto buoni affari con tali società senza farsi alcuno scrupolo”.
Quel che è certo, tuttavia, è che “sono stati segnalati transazioni e conti che si sospettano legati a Ben Ali soltanto dopo che il Consiglio federale ne ha dato l’ordine a tutte le banche e agli altri istituti finanziari”, sottolinea Thelesklaf.
La FINMA deve far luce
Al momento non si può ancora dire se le banche nel caso di Ben Ali abbiano violato il dovere di diligenza. Ora spetta all’Autorità di vigilanza sui mercati finanziari (FINMA) chiarire la questione.
È possibile che “le banche siano semplicemente state sfortunate”, afferma Andreas Missbach. “È possibile che ci fossero di mezzo degli intermediari. Il principio della presunzione di innocenza si applica anche alle banche. Ma è molto probabile che qui non si sia lavorato in modo pulito”, commenta Missbach.
In linea di principio, spetta alla direzione della banca decidere se una persona politicamente esposta può aprire un conto o meno. Per legge, le banche hanno l’obbligo di segnalare le irregolarità all’Ufficio di comunicazione in materia di riciclaggio di denaro (MROS).
Una maglia debole
Il sistema di autoregolazione funziona “abbastanza bene”, dice Thelesklaf. “Non è possibile impedire in assoluto il riciclaggio di denaro nemmeno con altri ordinamenti. Stati con vere e proprie autorità di vigilanza in questo campo non se la cavano necessariamente meglio.
In ogni caso, è necessario che le nostre autorità lancino nuovamente il segnale che la questione delle persone politicamente esposte è presa sul serio e che chiedano alle banche di essere particolarmente attente in proposito”.
Per Missbach, la “debolezza di fondo” risiede nell’autoregolazione. “Naturalmente ha i suoi limiti. Se il sistema non funziona, allora bisogna inasprirlo”.
Così, per esempio, il governo svizzero avrebbe potuto bloccare i fondi di Ben Ali e del suo entourage prima della caduta del suo regime in Tunisia. “Inoltre si potrebbe anche specificare ufficialmente quali PEP si desidera avere in Svizzera come cliente di una banca e quali no”, dice Missbach.
I fondi tornano a galla
I due esperti sono concordi: negli ultimi anni il problema del riciclaggio di denaro sporco in Svizzera è decisamente migliorato. Ciò nonostante c’è ancora margine di manovra. Adesso occorre “un’indagine senza falle e trasparente”, afferma Missbach.
Per Thelesklaf, “l’esempio Ben Ali – e chissà cosa diavolo emergerà ancora – dimostra che il problema non è ancora risolto”. La Svizzera, in quanto una delle maggiori piazze finanziarie del mondo, ovviamente, sarà sempre a contatto con tali fondi.
“Penso che sia stato un errore dire che in Svizzera, non ci sarebbe più stato nulla di simile. Sarebbe stato più corretto dire ‘naturalmente veniamo in contatto [con fondi neri], ma abbiamo bisogno di un sistema che permette di fare emergere, bloccare e restituire tali fondi ai paesi interessati'”.
Nel segmento di clientela del PEP (persone politicamente esposte), le banche devono esercitare una maggiore vigilanza.
Ciò non vale solo per i potentati, ma anche per i politici democraticamente eletti, precisa Thomas Sutter, dell’Associazione svizzera dei banchieri.
Oggi ci sono banche di dati PEP, alle quali possono accedere le banche.
Alcune banche hanno proprie soluzioni in materia di PEP.
Anche l’entourage è importante, dicono. Nel caso dell’ex presidente tunisino Ben Ali l’elenco del clan comprende una quarantina di persone, ha detto la presidente della Confederazione Micheline Calmy-Rey.
Per Sutter, il problema è che qualcuno che fino a ieri era un dittatore politicamente tollerato, domani può improvvisamente diventare persona non grata.
Ciò non agevola il compito delle banche, per le quali non è facile decidere se rivolgersi alle autorità antiriciclaggio o no.
Il controllo delle PEP rientra nell’ambito della revisione annuale delle banche, svizzere ed estere. Le società di revisione effettuano dei controlli a sorpresa.
Per quanto riguarda la reputazione della Svizzera, spesso ci si dimentica del fatto che i dittatori sovente ricevono i soldi tramite transazioni all’estero.
Così, il denaro è guadagnato illecitamente all’estero sfuggendo ai controlli. Successivamente è depositato in Svizzera, dove poi riemerge e danneggia l’immagine della piazza finanziaria.
(Traduzione dal tedesco: Sonia Fenazzi)
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