Il CICR un testimone scomodo in Libia
Il CICR non dà una spiegazione ufficiale in merito all'uccisione di un quadro dell'organizzazione umanitaria in Libia. Stando al ricercatore ginevrino Hasni Abidi, l'attacco era mirato. L’obiettivo è la partenza degli osservatori stranieri, in un momento in cui il paese è teatro di una lotta sempre più feroce per il potere.
Dopo l’uccisione, mercoledì, dello svizzero Michael Greub, capo della sotto-delegazione di Misurata, nella municipalità di Sirte, il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) ha sospeso le attività nel paese, annunciando nel contempo che non intende abbandonare la Libia.
Il portavoce del CICR David-Pierre Marquet precisa: «Non avevamo alcun indizio che lasciasse presagire l’attacco. Non sappiamo se il CICR è stato preso di mira in quanto tale, non abbiamo ricevuto nessuna minaccia in questo senso, soprattutto in questa regione della Libia. Stiamo valutando tutte le ipotesi. È stata creata una cellula di crisi ed è in corso un’inchiesta con le autorità libiche».
Al contrario, il fondatore del centro di studi e di ricerca sul mondo arabo e mediterraneo (CERMAM) a Ginevra, il ricercatore Hasni Abidi, sostiene che quest’aggressione contro il CICR non è casuale. Intervista.
Michael Greub, 42 anni, è stato assassinato da uomini armati il 4 giugno 2014 mentre usciva da una riunione con due colleghi a Sirte, dove si era recato in missione.
Lo svizzero lavorava per il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) da oltre sette anni. Era stato dapprima in Iraq, poi in Sudan, Yemen e a Gaza. Dallo scorso marzo era capo della sottocommissione a Misurata.
Presente in modo permanente in Libia dal 2011, il CICR nel paese nordafricano ha tuttora una trentina di espatriati e 150 impiegati locali.
Il CICR ha annunciato il 5 giugno 2014 di aver interrotto temporaneamente le attività in Libia, in seguito all’uccisione dello svizzero, ma di non avere l’intenzione di abbandonare il paese.
Fonte: Ats
swissinfo.ch: Come analizza l’uccisione del capo del CICR a Sirte?
Hasni Abidi: C’è un nesso con il contesto di sicurezza che in Libia continua a deteriorarsi. Ma l’assassinio del capo della sotto-delegazione non è una sorpresa. Il CICR ha già subìto attacchi mirati nel 2012 a Misurata e a Bengasi, in un momento in cui Misurata era considerata la città più sicura della Libia.
Ciò dimostra che l’attentato che ha preso di mira il capo del CICR è un atto intenzionale, commissionato e ben preparato. C’è stata la volontà di eliminarlo, indipendentemente dal contesto di sicurezza. Detto ciò, gli attacchi del 2012 contro il CICR non sono mai stati rivendicati.
swissinfo.ch: Il fatto che i due colleghi che accompagnavano il capo non sono stati colpiti conferma la natura intenzionale di questo assassinio?
H. A.: Assolutamente. Il fatto di prendere di mira un capo dopo aver attaccato due volte la delegazione del CICR dimostra che il bersaglio è stato proprio il CICR. E ciò, nonostante tutte le misure di sicurezza prese dell’organizzazione, tra cui il fatto di utilizzare delle autovetture banalizzate (senza l’emblema della Croce Rossa).
Quattro impiegati delle Nazioni Unite in Libia sono stati brevemente interrogati e «trattati in modo brutale» da agenti di sicurezza dell’aeroporto di Tripoli, stando a un comunicato dell’ONU di giovedì scorso.
I quattro sono stati fermati perché sospettati di traffico di armi da Al Baida, nell’est, verso Tripoli. L’ONU non ha precisato se sono dei diplomatici.
I quattro impiegati, tutti di nazionalità straniera, avevano il permesso del porto d’armi del ministero degli Interni e ritornavano da Al Baida dove stavano facendo i preparativi per la visita del capo della missione ONU in Libia, Tarek Metri.
Dalla caduta del regime di Muammar Gheddafi nel 2011, gli stranieri residenti, compresi i diplomatici, sono bersagli di attacchi e di rapimenti, o addirittura di omicidi.
Fonte: AFP
swissinfo.ch: Ciò dà qualche indizio su chi ha commissionato quest’assassinio?
H. A.: È difficile da dire. Il confine tra gli attori politici frequentabili e quelli infrequentabili è molto labile. Alcuni membri del parlamento hanno dei legami con dei gruppi islamisti radicali.
Detto ciò, gli occhi sono puntati su Ansar al Sharia. Ma non possiamo escludere altri gruppi, come coloro che hanno fatto parte del regime di Gheddafi e le sue brigate di sicurezza, che per salvarsi la pelle si sono alleati con i rivoluzionari. Anche loro cercano di seminare il caos.
C’è dunque una miriade di attori che hanno una cattiva percezione della Croce Rossa e che possono attaccarla perché non vogliono la presenza di entità indipendenti e neutrali. Si vuole eliminare un attore importante, uno dei pochi ancora presenti in Libia.
Dunque quest’aggressione mostra che il CICR dà fastidio.
swissinfo.ch: Quindi il messaggio è volto a far lasciare il paese ai testimoni stranieri?
H. A.: Si, infatti. Ma l’attacco dimostra forse anche che il CICR non è riuscito ad intraprendere o consolidare un dialogo con tutti gli attori, compresi quelli che non lo riconoscono, per poter lavorare in un contesto di sicurezza.
swissinfo.ch: Quest’omicidio avviene in un momento in cui la Libia è teatro di un’offensiva del generale dissidente Khalifa Hafter contro i jihadisti di Bengasi e dopo la contestata elezione di Absallah al Thini a primo ministro lo scorso marzo. È un momento particolarmente teso della Libia post Gheddafi?
H. A.: Questi tre punti mostrano la complessità del contesto libico e quanto sia diventato difficile capire che cosa stia succedendo nel paese. Ricordiamo innanzitutto che alla fine di questo mese sono previste le elezioni legislative.
L’attentato che ha preso di mira il generale Haftar lo stesso giorno dell’assassinio del rappresentate del CICR è opera di uno dei tanti gruppi jihadisti, specialmente la brigata del 17 febbraio a Bengasi o quella di Ansar al Sharia, che ha dichiarato di volere la testa del loro nemico giurato.
Ma l’assassinio del capo della sotto-delegazione dimostra forse che ci sono altri gruppi che cercano d’imporsi.
Il CICR fa le spese della moltiplicazione di questi gruppi e del deterioramento senza precedenti della situazione dal profilo della sicurezza.
swissinfo.ch: Il gruppo Ansar al Sharia si sta imponendo rispetto agli altri gruppi jihadisti?
H. A.: Ansar al Sharia è stato fondato nel 2011 in Tunisia, dopo la caduta del presidente Ben Ali. Dapprima salafita, il gruppo ha in seguito assunto un orientamento jihadista (islamizzazione forzata, applicazione della sharia e, per una parte dei suoi membri, avvicinamento ad al Qaida).
Per trovare finanziamenti e un territorio più o meno libero e accessibile, Ansar al Sharia ha puntato sulla Libia, un paese senza dogane, senza un governo solido, simile perciò all’Afghanistan. Da allora in Libia sono stati allestiti tanti campi di addestramento.
Creato di recente, Ansar al Sharia è riuscito a superare al Qaida sul piano mediatico. La comunicazione è molto importante per reclutare nuovi aderenti alla jihad. È un movimento in piena espansione. La sua recente comparsa in uno stand di Ginevra, se confermata, dovrebbe preoccupare le autorità svizzere e straniere.
swissinfo.ch: I progetti di cooperazione svizzera in Libia sono minacciati?
H. A.: L’Algeria, l’Egitto e gli Stati Uniti, con le loro reti locali ben informate, sono partiti o hanno ridotto drasticamente il loro personale sul campo. È un segnale importante. Temo davvero che la situazione, dal profilo della sicurezza, continuerà a peggiorare. L’operazione militare del generale Haftar porterà molto probabilmente a rappresaglie ancora più violente.
C’è dunque un paradosso tra le urgenti necessità della popolazione, che progetti come quelli della cooperazione svizzera possono soddisfare in parte o totalmente, e la situazione dal punto di vista della sicurezza, che intralcia l’operato elvetico.
È un paese in cui occorre assolutamente sconsigliare i viaggi. Tutti i servizi di polizia sono infiltrati, così come le forze di sicurezza private. I gruppi radicali sono in costante evoluzione. Di loro non ci si può fidare. La sicurezza delle ambasciate occidentali e dei loro impiegati non è mai stata così minacciata come ora.
(Traduzione dal francese: Francesca Motta)
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