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“Ci vorrebbe più deontologia” in viaggi di parlamentari

Il deputato Luzi Stamm (sulla sinistra) è stato ricevuto a Teheran dal presidente della commissione di politica estera del parlamento Allaedin Borujerdi (sulla destra) come se fosse stato in missione ufficiale. I media iraniani hanno poi dato risalto alle critiche rivolte alla Svizzera dal parlamentare elvetico. Screenshot SRF

Dei viaggi privati di parlamentari elvetici in certi paesi sono una ghiotta occasione di strumentalizzazione. Più deontologia da parte dei magistrati per evitare che alle loro visite sia data una parvenza ufficiale, come di recente in Iran, sarebbe auspicabile, ma non basterebbe per impedire simili episodi, rilevano degli esperti.

La problematica è tornata recentemente d’attualità, in seguito a un viaggio privato in Iran, per le vacanze pasquali, di sei parlamentari ed ex deputati dell’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice). La comitiva è stata ricevuta a Teheran dal presidente della commissione di politica estera del parlamento, Allaedin Borujerdi. Nel corso dei colloqui, il deputato Luzi Stamm ha criticato le sanzioni, applicate anche dalla Svizzera, nei confronti dell’Iran.

Le dichiarazioni sono state diffuse dall’agenzia stampa Irna e riprese dai media iraniani, in particolare dal sito in inglese “Teheran Times”. Dalla notizia sembrava che si trattasse di una visita ufficiale e che Stamm rappresentasse il parlamento federale.

La visita privata in Iran del gruppo di sei parlamentari ed ex parlamentari dell’Unione democratica di centro (UDC) ha suscitato molto clamore non solo perché dei deputati elvetici hanno criticato il comportamento della Svizzera nei confronti di Teheran e la loro visita aveva una parvenza ufficiale, ma anche perché presenta un aspetto singolare.

Si tratta infatti di esponenti di un partito che assume spesso posizioni anti-islamiche che si sono recati in un paese simbolo dell’islamismo. È lo stesso partito che ha promosso l’iniziativa che vieta la costruzione di minareti in Svizzera, approvata in votazione popolare nel 2009, e che ne sta preparando una per proibire di indossare indumenti che coprono il volto in luoghi pubblici.

Inoltre, quegli stessi parlamentari che avevano aspramente criticato l’allora ministra degli affari esteri svizzera Micheline Calmy-Rey quando, nel 2008, in visita a Teheran, aveva indossato il foulard, nel loro soggiorno in Iran hanno rinunciato alla cravatta perché considerata un simbolo occidentale e dunque malvista dagli islamici.

La vicenda in Svizzera ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro per un’intera settimana. Ma al di là dei biasimi di molti media e politici, per i parlamentari in questione non ci saranno conseguenze. Così come in passato non ce ne sono state per parlamentari protagonisti di episodi simili in altri paesi.

“Non vi sono regole cui devono attenersi i parlamentari quando viaggiano privatamente all’estero. Ogni parlamentare in privato è come qualsiasi altro cittadino, non rappresenta il parlamento o un suo organo”, afferma l’ambasciatore Claudio Fischer, capo delle Relazioni internazionali dell’Assemblea federale.

Il senso della deontologia

Un’assenza di disposizioni che anche René Schwok, professore di scienze politiche all’università di Ginevra, ritiene la normalità: “Sono liberi cittadini di un paese libero. Dunque hanno diritto di viaggiare dove vogliono e dire quel che vogliono”, commenta l’autore del libro Politica estera della Svizzera dopo la Guerra fredda. Quel che conta è che “non creino ambiguità”.

Secondo Schwok, “il problema è l’ufficialità: ci vorrebbe più deontologia in proposito. Ma è molto difficile, perché anche se si obbligassero i parlamentari svizzeri ad affermare chiaramente che non sono in visita ufficiale, non ci sarebbe comunque la garanzia che i media del paese in questione lo riferirebbero”.

Tanto più che “certi paesi approfittano proprio di visite di questo tipo per fare propaganda per i propri interessi”, dice Claudio Fischer. E “se non ci fosse la cassa di risonanza dei media, ciò non sarebbe possibile”, aggiunge Sacha Zala, direttore dei Documenti Diplomatici Svizzeri.

Del resto, “un paese che strumentalizza queste visite è perfettamente conscio che se vuole concludere degli accordi ha bisogno del governo e del parlamento e non di alcuni parlamentari che viaggiano a titolo privato. Ma la strumentalizzazione serve per la propria opinione pubblica”, afferma lo storico.

Per René Schwok, con queste manipolazioni, dei regimi dittatoriali mirano “inoltre a dividere e indebolire l’Occidente”. Anche se così, spesso, più che altro “mandano false informazioni a sé stessi, si autopersuadono che l’Occidente si indebolisce e ne sottovalutano la determinazione. Non riescono a capire che gli Stati democratici funzionano così, che al loro interno ci sono opposizioni”.

Caratteristiche elvetiche

Nel caso della Svizzera, poi, ci sono due peculiarità che complicano la comprensione all’estero, spiegano gli specialisti Non solo in paesi lontani con regimi dittatoriali, ma persino negli Stati democratici confinanti. In primo luogo i parlamentari elvetici sono molto più indipendenti dai loro partiti.

“Un sistema di milizia – nel quale per definizione un parlamentare rappresenta anche i propri interessi professionali – fa sì che in generale ci sia meno disciplina partitica e più un miscuglio tra una visione ideologica della politica estera e interessi privati, nel quale spesso prevalgono questi ultimi. E questo in tutti i campi, non solo in politica estera”, rileva Sacha Zala.

L’altra specificità è che praticamente tutti i grandi partiti sono al governo e che al contempo dei partiti della coalizione si oppongono a determinate decisioni dell’esecutivo. “In Svizzera, per esempio, si può essere membri della coalizione governativa da oltre 50 anni e criticare in continuazione la politica estera del proprio governo, come fa l’UDC. Negli altri paesi non capiscono questo sistema, non lo trovano logico”, afferma René Schwok, che ha dato spesso corsi in università all’estero.

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La diplomazia parlamentare guadagna terreno

La strumentalizzazione di visite private di parlamentari in paesi “sensibili” non è comunque un fenomeno esclusivamente svizzero e non è in aumento, concordano i tre esperti. In espansione c’è invece la cosiddetta “diplomazia parlamentare”, ossia la partecipazione dei parlamentari alla politica estera.

Benché non esistano ancora ricerche sull’influsso del legislativo nelle relazioni internazionali della Svizzera, non c’è dubbio che il parlamento sia diventato molto più attivo in questo campo. “Il ruolo del parlamento nella politica estera si è rafforzato in particolare negli anni ‘60”, ricorda Sacha Zala.

Uno sviluppo che si è poi ulteriormente accentuato e che prosegue tuttora. Anche perché “è innegabile che sempre più temi hanno delle componenti di politica estera. Oggi l’interdipendenza tra politica interna ed esterna è fortissima”, sottolinea il direttore dei Documenti Diplomatici Svizzeri.

Ufficialità rima con regolamenti

Queste attività si distinguono nettamente dalle azioni private di singoli o gruppi di parlamentari: “la politica estera ufficiale del parlamento è disciplinata chiaramente ed è coordinata. Per i viaggi all’estero vi sono regole precise, così come quando riceviamo in Svizzera dei parlamentari esteri”, puntualizza Claudio Fischer.

Per esempio, una delegazione ufficiale non è mai composta di membri di un solo partito. Inoltre gli incontri si svolgono tra pari: ad esempio, un presidente di una commissione di politica estera riceve il suo omologo.

I Servizi del parlamento forniscono assistenza, informazione, consulenza e accompagnamento. “Lavoriamo in modo molto stretto con l’amministrazione federale, soprattutto con il Dipartimento federale degli affari esteri”, precisa l’ambasciatore Fischer.

In Svizzera la Costituzione federale stabilisce che il governo è responsabile dell’elaborazione della politica estera e della sua attuazione. Ma, con la revisione costituzionale del 1999, il parlamento ha ottenuto il diritto di partecipare all’elaborazione e di vigilare sulla cura delle relazioni con l’estero.

In virtù della Legge sul parlamento, le Camere federali seguono l’evoluzione internazionale e cooperano alla formazione della volontà in merito alle questioni fondamentali e alle decisioni importanti di politica estera. Tramite le sue commissioni e le sue delegazioni, il legislativo collabora inoltre nelle associazioni parlamentari internazionali e cura le relazioni con i parlamenti esteri.

L’esecutivo è tenuto a informare regolarmente, tempestivamente e in modo completo le Commissioni di politica estera (CPE) delle due Camere sugli sviluppi importanti della politica estera. In caso di progetti essenziali e prima di stabilire o modificare le direttive e linee direttive relative al mandato per negoziati internazionali importanti, il governo consulta le CPE.

Rispondendo a un’interpellanza del Gruppo dell’Unione democratica di centro dello scorso dicembre, l’Ufficio della Camera del popolo ha sottolineato che “la diplomazia parlamentare è un elemento importante del dialogo politico tra gli Stati” e che essa “offre maggiore flessibilità e apertura in occasione di questi scambi, essendo meno vincolante dell’attività diplomatica del governo”. Ha inoltre rilevato che “i viaggi all’estero delle delegazioni parlamentari permettono anche di intrattenere contatti con la cosiddetta Quinta Svizzera”.

(Fonte: Parlamento svizzero)

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