Il governo punta su contingenti e priorità ai lavoratori indigeni
Contingentamento dell’immigrazione, priorità ai lavoratori indigeni e maggior sfruttamento del potenziale della forza lavoro locale: sono tre dei principali elementi previsti nel progetto di legge presentato mercoledì dal governo svizzero per attuare l’iniziativa popolare «contro l’immigrazione di massa».
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Conciliare le esigenze dell’iniziativa approvata un anno fa dal popolo elvetico e gli obblighi europei della Svizzera è «difficile ma non impossibile», ha sottolineato la presidente della Confederazione e ministra di giustizia e polizia Simonetta Sommaruga, presentando il progetto di legge e il mandato per negoziareCollegamento esterno con l’Unione Europea l’adeguamento dell’accordo di libera circolazione.
Concretamente, il progetto – posto in consultazione sino a fine maggio – riprende le idee già presentate in giugno dal governo: introduzione di contingenti annuali per tutti gli stranieri, applicazione di tetti massimi ai soggiorni a fini lavorativi di più di quattro mesi (tra cui anche i frontalieri), preferenza ai lavoratori già presenti sul territorio, migliore sfruttamento del potenziale della manodopera locale, in particolare donne e lavoratori più anziani.
I contingenti saranno fissati dal governo, sulla base d’indicatori economici, del mondo del lavoro e dei cantoni.
Per poter applicare queste misure senza contravvenire ai trattati sottoscritti con l’UE e continuare nella via bilaterale con Bruxelles, Berna dovrà però rinegoziare l’accordo di libera circolazione, entrato in vigore progressivamente dal 2002.
Un piccolo spiraglio
Finora l’UE ha sempre risposto di non volere entrare in materia, poiché la libera circolazione è uno dei principi fondamentali su cui si regge l’Unione. «Le posizioni sono molto lontane e il margine di manovra è ristretto», ha indicato Sommaruga. Dopo il suo incontro di una settimana fa con il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker e il presidente del parlamento europeo Martin Schulz, la ministra di giustizia e polizia intravvede però un barlume di speranza: «Bruxelles ha dato dei segnali d’apertura, dicendosi disposta a trovare una soluzione ai problemi d’immigrazione tra Svizzera e UE».
Un piccolo passo, non privo però di significato, ha rilevato la consigliera federale.
Simonetta Sommaruga e i suoi due colleghi di governo presenti alla conferenza stampa – il ministro degli esteri Didier Burkhalter e quello dell’economia Johann Schneider-Ammann – hanno insistito su un punto: «Bisogna procedere passo dopo passo. Abbiamo fino al 2017. Non cercare di trovare una soluzione non è però un’opzione. Nei negoziati con Bruxelles si delineano tre scenari: la Svizzera ottiene ciò che vuole, raggiunge un risultato intermedio, oppure non ottiene nulla».
Il testo dell’iniziativa “contro l’immigrazione di massa” iscrive nella Costituzione federale l’obbligo di porre un freno all’immigrazione, fissando dei tetti massimi e dei contingenti annuali in funzione dei bisogni dell’economia. Sul mercato del lavoro, la preferenza dovrebbe essere inoltre data ai residenti. Secondo il nuovo articolo costituzionale 121a, la Svizzera ha tempo tre anni, dal voto del 9 febbraio 2014, per applicare il testo.
La Commissione europea ha dal canto suo reagito con riserbo al disegno di legge svizzero. Maja Kocijancic, portavoce della commissione, ha indicato che Bruxelles esaminerà nel dettaglio le proposte per verificare la compatibilità con l’accordo di libera circolazione. Dalla Svizzera, la commissione si aspetta che «rispetti i suoi impegni».
Un duro colpo per l’economia
Per il governo, mettere a repentaglio la via bilaterale con l’UE rappresenterebbe un colpo durissimo per l’economia svizzera. «Perché la via bilaterale è così importante? Perché l’UE è e resterà il nostro principale partner economico. Solo con il Bade-Würtemmberg abbiamo un volume di scambi uguale a quello che abbiamo con gli Stati Uniti. La libera circolazione permette alle nostre aziende di trovare il personale necessario senza troppa burocrazia», ha osservato il ministro dell’economia Schneider-Ammann.
L’iniziativa «contro l’immigrazione di massa», promossa dall’Unione democratica di centro, era stata approvata il 9 febbraio 2014 dal 50,3% dei votanti. Il testo prevede di porre appunto un freno all’immigrazione con cui è confrontato il paese da più di dieci anni. Ogni anno, circa 80’000 persone giungono in Svizzera, la maggior parte provenienti dall’UE.
La Svizzera – che non fa parte dell’UE – assorbe il 10% della libera circolazione europea, ha ricordato durante la conferenza stampa il ministro degli esteri Didier Burkhalter.
Libera circolazione delle persone
Entrato in vigore gradualmente dal 2002, l’accordo sulla libera circolazione delle persone tra la Svizzera e l’UE figura tra i punti fondamentali del primo pacchetto di trattati bilaterali.
Questo accordo garantisce ai cittadini svizzeri e a quelli dell’UE il diritto di lavorare e risiedere in ognuno dei paesi firmatari.
Il popolo svizzero si è già espresso tre volte su questioni relative alla libera circolazione delle persone. Nel maggio 2000, gli accordi bilaterali I sono stati approvati da una chiara maggioranza di cittadini.
Nel 2005, il popolo elvetico ha accettato di estendere gli accordi ai 10 paesi che hanno aderito nel 2004 all’UE.
Nel 2009 è stata accettata anche l’estensione dell’accordo ai due nuovi membri dell’UE, la Romania e la Bulgaria.
In caso di disdetta di un accordo, tutto il pacchetto di trattati bilaterali rischia di cadere.
I rapporti tra la Svizzera e l’UE sono regolati da una ventina di accordi bilaterali e da un centinaio di altri trattati.
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Bruxelles è certo disposta a «discutere» della questione della libera circolazione, sollevata dalla decisione del popolo svizzero di porre un freno all’immigrazione. Ma discutere non significa «negoziare» un compromesso che metterebbe a repentaglio i principi fondamentali dell’UE. Un anno dopo il voto del 9 febbraio sull’iniziativa “contro l’immigrazione di massa”, le posizioni di Berna e Bruxelles sembrano inconciliabili.
Ci sono questioni di forma e di fondo. È con un bacio stampato sulla guancia - davanti alle telecamere, evidentemente – che il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha accolto a Bruxelles la presidente della Confederazione Simonetta Sommaruga. Ma l’affetto sincero che il lussemburghese prova nei confronti della Svizzera è lungi dall’essere smisurato.
A un anno dall'accettazione da parte del popolo svizzero dell’iniziativa “Contro l’immigrazione di massa”, promossa dall’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice), Jean-Claude Juncker ha ribadito fermamente la sua posizione: in quanto amici, la Svizzera e l’UE devono poter discutere di tutto, nella speranza di aiutare la Confederazione ad uscire da una brutta situazione.
In nessun caso, però, Bruxelles rinegozierà il principio della libera circolazione delle persone, rimesso in questione dal popolo elvetico. A stretta maggioranza, l’elettorato ha infatti deciso che la Svizzera dovrà reintrodurre contingenti sui lavoratori stranieri, fissare dei tetti massimi all’immigrazione e dare la priorità ai residenti sul mercato del lavoro.
Certo, Svizzera ed Unione europea «non sono in guerra» dal 9 febbraio 2014, ha sottolineato il presidente della Commissione. Juncker si è impegnato a proseguire «un confronto di opinioni» ai più alti livelli in modo da sciogliere la matassa della libera circolazione. Un confronto che spera «fruttuoso» anche se ammette di non essere «oltremodo ottimista».
Ma le cose devono essere chiare: «Per ora, i nostri punti di vista rimangono divergenti». Il tema sarà discusso a «scadenze regolari», ma la Commissione non si impegna a portare avanti «veri e propri negoziati». In caso contrario rischierebbe di riaprire il vaso di Pandora scoperchiato dal Regno Unito, dove il dibattito sulla libera circolazione delle persone è più acceso.
L’intero edificio in pericolo
L’esecutivo dell’UE mantiene dunque la linea tracciata lo scorso dicembre dai ministri degli affari esteri dei Ventotto. I capi della diplomazia avevano ribadito che la «libera circolazione non è negoziabile» e avevano poi sottolineato che l’applicazione dell’iniziativa minaccerebbe «il cuore delle relazioni tra Svizzera ed UE», ossia tutto il pacchetto di Bilaterali I legati tramite la cosiddetta «clausola ghigliottina». Se una delle due parti denunciasse la libera circolazione, anche gli altri accordi decadrebbero automaticamente dopo sei mesi.
Atteso al banco di prova, il governo svizzero comunicherà probabilmente la sua strategia l’11 o il 18 febbraio. Il margine di manovra a sua disposizione è però «estremamente ridotto», ha affermato Simonetta Sommaruga dopo l’incontro a Bruxelles. E alla tensioni con Bruxelles si aggiungono le pressioni interne, amplificate dalle scadenze elettorali di ottobre, con il rinnovo del Parlamento federale, e l’ombra del franco forte che sembra minacciare la prosperità della Svizzera.
Un rompicapo istituzionale
Oltre al dossier migratorio, un'altra spina nel fianco è l'accordo istituzionale che Svizzera e Unione europea stanno negoziando da tempo. Per Bruxelles, si tratta di rafforzare la coesione del mercato interno europeo, attraverso un adeguamento quasi automatico dei Bilaterali allo sviluppo del diritto comunitario e attraverso un controllo giudiziario indipendente per la risoluzione di possibili controversie. Condizioni che Berna finora non si è detta disposta ad accettare.
I Ventotto l’hanno però ribadito chiaramente, nel dicembre 2014: «In assenza di un quadro istituzionale comune, non sarà concluso nessun nuovo accordo sulla partecipazione della Svizzera al mercato interno».
Per incitare Berna a fare delle concessioni, il commissario europeo per la politica energetica, Miguel Arias Cañete, ha usato il bastone e la carota durante un incontro con la ministra svizzera dell’energia Doris Leuthard, il 29 gennaio. Lo spagnolo ha infatti ventilato la possibilità di «un accordo provvisorio» nel settore dell’elettricità, che permetterebbe alla Svizzera di accedere al mercato europeo dal primo luglio.
Cañete ha però posto come condizione la risoluzione di quei problemi istituzionali legati al dossier dell’elettricità, come la questione degli aiuti statali e della giurisdizione di sorveglianza. Ora spetta alla Svizzera fare il proprio passo. La ministra Doris Leuthard ha dichiarato che «non sarà facile», pur salutando questa «piccola apertura» nel muro dei bilaterali.
Questa via potrebbe però essere interrotta nuovamente se la Svizzera non riuscirà a trovare una soluzione euro-compatibile al grattacapo del 9 febbraio. In dicembre, infatti i Ventotto si sono riservati esplicitamente «il diritto di porre fine ai negoziati istituzionali e ad altri negoziati legati al mercato interno», nel caso in cui Berna violasse il sacrosanto principio della libera circolazione delle persone. Un vero e proprio rompicapo.
Le reazioni della stampa svizzera
La stampa svizzera non si mostra sorpresa dall’esito dell’incontro tra Sommaruga e Juncker a Bruxelles. La Neue Zürcher Zeitung (NZZ) constata che non vi è stato alcun riavvicinamento. Tra il Consiglio federale, costretto a rispettare il più possibile la volontà del popolo di porre un freno all’immigrazione e la Commissione europea, attaccata al principio fondamentale della libera circolazione, «le posizioni sono troppo distanti per intravvedere anche una minima possibilità di negoziazione», rileva dal canto suo Le Temps.
Malgrado l’accoglienza calorosa che Juncker ha riservato a Sommaruga, i quotidiani elvetici ritengono che le posizioni restano inconciliabili. La Liberté di Friburgo parla di un «bacio ingannevole degli europei alla Svizzera», mentre il Corriere del Ticino sottolinea la difficoltà di «negoziare ciò che non è negoziabile» e solleva qualche dubbio sulla strategia dell’Unione democratica di centro che dopo aver chiesto un’applicazione alla lettera del testo, ora accusa il governo di essere troppo rigido.
Un anno dopo il voto sulla cosiddetta “immigrazione di massa”, è giunto il momento di «seppellire le illusioni», commenta dal canto suo Der Bund. «Le due parti non hanno praticamente alcun margine di manovra (...). È raro vedere dei politici dichiarare in modo così poco diplomatico che le divergenze sono inconciliabili», conclude il quotidiano bernese.
La Svizzera ha bisogno di accordi bilaterali con l’UE?
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La Svizzera può ridurre l’immigrazione senza danneggiare l’economia? Dieci mesi dopo l’approvazione da parte del popolo dell’iniziativa sul freno all’immigrazione, non è ancora chiaro in che modo il governo potrà risolvere questo dilemma.
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