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Sicurezza alimentare: “Se non agiamo subito, il prezzo da pagare sarà salatissimo”

Bernard Lehmann
Bernard Lehmann è il presidente dell'High Level Panel of Experts on Food Security, fondato nel 2010. Keystone / Dominic Steinmann

Al mondo più di 800 milioni di persone soffrono la fame. Secondo Bernard Lehmann, per sfamare l'intera popolazione mondiale è necessaria una trasformazione totale dell'attuale sistema alimentare. Nell'intervista, il presidente del gruppo di esperti ed esperte di alto livello delle Nazioni Unite sulla sicurezza alimentare e la nutrizione spiega quali cambiamenti vanno promossi.

SWI swissinfo.ch: Cosa la preoccupa maggiormente se pensa alla situazione alimentare mondiale?

Bernard Lehmann: Da una parte mi preoccupa la crisi climatica, un problema costante che provoca periodi di siccità sempre più catastrofici. Questa situazione causa la perdita di raccolti e di terreni fertili, soprattutto in Africa e Asia, e una minore disponibilità di cibo a livello locale. Molti bambini e bambine soffrono di malnutrizione e denutrizione. Inoltre, a essere particolarmente toccati sono quei Paesi che subiscono gli effetti della pandemia di Covid-19 e registrano un importante incremento demografico.

La guerra d’aggressione contro l’Ucraina ha aggravato la situazione?

Sì, la guerra ha acuito la crisi alimentare globale. Si è registrato un calo dell’offerta di grano e olio commestibile e i prezzi sul mercato mondiale sono saliti alle stelle. Ciò ha ridotto l’accesso al cibo per la popolazione ed è uno dei motivi principali dell’attuale crisi. Il problema non è la mancanza di cibo: i prodotti alimentari ci sono. Il problema è piuttosto che le persone non hanno i mezzi per comperarli.

È il presidente del gruppo di esperti e di esperte di alto livello delle Nazioni Unite sulla sicurezza alimentare e la nutrizione HLPE (High Level Panel of Experts on Food Security and NutritionCollegamento esterno – HLPE-FSN). Fondato nel 2010, il gruppo ha il compito di analizzare e valutare lo stato attuale della sicurezza alimentare mondiale e le cause dei problemi correlati. Fornisce analisi scientifiche e raccomandazioni su questioni politiche rilevanti. Lehmann è il primo svizzero a ricoprire questa carica. In precedenza, è stato, tra l’altro, professore di economia agraria al Politenico federale di Zurigo. Dal 2022 è presidente della Fondazione dell’Istituto di ricerca dell’agricoltura biologica (FibL) della Svizzera.

La lotta contro la fame riguarda quindi innanzitutto la riduzione della povertà?

Sì, è un elemento chiave. Buona parte delle persone che soffre la fame non ha né soldi per comperarsi da mangiare, né terreno o animali da reddito, risorse naturali come i boschi. Questa situazione viola il diritto al cibo, che è un diritto umano sancito dal diritto internazionale.

Quali misure sarebbero necessarie?

Sarebbe importante promuovere un’assicurazione sociale completa nei Paesi colpiti per mantenere il potere d’acquisto e l’accesso al cibo. Da tempo, le esperte e gli esperti delle Nazioni Unite chiedono la creazione di un fondo globale per la sicurezza alimentare. Sul breve termine, una soluzione potrebbe essere l’utilizzo di buoni e trasferimenti di denaro, una misura attuata dal Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite. In alternativa, i microcrediti potrebbero essere utili, soprattutto in assenza di inflazione. Sul lungo termine è necessario offrire migliori possibilità di formazione alle nuove generazioni.

Che altrimenti fuggono in aree economicamente più stabili.

Questo è un grosso problema per il Sud globale. Sono proprio le nuove generazioni che devono favorire una trasformazione, ma dobbiamo offrire loro subito delle prospettive concrete, ad esempio garantendo loro pari opportunità a livello di istruzione e fornendo loro la possibilità di avviare un’attività in proprio. Un altro approccio promettente è la professionalizzazione del settore informale. Le piccole aziende possono avere un ruolo deciso nella promozione della sicurezza alimentare.

Molti Paesi del Sud globale sono pesantemente indebitati.

È vero. Inoltre, molti Stati sono confrontati con guerre civili e disordini politici che alimentano la crisi acuta. I Paesi occidentali devono aiutarli finanziariamente, con la riduzione del debito e investimenti.

Ma come può l’Occidente aiutare concretamente?

A breve termine, gli Stati membri dell’ONU potrebbero sostenere in modo più significativo il Programma alimentare mondiale, che ha urgentemente bisogno di maggiori fondi. A lungo termine, sarebbe necessario riformare il sistema commerciale internazionale, una delle principali cause della fame nel mondo. I Paesi del Sud globale dovrebbero aumentare la loro produzione per il mercato interno. Inoltre, il Nord dovrebbe smettere di invadere questi Stati con prodotti a basso costo che distruggono la produzione locale. Nello stesso tempo, le aziende svizzere potrebbero elaborare e confezionare i propri prodotti direttamente nel Paese di produzione, invece di importare le materie prime. In questo modo creerebbero posti di lavoro e valore aggiunto localmente, aumentando la resilienza degli Stati alle crisi.

L’ultimo rapporto del gruppo di esperti ed esperte delle Nazioni Unite sulla sicurezza alimentare, che lei presiede, si occupa delle disparità del sistema alimentare. Di che si tratta?

Il rapporto evidenzia come la sicurezza alimentare e le disparità siano strettamente connesse lungo l’intera catena del valore, dalla fattoria al piatto. Ad esempio, le famiglie di piccoli contadini e contadine hanno difficoltà a trovare risorse e canali di vendita per i loro prodotti, mentre le multinazionali alimentari controllano buona parte del mercato dei pesticidi e delle sementi. A ciò si aggiunge la disparità nell’accesso delle persone a prodotti alimentari adeguati e nutrienti. Per superare queste disuguaglianze è fondamentale che le persone abbiano maggiore potere decisionale su ciò che mangiano.

Cosa significa?

Significa che tutte e tutti devono avere la possibilità di decidere cosa mangiare e come deve essere prodotto il cibo. Ciò ridurrebbe la dipendenza e le disuguaglianze. Purtroppo, spesso sono proprio le popolazioni emarginate a non avere questa opportunità. In un rapporto dell’anno scorso, il nostro gruppo ha chiesto che questo potere decisionale venisse incluso nella definizione della sicurezza alimentare.

Attualmente, la definizione di sicurezza alimentare poggia su quattro pilastri: disponibilità, accessibilità, utilizzazione e stabilità. In un rapporto del 2022, l’HLPE ha proposto di ampliare la definizione, integrando due nuovi fattori: sostenibilità e abilità d’azione (agency).

Attualmente, buona parte della popolazione svizzera vive nell’abbondanza. Cosa si può fare per cambiare la situazione?

La maggior parte delle persone in Svizzera ha potere decisionale e può influenzare il mercato attraverso le proprie scelte di consumo, ad esempio sostituendo le proteine animali con quelle vegetali. Il consumo eccessivo di carne è un dato di fatto: circa il 60% del grano prodotto a livello mondiale viene utilizzato come foraggio per gli animali, il 16% viene destinato alla produzione di biocarburanti. È cibo che manca per nutrire l’umanità.

Inoltre, abbiamo la possibilità di ridurre lo spreco di cibo. Un terzo degli alimenti prodotti globalmente viene perso lungo la catena del valore o viene gettato via. Ci sono anche le cosiddette Food Losses, ossia quel cibo che marcisce direttamente nei campi dei Paesi del Sud globale. Con sistemi di stoccaggio o refrigerazione migliori e un’infrastruttura viaria funzionante sarebbe possibile ridurre questo spreco. Negli Stati ricchi del Nord molti alimenti finiscono invece nella spazzatura. È un’abitudine che potremmo cambiare.

Che responsabilità ha la politica?

In primo piano c’è la cooperazione allo sviluppo. È importante che i nuovi bisogni, come l’aiuto a favore della popolazione colpita dalla guerra in Ucraina, non riducano il sostegno al Sud globale. Una possibile strategia potrebbe essere quella di promuovere maggiormente la formazione professionale nel settore dei sistemi alimentari.

Per quanto riguarda la politica agricola della Svizzera, dovremmo ridurre drasticamente l’impiego di pesticidi e non sostenere questa pratica con ulteriori sussidi. Attualmente si investe ancora troppo poco nella produzione senza pesticidi, ad esempio nella ricerca sull’agroecologia che offre approcci molto validi per affrontare la crisi alimentare.

Quali sono i vantaggi di questo metodo?

È più ecologica. L’agroecologia usa pochissimi pesticidi o fertilizzati chimici. Si basa su cicli naturali, su terreni sani e ricchi di humus e promuove la biodiversità. Le monoculture, promosse durante la rivoluzione verde, vengono sostituite da metodi di coltivazione sostenibili e diversificati. Inoltre, l’agroecologia rafforza anche le questioni sociali attraverso le cooperative, i mercati regionali o le catene di approvvigionamento eque.

Negli ultimi anni, l’agroecologia si è conquistata l’attenzione di politica e scienza. Come mai la sua importanza non è stata ancora riconosciuta sul campo e rimane un metodo di coltivazione di nicchia?

Da un lato, l’agroecologia è una sfida per le strutture di potere esistenti, poiché comporta un cambiamento dei modelli di produzione agricola. D’altro canto, richiede un certo livello di conoscenze e competenze, caratteristica che spaventa le agricoltrici e gli agricoltori. Pertanto, sarebbe fondamentale investire nella ricerca e nella consulenza agraria. Non esiste una panacea per uscire dall’attuale situazione di crisi, ma ci sono più soluzioni. Tuttavia, il tempo stringe. Se non agiamo subito, il prezzo da pagare sarà salatissimo.

L’agroecologia mette in primo piano la produzione locale. Sarebbe quindi la fine dell’attuale sistema commerciale globale?

Promuovere l’agroecologia comporterebbe certamente dei cambiamenti radicali. Non si può però rinunciare completamente al commercio. La priorità dovrebbe essere data alla protezione della produzione locale. Inoltre, gli accordi commerciali dovrebbero essere equi e rispettosi del clima. Sono già stati fatti i primi passi in questa direzione. Ma non basta apportare dei piccoli cambiamenti al sistema per correggere gli errori. Ora serve una trasformazione completa a tutti i livelli del sistema alimentare per affrontare le sfide che ci attendono.

Traduzione di Luca Beti

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