Democrazia sotto controllo, in attesa di meglio
Una rivoluzione non avviene in due giorni. E, spesso, nemmeno senza violenza. In Egitto, la ripresa del potere in mani brutali, da parte dell’esercito, non corrisponde necessariamente ad un’inesorabile deriva verso l'autoritarismo. Alcuni, almeno, ne sono convinti.
Dalla presa della Bastiglia nel 1789 alla caduta di Napoleone III nel 1870, la Francia ha impiegato quasi un secolo per sbarazzarsi del suo “Ancien Régime” (Antico Regime). In Russia, la Rivoluzione del 1917 è sboccata in un regime ancora più duro di quello zarista e, ancora oggi, la sua transizione verso la democrazia non è sempre esemplare. Pur non apprezzando questi paragoni Lorenzo Vidino, esperto di Islam politico presso il Centro di studi di sicurezza del Politecnico federale di Zurigo, ammette che ogni rivoluzione conosce “una sua scala di tempo, accompagnata da una scala di violenza”.
Al Cairo, Hisham Qasem, uno dei fondatori nel 2004 del quotidiano di opposizione al-Masri al-Youm, prevede un processo di almeno dieci anni. “L’Egitto non è mai stato una democrazia”, dice lo scrittore e commentatore politico. “È stato una dittatura sotto Mubarak, poi ha imboccato la strada verso una democrazia. Ma, per questo, deve ancora separare i poteri e stabilire delle garanzie di democrazia. Conosco pochi paesi che l’hanno fatto in fretta e senza scatenare violenze”.
Altri sviluppi
Con gli occhi di Al-Shorouk
Il culmine dell’orrore
Violenze culminate, il 14 agosto, con lo sgombero da parte dell’esercito e della polizia di due raduni organizzati dai Fratelli musulmani al Cairo per protestare contro la destituzione del presidente Mohamed Morsi. Quel giorno e nella settimana seguente quasi 1’000 civili sono stati uccisi in tutto il paese.
“Abbiamo raggiunto il massimo dell’orrore sulla piazza Rabiya al-Adawiya”, sottolinea Rachid Mesli, direttore giuridico dell’organizzazione Al Karama, con sede a Ginevra, che si batte in difesa dei diritti umani. “I nostri osservatori hanno visto cecchini uccidere manifestanti da elicotteri militari e soldati che impedivano i soccorsi e davano il colpo di grazia ai feriti negli ospedali”. Testimonianze spaventose, confermate da alcuni giornalisti stranieri sul posto, tra cui Serge Michel, del quotidiano francese Le Monde.
Per Rachid Mesli, “questi atti possono essere definiti senz’altro dei crimini contro l’umanità”. La sua organizzazione, che prima di questi eventi aveva già presentato più di 250 casi documentati di esecuzioni extragiudiziali al relatore speciale dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, ha promesso di rivolgersi alla giustizia internazionale.
Episodi “scioccanti”, riconosce Lorenzo Vidino, sottolineando però il fatto che “la rivoluzione egiziana non figura tra le più violente mai viste finora”.
Di fronte alla repressione che si è abbattuta contro di loro (quasi 1’000 morti e almeno 2’000 arresti in un mese), i Fratelli Musulmani militanti, abituati alla clandestinità, hanno ritrovato i riflessi di un tempo.
“Siamo tornati ai contatti diretti e abbiamo rinunciato a telefoni e internet, con i quali possiamo essere individuati”, ha indicato una militante della regione di Alessandria. Suo padre, un dirigente dei Fratelli Musulmani, è tornato alla clandestinità per paura di essere arrestato.
“È peggio che sotto Mubarak”, afferma la militante. “Perché oltre alla violenza della polizia, c’è l’ostilità della gente. Numerosi nostri uffici sono stati attaccati in tutto il paese. Molti non vogliono più avere come vicini dei Fratelli Musulmani. Ma per fortuna ci sono quelli che simpatizzano con noi”.
I Fratelli musulmani potrebbero mobilitare in tutto il paese centinaia di migliaia di manifestanti, ma i loro comizi sono poco frequentati, dal momento che sono sistematicamente presi di mira da soldati e poliziotti.
Secondo molti esperti, non sono ancora giunti gli ultimi giorni dei Fratelli Musulmani, un movimento sorto 85 anni. “La Fratellanza è sicuramente destabilizzata, ma controlla ancora le sue finanze e la maggior parte dei suoi sostenitori sono a piede libero”, dichiara Ashraf al-Sharif, professore di scienze politiche presso l’Università americana del Cairo.
“Quale organizzazione chiusa e segreta, la Fratellanza è in grado di resistere alla repressione e di riorganizzarsi in fretta”, ha ritiene Haitham Abu Khalil, un ex membro dei Fratelli musulmani.
Un attivista da Port Said dice che il suo movimento riesce ancora a mobilitare i suoi membri. “Siamo sempre in contatto diretto con la gente e non abbiamo bisogno di uffici per farlo”.
“Intervento ragionevole”
Di certo, il 14 agosto si sono registrati “i peggiori massacri della storia dell’Egitto moderno”, deplora un ricercatore svizzero costretto a rimanere anonimo. “E, questo, con il tacito consenso della maggioranza della popolazione, per la quale i ‘barbuti’ rappresentano oggigiorno il nemico. Stiamo assistendo a pestaggi per le strade, che non vengono nemmeno compiuti da militari, ma da cittadini comuni. E i media si scagliano contro i Fratelli Musulmani, come non si è mai visto neppure ai tempi di Mubarak”.
In un editoriale, il giornale al-Masri al-Youm paragona ad esempio gli islamisti a cellule tumorali, che dovrebbero essere rimosse con un intervento chirurgico, o anche da “mezzi più forti, ossia da armi chimiche o radioattive”. Tutta la stampa attacca regolarmente i media stranieri, accusati di compiacenza verso i Fratelli musulmani. Giornalisti egiziani che lavorano per Al-Jazeera, vengono tassati come “traditori” e “figli di …!” Il quotidiano di centro-sinistra Al-Shourouk ritiene che, il 14 agosto, “la polizia ha agito professionalmente. Tenendo conto del numero di manifestanti, il numero delle vittime è stato ragionevole”.
Nessuna scelta
“È un fatto innegabile che la stragrande maggioranza della popolazione e, perfino, le élite liberali si posizionano ora dalla parte dell’esercito e contro i Fratelli musulmani”, nota Lorenzo Vidino. “La gente è disposta ad accettare alcune limitazioni della libertà e il ritorno di alcune persone che erano vicine a Mubarak, ma che sono meglio della realtà degli ultimi 18 mesi”.
“Morsi ha voluto istaurare una teocrazia”, afferma Hisham Qasem. “Così la gente si è riversata di nuovo per le strade. L’esercito non ha avuto molta scelta. O lasciavano fare, e avremmo avuto uno scenario alla Ceausescu, o agivano per isolare il presidente. La risposta dei Fratelli musulmani si è avvicinata ad un’insurrezione armata. Bisognava reagire”.
Tuttavia, l’editorialista non intende firmare un assegno in bianco per il generale Abdelfattah al-Sissi, l’attuale uomo forte del paese. “Quando hanno decretato la legge marziale per un mese, mi trovavo in una stazione televisiva e ho immediatamente espresso il mio disaccordo con questo termine. Avrei preferito una settimana, rinnovabile. Se durerà più di un mese, il governo dovrà spiegare il perché. E se la risposta non mi convincerà, mi batterò contro questa decisione”.
Governo legato all’esercito
Per i prossimi tempi, Lorenzo Vidino prevede il ritorno di un “mubarakismo senza Mubarak”. “Lo abbiamo visto in molte rivoluzioni: tutto deve cambiare affinché tutto rimanga uguale. A questo punto, la stragrande maggioranza delle persone in Egitto sembra ritenere che ‘i vecchi tempi non erano così male’. Almeno non c’erano carenze di benzina e le strade erano sicure”.
L’avvento di una dittatura militare? Il ricercatore di Zurigo non lo prevede: “Non sarebbe saggio da parte dei militari di voler controllare in modo visibile il paese. Potrebbe invece venir insediato un governo fortemente legato all’esercito, con un’indipendenza di pura facciata, ma anche con dei limiti che non verrebbero superati. Una sorta di democrazia controllata”.
Hisham Qasim è pure convinto che i militari torneranno nelle loro caserme. D’altronde, “se Morsi non avesse agito così stupidamente, l’esercito non avrebbe nemmeno occupato le strade”. A suo avviso, il primo presidente democraticamente eletto in Egitto “ha fatto troppi danni. Intravedeva un segnale di Dio in tutti i problemi economici e credeva che, perseverando nella via di Dio, sarebbero avvenuti dei miracoli”.
“Gli egiziani si sono ribellati due volte in meno di tre anni. Questo dimostra che nessuno può rimanere al potere senza un consenso. Neppure se utilizza il Corano, un carro armato o la forza”, afferma l’editorialista, che non nega le difficoltà a venire, ma non immagina il suo paese piombare in una guerra civile.
Traduzione di Armando Mombelli
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