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La detenzione di una famiglia afghana giudicata «illegale»

La prigione e la separazione di genitori e figli può essere decisa solo in ultima ratio. Lo ha stabilito il Tribunale federale. Keystone

Il Tribunale federale ha condannato per violazione dei diritti umani le autorità del canton Zugo, che lo scorso ottobre avevano incarcerato una coppia di richiedenti l’asilo afghani e messo in istituto i figli, nell’attesa di rinviarli in Norvegia. D’ora in poi i cantoni saranno obbligati a trovare soluzioni alternative alla prigione e alla separazione delle famiglie, nell’ambito delle procedure Dublino.

L’incarcerazione della famiglia afghana aveva suscitato reazioni di incredulità e rabbia nella sede di Amnesty International. Come è possibile che dei bambini siano separati anche solo per un giorno dai loro genitori, senza nemmeno la possibilità di parlarsi, si era chiesta allora Denise Graf. La giurista, coordinatrice della divisione asilo in seno all’ONG, si era battuta invano per la loro liberazione e aveva poi seguito il caso, portato da un avvocato davanti al Tribunale federale.

Mesi dopo, la più alta istanza giuridica del paese, ha condannato la detenzione e la separazione dei bambini, ritenendola «illegale» e «disproporzionata». «Questa sentenza mette fine a una pratica che non tiene conto del bene superiore dei fanciulli e obbliga tutti i cantoni ad agire di conseguenza», afferma Denise Graf.

In carcere, senza alternative

Contattata da swissinfo.ch, la Segreteria di Stato della migrazione (SEM) dichiara di aver preso conoscenza della sentenza, ma non rilascia alcun commento, poiché l’applicazione delle decisioni di trasferimento di un richiedente l’asilo verso un altro paese europeo è di competenza dei cantoni.

Dal canto suo, la Conferenza dei direttori cantonali di giustizia e polizia (CDCGP) ha fatto sapere a swissinfo.ch che discuterà l’impatto della sentenza in occasione della prossima riunione. 

Ma facciamo un passo indietro. È nel maggio del 2016 che la coppia afghana e i suoi quattro figli – di cui uno ancora nel ventre della madre – arrivano in Svizzera e depositano una domanda d’asilo. Proveniente dalla Russia, la famiglia è entrata in Europa dalla Norvegia, per poi proseguire il viaggio verso la Svizzera. Pochi mesi dopo il loro arrivo, le autorità elvetiche intimano alla famiglia di tornare in Norvegia, poiché in base agli accordi di Dublino spetta al primo paese di transito trattare una domanda d’asilo.

Dopo una notte in prigione, il 5 ottobre 2016 la famiglia viene portata all’aeroporto di Zurigo per un volo diretto a Oslo. Quando il padre si rende però conto di non aver ricevuto i documenti d’identità dei figli, ancora in mano alle autorità federali, si rifiuta di salire a bordo. La coppia vorrebbe rimanere in Svizzera, dove vivono diversi parenti, e teme che la Norvegia li rimpatri in Afghanistan. Una pratica denunciata più volte dalla sezione locale di Amnesty International.

È allora che scattano le maniere forti. Invocando il rischio di fuga, le autorità del canton Zugo decidono di incarcerare il padre e la madre con il figlio di 4 mesi, e di mandare in un istituto gli altri tre bambini, di tre, sei e otto anni, malgrado la loro nonna viva in Svizzera. Nessuna alternativa alla detenzione e alla separazione della famiglia è stata presa in considerazione, sottolinea il Tribunale federale. Il 25 ottobre, tre settimane dopo, la famiglia è rimandata in Norvegia con un volo speciale.

Violazione dei diritti umani

Chiamato ad esprimersi sul caso, il Tribunale federale ha condannato le autorità del canton Zugo per violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti umani, che garantisce il rispetto della vita privata e famigliare. Stando alla corte, le famiglie dovrebbero essere separate solo in ultima istanza, dopo un esame approfondito di tutte le alternative possibili. La misura presa dalle autorità zughesi è dunque ritenuta «ingiustificata».

Nella sentenza, pubblicata martedì, il Tribunale sottolinea inoltre che i bambini sono stati sottoposti «a uno stress importante e a un sentimento d’impotenza». Una situazione aggravata dal fatto che alla famiglia è stato vietato ogni contatto durante la prigionia, prosegue il TF. È infatti solo dopo il ripetuto intervento dell’avvocato della famiglia, che i bambini hanno potuto sentire la voce dei genitori, due volte in tre settimane. Una simile prassi è giudicata al limite del trattamento inumano e degradante, contrario all’articolo 3 della CEDU, fa notare l’alta Corte.

I cantoni dovranno prendere delle misure

La sentenza del Tribunale federale impone ora a tutti i cantoni di cercare delle soluzioni alternative alla separazione delle famiglie nell’ambito dell’applicazione degli accordi di Dublino. Il benessere di un fanciullo riveste un’importanza fondamentale nella ponderazione degli interessi di uno Stato, ricorda il Tribunale federale.

Il caso della famiglia afghana non è unico nel suo genere. Amnesty International è a conoscenza di almeno altri due casi in cui i genitori sono stati separati dai figli, il primo sempre nel canton Zugo e l’altro nei Grigioni. Sul tema non esistono però statistiche ufficiali ed è dunque difficile sapere se si tratta di casi isolati o della punta dell’iceberg. È invece noto che la Svizzera applica in modo particolarmente rigoroso gli accordi di Dublino e figura da anni in testa alla classifica dei trasferimenti di migranti.

Oggi la famiglia afghana si trova in Norvegia, dove attende una risposta alla sua domanda d’asilo, spiega Denise Graf. «La separazione dai genitori ha però causato dei traumatismi importanti ai bambini che stanno seguendo una terapia. C’è da sperare che in futuro le autorità diano prova di maggior umanità».

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