Addio a tappe all’energia nucleare in Svizzera
La Camera bassa del parlamento svizzero ha deciso lunedì un abbandono graduale dell’atomo. Le due centrali più vecchie, Beznau I e II, dovranno essere spente tra il 2029 e il 2031. Per quelle meno vetuste, Gösgen e Leibstadt, non è invece stato posto un limite di vita.
Dopo una settimana di discussioni, il Consiglio nazionale ha concluso lunedì sera il dibattito sulla Strategia energetica 2050 del governo, approvandola al voto finale per 110 voti contro 84 e un astenuto. Il dossier passa ora al Consiglio degli Stati.
Nell’affrontare l’ultimo capitolo della strategia, di certo il non meno importante, i deputati hanno optato per un’uscita non troppo brusca dall’atomo, al fine di concedere più tempo al paese per prepararsi alla svolta energetica e ai gestori delle centrali di ammortizzare gli investimenti.
Sessant’anni bastano
Concretamente, la Camera bassa ha deciso che i due reattori più vecchi, Beznau I e II, messi in esercizio rispettivamente nel 1969 e nel 1971, saranno disattivati al massimo dopo 60 anni. Beznau I – più vecchia centrale nucleare al mondo in esercizio – sarà spenta al più tardi nel 2029. Beznau II nel 2031.
Per le due centrali meno vecchie – Gösgen aperta nel 1979 e Leibstadt nel 1984 – il limite d’esercizio è stato fissato a 40 anni. Due anni prima di raggiungere questo termine, i proprietari delle centrali potranno però chiedere un prolungamento dell’esercizio rinnovabile di dieci anni in dieci anni, presentando un piano di gestione a lunga scadenza (durata, sicurezza, migliorie…). Toccherà all’Ispettorato federale sulla sicurezza degli impianti nucleari (IFSN) decidere se accordare o meno la concessione.
Qualora l’IFSN dovesse giudicare il piano insufficiente, potrà ordinare la messa fuori servizio dell’impianto; il gestore avrà la possibilità di chiedere un risarcimento per gli investimenti non ammortizzati.
Per quanto riguarda la quinta centrale in esercizio – quella di Mühleberg – il gestore ha già deciso di chiuderla nel 2019.
Efficienza e rinnovabili
Nel suo lungo esame della Strategia energetica 2050, il Consiglio nazionale ha anche deciso di imprimere un giro di vite in materia di efficienza energetica, decidendo che Confederazione e cantoni dovranno emanare disposizioni per ridurre il consumo di energia per edifici, installazioni, veicoli e apparecchi.
Per compensare il progressivo abbandono del nucleare, dovranno poi essere promosse maggiormente le energie rinnovabili. I deputati hanno, tra le altre cose, aumentato il supplemento rete, che confluisce in un fondo destinato a finanziare la rimunerazione a copertura dei costi per l’immissione in rete di energia elettrica proveniente dal solare, dall’eolico o dalla biomassa. Inoltre, sono previste maggiori sovvenzioni anche per gli impianti idroelettrici, che in futuro potranno anche essere realizzati in zone naturali protette.
Il campo rosso-verde avrebbe voluto un ritmo più serrato. La proposta sostenuta da Partito socialista, Verdi e Verdi liberali di un limite di 50 anni per le centrali più vecchie è stata respinta per 131 voti a 63.
Il governo, sostenuto dalla destra, avrebbe dal canto suo voluto evitare che venissero poste scadenze rigide. Nessuno vuole giocare con la sicurezza della popolazione, ha cercato di assicurare la ministra dell’energia Doris Leuthard. Ci vuole però tempo per compensare l’energia nucleare (da cui la Svizzera ricava il 40% del suo fabbisogno in corrente elettrica) e evitare le domande d’indennizzo dei gestori.
«Morire per delle idee, va bè, ma di morte lenta»
All’indomani della decisione del Consiglio nazionale, parte della stampa deplora la scelta di non procedere a passo più spedito verso l’abbandono dell’atomo.
«La ricca e densamente popolata svizzera dovrebbe potersi permettere di non sfruttare fino all’ultimo il rischio dell’energia atomica», sottolinea il Tages-Anzeiger, che avrebbe voluto limiti più severi per i «vetusti» reattori di Beznau.
La Liberté inizia il suo commento con il ritornello della canzone di Brassens – «Morire per delle idee, va bè, ma di morte lenta» – e si chiede se il compromesso adottato dal Nazionale non sia il peggiore possibile dal punto di vista della sicurezza. «Certo, una disattivazione più rapida delle cinque centrali renderebbe la Svizzera più dipendente dall’estero per il suo approvvigionamento energetico […].Ma questa nozione d’indipendenza può essere messa sullo stesso piano con quella della sicurezza?», scrive il giornale di Friburgo.
La domanda a cui sono chiamati adesso a rispondere il Consiglio degli Stati e poi il popolo è carica di responsabilità: «Sono pronti ad assumere un rischio, anche ridotto, di incidente nucleare in un paese così piccolo come la Svizzera facendo durare al massimo le loro centrali nucleari?», si interroga La Liberté.
Il popolo, appunto, che sarà probabilmente chiamato ad esprimersi sull’iniziativa dei Verdi che chiede di limitare la durata di vita delle centrali a 45 anni. Per l’Aargauer Zeitung, lunedì la sinistra «ha dovuto ingoiare una pillola amara», ma il «popolo potrebbe venirle in aiuto: le chance per un sì all’iniziativa dei Verdi sull’uscita dal nucleare non si sono di certo ridotte dopo il dibattito di lunedì».
Per il Tages-Anzeiger, questa iniziativa potrebbe però anche essere controproducente. «Un no – più che probabile – aiuterebbe coloro che sono contrari alla svolta energetica, che potrebbero frenare tutto il processo».
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