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Gli attacchi «illegali» non intendono rovesciare il regime

Esperti ONU di armi chimiche ispezionano una zona in cui si presume vi sia stato un attacco con gas letali, nel quartiere Mouadamiya di Damasco. Reuters

Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e i loro alleati si preparano a un probabile intervento armato in Siria, che potrebbe avvenire nei prossimi giorni. Uno degli obiettivi celati è di costringere le parti in conflitto al tavolo dei negoziati, ritiene il professore di scienza politica Markus Kaim. Intervista.

«Il diritto internazionale è chiaro», ha affermato l’inviato speciale delle Nazioni Unite in Siria. Lakhdar Brahimi ha rammentato che una decisione del Consiglio di sicurezza dell’ONU è necessaria per un intervento militare in risposta al presunto impiego di armi chimiche letali, avvenuto la settimana scorsa a Damasco.

I leader occidentali hanno tuttavia fatto capire di essere comunque pronti ad agire, come già è stato fatto in passato per proteggere la popolazione civile. La loro intenzione è di giustificare una possibile missione punitiva e di ottenere un ampio sostegno internazionale.

Nel frattempo, gli esperti di armi chimiche che stanno indagando su un presunto attacco al gas – che ha ucciso centinaia di civili in un quartiere di Damasco controllato dai ribelli – hanno effettuato mercoledì una seconda visita sul posto per raccogliere campioni. Il Segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon ha chiesto di dare loro il tempo sufficiente per completare la missione (fino a venerdì). Ma Washington e i suoi alleati hanno già puntato il dito contro le forze armate del presidente Bashar al-Assad.

Markus Kaim è a capo del dipartimento di sicurezza internazionale all’Istituto di politica internazionale e di sicurezza di Berlino. È inoltre professore di scienza politica all’Università di Zurigo.

swp-berlin.org

swissinfo.ch: La Gran Bretagna ha preparato una risoluzione che condanna l’impiego di armi chimiche e che «autorizza misure necessarie per proteggere i civili». Il primo ministro David Cameron ha chiesto all’ONU di «assumersi le sue responsabilità in Siria». Come valuta questa risoluzione?

Markus Kaim: Tenuto conto della divisione tra Stati Uniti e Gran Bretagna da una parte, e tra Cina e Russia dall’altra, nel futuro prossimo non ci sarà alcuna risoluzione che autorizza il ricorso alla forza conformemente al Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. Non riesco a immaginare che il governo russo possa considerare la possibilità di autorizzare «misure necessarie per proteggere i civili».

Si tratta comunque di una mossa intelligente. Infatti, anche se la risoluzione venisse respinta, Washington e Londra potrebbero affermare all’opinione pubblica di aver fatto tutto il possibile per utilizzare l’ONU al fine di dare legalità e legittimità ai loro sforzi, ciò che non è legale dal punto di vista del diritto internazionale. È un modo per creare una certa legittimità, in assenza di legalità.

swissinfo.ch: Ritiene che gli Stati Uniti e i loro alleati procederanno come in Kosovo, quando avevano convinto la Nato a farsi coinvolgere e ad assumere il controllo dell’azione militare?

M. K.: Il Kosovo sembra un caso simile, ma per alcuni versi è molto diverso. In Kosovo, la Nato non aveva un mandato del Consiglio di sicurezza dell’ONU per condurre un intervento militare. Ci sono comunque state alcune risoluzioni che andavano in questo senso, in cui si intimavano ultimatum al governo serbo e si menzionava la possibilità di ricorrere alla forza. Ma nel caso della Siria non esistono risoluzioni del Consiglio di sicurezza a cui fare riferimento.

Non sarei comunque sorpreso se gli Stati Uniti tentassero di coinvolgere la Nato per assicurarsi una certa legittimità e di riunire il più alto numero di partner possibile per sostenere politicamente la missione. Sono sicuro che Washington ha già discusso con Arabia saudita, Qatar e Giordania. La Turchia ha già annunciato la sua posizione in favore di un attacco militare.

Più il sostegno regionale è forte, più l’azione potrà essere considerata legittima dalla comunità internazionale.

Il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) ha fermamente condannato «le gravi violazioni del diritto internazionale umanitario che sono culminate con il presunto utilizzo di armi chimiche» in Siria, si legge in un comunicato del 28.8.2013.

«La Svizzera è estremamente preoccupata per la situazione politica e umanitaria in Siria», prosegue la nota del DFAE. Per i servizi del ministro Didier Burkhalter, «bisogna fare di tutto, d’urgenza, per proteggere la popolazione civile, conformemente alle regole umanitarie».

La Svizzera deplora inoltre che nessuna «soluzione internazionale comune ed efficace» sia stata trovata in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Ricordando gli sforzi della Confederazione a favore di un’azione politica (la Svizzera ha sostenuto la Dichiarazione di Ginevra), il DFAE sottolinea la necessità di una nuova conferenza a Ginevra, «come si augurano importanti attori siriani e internazionali».

Sul terreno, la Svizzera «continuerà i suoi impegni umanitari in Siria e nei paesi limitrofi che registrano un afflusso di rifugiati». L’Alto Commissariato ONU per i rifugiati (UNHCR) ha censito due milioni di rifugiati, per la maggior parte nei paesi vicini. La Siria conta inoltre circa 3,6 milioni di profughi interni.

swissinfo.ch: Quali sono i principali obiettivi di un possibile intervento militare?

M. K.: Ne intravvedo due. Il primo è di punire o sanzionare l’utilizzo di armi chimiche. È un modo per contrastarne la proliferazione. Lo scopo non è di rovesciare il regime. Se così fosse, assisteremmo ad un approccio totalmente diverso, con l’impiego di forze terrestri.

Il secondo riguarda il processo politico, ovvero il processo di pace Ginevra 2.0 che sarebbe dovuto iniziare nel mese di giugno. L’obiettivo politico dominante potrebbe dunque essere di mandare un chiaro messaggio ad Assad: i suoi rappresentanti devono recarsi a Ginevra e iniziare una negoziazione con i ribelli.

La settimana prossima ci sarà il vertice del G20 a San Pietroburgo. L’evento potrebbe essere utilizzato a fini diplomatici nel caso in cui ci fosse un attacco militare durante il fine settimana. Ciò costringerebbe Damasco, Mosca, Teheran e Hezbollah a rivedere le proprie opzioni politiche.

Forse a San Pietroburgo assisteremo alla nascita di un’iniziativa diplomatica. E magari gli Stati Uniti saranno abbastanza furbi da lasciare che siano i russi a presentare quest’iniziativa. Ma qui entriamo nella pura speculazione.

Nei prossimi giorni assisteremo forse ad attacchi punitivi. In seguito tutti rivaluteranno le loro opzioni politiche e attenderanno ulteriori sviluppi. Se così non fosse, l’opzione militare ritornerebbe di attualità. Quello di Obama è un approccio graduale molto intelligente.

swissinfo.ch: Concorda con chi sostiene che attacchi puntivi limitati non faranno altro che gettare benzina sul fuoco in Siria e nella regione?

M. K.: Direi di no. Il conflitto dura da circa due anni ed è aumentato d’intensità senza che l’Occidente vi abbia partecipato militarmente. Gli attacchi punitivi potranno essere al contrario essere visti come un modo per contenere il conflitto ed evitare che si estenda in Libano, in Iraq o in altri paesi.

Dal 2011 al giugno 2013, la Svizzera ha ricevuto circa 2’500 domande di asilo da parte di cittadini siriani.

Nello stesso periodo, circa 260 siriani hanno ottenuto lo statuto di rifigliato e 750 una protezione temporanea (ammissione provvisoria).

Su richiesta dell’Alto Commissariato ONU per i rifugiati (UNHCR), la Svizzera ha inoltre accolto due contingenti di 36 e 37 persone (di cui 39 bambini).

Sollecitata da alcuni parlamentari svizzeri, preoccupati per la situazione in Siria, la ministra di giustizia e polizia Simonetta Sommaruga ha dichiarato mercoledì di essere in contatto con l’UNHCR, senza però precisare se un altro contingente di profughi potrà trovare rifugio nella Confederazione.

Traduzione dall’inglese di Luigi Jorio

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