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Come una parte delle riserve estere afghane è finita in Svizzera

Currency dealer holding a wad of bank notes in Kabul, Afghanistan
Il nuovo Fondo per il popolo afghano potrebbe prendere in considerazione la possibilità di finanziare la stampa di nuove banconote afghane, per rimpiazzare quelle vecchie ormai in cattivo stato. Un compito che la banca centrale afghana non è in grado di svolgere. Keystone / Stringer

Questa è la storia di come 3,5 miliardi di dollari di proprietà del popolo afghano siano sfuggiti a cause legali e talebani per finire in un fondo fiduciario in Svizzera, e di cosa succederà a quel denaro.

Di fronte a un regime corrotto, la comunità internazionale può rispondere con una serie di sanzioni economiche. Il congelamento delle riserve estere è una di queste. L’Afghanistan ha subito questa sorte subito dopo la presa del potere da parte dei talebani, nell’agosto del 2021: i suoi circa 9 miliardi di dollari (pari a 9 miliardi di franchi) in beni esteri sono stati congelati negli Stati Uniti, in Europa e negli Emirati Arabi.

Da allora, gli Stati Uniti hanno subito pressioni per restituire alla Banca centrale dell’Afghanistan (DAB) i circa 7 miliardi di dollari custoditi presso la Federal Reserve Bank di New York. Diversi importanti economisti ed economiste internazionaliCollegamento esterno, tra cui il premio Nobel Joseph Stiglitz, hanno persino scritto al presidente Joe Biden, chiedendo alla sua amministrazione di rilasciare il denaro per sostenere l’economia afghana in difficoltà.

“Congelare le riserve della banca centrale è una procedura relativamente comune, ma questo è un caso unico sotto molti punti di vista”, afferma Alexandra Baumann, responsabile della Divisione prosperità e sostenibilità del Dipartimento federale degli affari esteri. “Siamo di fronte a una situazione economica assolutamente disperata, [in più] l’Afghanistan non ha un governo legittimo”. Tra le crisi che il Paese è costretto ad affrontare ci sono decenni di guerra, una siccità che va avanti da anni e le restrizioni imposte dai talebani alla popolazione, tra cui il diritto al lavoro delle donne.

In sostanza, gli Stati Uniti si sono trovati di fronte a un gravoso dilemma di politica estera: come aiutare il popolo afghano, consentendogli di accedere a questi fondi senza che un solo dollaro finisse nelle mani dei talebani, che volevano che il denaro fosse consegnato alla banca centrale. Il gruppo militante è soggetto a sanzioni da parte degli Stati Uniti e non è stato riconosciuto come Governo legittimo dell’Afghanistan.

Un ulteriore problema era come assicurarsi che i 7 miliardi di dollari non rimanessero intrappolati nelle cause civili intentate dalle vittime degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, ennesimo fattore a complicare le cose per Washington.

Pertanto, gli Stati Uniti si sono rivolti a una terza parte indipendente, la Svizzera, per raggiungere un accordo unico nel suo genere. Ora la metà di queste riserve verrà trasferita a una fondazione di GinevraCollegamento esterno, il Fund for the Afghan People (Fondo per il popolo afghano), che erogherà parte di questo denaro per promuovere la stabilità macroeconomica del Paese orientale.

Un grave dilemma per gli Stati Uniti

Il fondo è nato a febbraio, mesi dopo che le riserve erano state congelate per la prima volta dal Dipartimento del tesoro statunitense. Con una mossa insolita, Biden ha scelto di firmare un ordine esecutivo in cui dichiarava l’emergenza nazionale per la “diffusa crisi umanitaria” e i disordini economici in Afghanistan, che rappresentavano una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti. La sua amministrazione ha poi chiesto a un giudice di poter trasferire metà delle riserve a un fondo fiduciario per sostenere il popolo afghano, autorizzazione che è stata concessa senza alcuna contestazione in tribunale.

L’altra metà è oggetto di cause legali intentate dalle vittime dell’11 settembre e dai loro parenti. Una sentenza sommaria del 2012 ha ritenuto i talebani e altri imputati e imputate responsabili degli attacchi per danni pari a 6 miliardi di dollari, più gli interessi accumulati.

“Dopo il congelamento delle riserve della banca centrale, i legali delle famiglie di alcune vittime dell’11 settembre hanno cercato quasi subito di accedere a questi fondi [per pagare i danni]”, afferma William Byrd, esperto di Afghanistan presso l’Istituto per la pace degli Stati Uniti. “Il governo statunitense si è quindi trovato di fronte a un enorme dilemma”.

In seguito, il Dipartimento di giustizia degli Stati Uniti ha sostenuto che i danni citati andrebbero ridotti di oltre la metà, in quanto legalmente si tratta di cifre compensative e non punitive. Tuttavia, accantonare anche solo una parte delle riserve per liquidare queste richieste, le cui sentenze sono ancora in sospeso, si è rivelato controverso. Secondo esperti ed esperte, non ci sono prove che i talebani abbiano preso parte agli attacchi. Inoltre, non è chiaro se i fondi della banca centrale spettino di diritto ai talebani o a chi ha intentato la causa.

“La legge statunitense dice che le riserve della banca centrale di un Paese che, per qualsiasi motivo, ha un governo non riconosciuto, non appartengono a quel governo”, spiega Byrd.

Alla luce di queste complessità, spiega Byrd, la creazione di un fondo fiduciario era la sola soluzione possibile per gli Stati Uniti, che si sono rivolti alla Svizzera per ottenere l’aiuto necessario per metterla in pratica. Mesi di discussioni e consultazioni legali tra i due Paesi occidentali hanno portato alla creazione della fondazione ginevrina a settembre.

Il fatto che il denaro sia depositato su un conto svizzero lo rende “molto meno vulnerabile alle controversie negli Stati Uniti, un risultato non da poco”, afferma Byrd.

La competenza e la credibilità della Svizzera

Baumann afferma che, sebbene non riesca a pensare a un precedente già esistente per un fondo in quella forma, la Svizzera aveva proprio il tipo di competenze che servivano al Governo statunitense.

“Gli Stati Uniti si sono rivolti a noi perché abbiamo esperienza nel trovare accordi innovativi in situazioni diplomatiche e finanziarie complesse”, afferma Baumann, che cita come esempio l’accordo commerciale umanitario, un meccanismo di pagamento creato due anni fa dalla Svizzera per consentire l’invio di aiuti all’Iran senza violare le sanzioni statunitensi.

“È un bene che la Confederazione sia intervenuta, perché non è chiaro se qualcun altro sarebbe stato in grado di occuparsi del [fondo afghano] con la stessa credibilità”, afferma Byrd.

I talebani hanno definito la decisione di istituire il fondo di Ginevra “inaccettabile”, una violazione delle norme internazionali. Secondo Washington e Berna, oltre a erogare parte del denaro per sostenere l’economia afghana, la fondazione intende preservare il patrimonio in modo che un giorno possa essere restituito alla banca centrale afghana, ma solo quando questa sarà libera dall’influenza talebana e avrà adottato adeguate misure antiriciclaggio. Due alti funzionari della DAB nominati dai talebani sono soggetti a sanzioni internazionali.

“La banca centrale afghana, nella sua forma attuale, non è un luogo adatto per quel denaro”, afferma Baumann. “Non abbiamo alcuna garanzia che, se quei soldi tornassero indietro in questo momento, verrebbero effettivamente utilizzati a beneficio del popolo afghano”.

Baumann siederà nel consiglio direttivo del nuovo fondo in qualità di rappresentante svizzera, insieme a due cittadini afghani che hanno lavorato per la DAB e all’ambasciatore statunitense in Svizzera, Scott Miller. Il consiglio avrà il potere di decidere come erogare le riserve.

“Ci impegneremo per assicurarci che la fondazione adotti un approccio inclusivo e che faccia ciò che vuole il popolo afghano, perché si tratta del loro denaro”, ha dichiarato Baumann quando le è stato chiesto quali saranno le priorità della Confederazione. “La Svizzera non ha interessi particolari in questo fondo, se non quello di aiutare la popolazione”.

Esborsi contenuti

Il consiglio si riunirà nelle prossime settimane e la Svizzera spera di poter annunciare le prime idee per gli esborsi entro la fine dell’anno. Poiché il fondo intende sostenere la stabilità macroeconomica e finanziaria dell’Afghanistan, il denaro non verrà utilizzato per finanziare aiuti umanitari internazionali, un criterio fortemente voluto dagli esperti ed esperte afghani consultati da Svizzera e Stati Uniti, afferma Baumann.

La previsione è di esborsi relativamente modesti. È la strategia giusta, dice Byrd, perché spendere una grossa somma in breve tempo sarebbe “un rimedio provvisorio, che non lascerebbe certo il Paese in condizioni migliori”.

La fondazione istituita a Ginevra avrà un conto presso la Banca dei regolamenti internazionali (BRI) di Basilea. Il consiglio direttivo deciderà per consenso generale come usare i 3,5 miliardi di dollari di fondi “nell’interesse del popolo afghano”. Inoltre, dovrà garantire che il denaro non vada a beneficio dei talebani.

I quattro membri che lo compongono sono l’ambasciatore statunitense in Svizzera, Scott Miller, che ne è anche il presidente; Alexandra Baumann, ambasciatrice per il Dipartimento federale degli affari esteri; Anwar ul-Haq Ahady, ex governatore della banca centrale afghana (DAB); Shah Mohammad Mehrabi, membro del consiglio della DAB. Ahady e Mehrabi sono anche tra i co-fondatori della fondazione. Il consiglio è libero di chiedere consulenze a chiunque e di nominare un comitato consultivo in rappresentanza delle istanze afghane. Tutte le decisioni che prenderà saranno rese pubbliche.

Secondo William Byrd, dell’Istituto per la pace degli Stati Uniti, gli oltre 9 miliardi di dollari di riserve estere appartenenti all’Afghanistan equivalgono a quasi la metà del suo PIL o a più di un anno di importazioni.

Le riserve, per esempio, potrebbero essere usate per influenzare le relazioni economiche internazionali, dice Byrd, sottolineando quanto sia stato difficile ottenere finanziamenti commerciali per far entrare in Afghanistan anche i beni di prima necessità.

Un altro uso pratico potrebbe essere quello di finanziare la stampa di nuove banconote per le transazioni quotidiane. Le banconote afghane attualmente in circolazione stanno cadendo a pezzi, dice Baumann. “È un compito fondamentale per qualsiasi banca centrale e al momento la DAB non è in grado di occuparsene”, afferma.

Se il fondo avrà successo, i Paesi che detengono il resto delle riserve afghane congelate (pari a circa 2 miliardi di dollari) potrebbero decidere di trasferire quel denaro nella fondazione ginevrina, dice Byrd.

Certo, il fondo non risolverà tutti i problemi dell’Afghanistan. Secondo Byrd, dopo la presa di potere dei talebani il Paese ha subito un enorme shock economico e “nulla riuscirà ad alleviarlo di molto, vista l’entità del taglio degli aiuti esteri”. All’indomani del colpo di Stato, infatti, molti Paesi donatori hanno revocato i loro fondi.

La crisi umanitaria in Afghanistan è tale che le Nazioni Unite hanno lanciato il loro maggiore appello per gli aiuti a un singolo Paese, per un ammontare di 4,4 miliardi di dollari nel 2022. Un obiettivo che, secondo Baumann, la comunità internazionale difficilmente riuscirà a raggiungere anno dopo anno.

“La fondazione è un semplice rattoppo, non può sostituire la banca centrale”, ammette Baumann. “Ma vale la pena cercare di utilizzare almeno una parte delle riserve per alleviare il forte stress economico in cui versa l’Afghanistan in questo momento”.

A cura di Virginie Mangin

Traduzione dall’inglese: Camilla Pieretti

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