“È sempre ancora la ‘vecchia cara Inghilterra’, ma senza molto potere e influenza”
Gran Bretagna e Svizzera condividono da decenni un rapporto problematico con l'Europa. I dibattiti sulla Brexit a Londra e sull'accordo quadro con l'Ue a Berna ne sono l'esempio più recente. Ma nel loro approccio al processo di integrazione europea, i due paesi hanno seguito fin dagli anni Sessanta percorsi diversi.
“[…] Il concetto che i britannici hanno di sé stessi è molto strano. Considerano il paese e il popolo della Gran Bretagna assolutamente unico, superiore a tutti gli altri popoli e alle altre regioni del mondo. In particolare è distorta l’immagine che hanno del loro rapporto con l’Europa (e questo nonostante la conferma dell’appartenenza alla Comunità europea nel recente referendum). Il popolo inglese non ha davvero recepito la tesi di Arnold Toynbee e di Winston Churchill, tesi che esprime una cosa assolutamente evidente, e cioè che fin dall’inizio l’Inghilterra è stata una parte irrinunciabile dell’Europa e che lo è rimasta fino ai nostri giorni. Questa repulsione molto radicata a considerarsi semplicemente uno dei tanti popoli europei è ancora più paradossale, nella misura in cui in Inghilterra le virtù e le debolezze dello stile di vita europeo vi si sono conservate meglio e in modo più evidente che non nei paesi più o meno ‘americanizzati’ dell’Europa occidentale continentale. […]”
L’ambasciatore Albert Weitnauer dovette ammetterlo, alla fine del suo rapporto: dopo cinque anni di permanenza a Londra aveva finito per capire e apprezzare “questo popolo inglese, profondamente amabile”. Ai suoi occhi, l’Inghilterra appariva ancora la “merry old England” (la vecchia cara Inghilterra), anche se ormai il paese era “senza molto potere e influenza”.
Al diplomatico svizzero, che si apprestava a lasciare la capitale britannica per assumere l’incarico di segretario generale del Dipartimento politico federale (il futuro Dipartimento degli affari esteri DFAE) a Berna, non sfuggivano però le contraddizioni di un paese con un glorioso passato imperiale e un presente segnato da una difficile situazione economica e da un rapporto contrastato con l’Europa.
Due anni prima la Gran Bretagna aveva abbandonato l’Associazione europea di libero scambio (AELS), di cui era stata membro fondatore insieme alla Svizzera nel 1960Collegamento esterno, per aderire alla Comunità economica europea (CEE).
L’adesione fu tuttavia accompagnata da forti scosse di assestamento: tornati al potere nel 1974, i laburisti rinegoziarono l’accordo con la CEE e lo sottoposero l’anno seguente al referendum. Con un esito ben diverso da quello del 2016 sulla Brexit: nel 1975 il 67,2% dei cittadini del Regno Unito si espresse a favore di una permanenza nella Comunità europea.
Per il libero scambio
Il voto del 1975 comportò una netta separazione dei percorsi di Gran Bretagna e Svizzera all’interno del processo di integrazione europea. In precedenza, “le strade dei due paesi si erano invece incrociate varie volte”, ricorda Franziska Ruchti, collaboratrice dei Documenti diplomatici svizzeriCollegamento esterno (Dodis).
Questo articolo è parte di una serie dedicata alle “Storie della diplomazia svizzera”, realizzata in collaborazione con i Documenti diplomatici svizzeri (Dodis).Collegamento esterno
Il centro di ricerca Dodis, un istituto dell’Accademia svizzera di scienze umane e socialiCollegamento esterno, è il polo di competenza indipendente per la storia della politica estera svizzera e delle relazioni internazionali della Svizzera dalla fondazione dello Stato federale nel 1848.
Senza voler scomodare il famoso discorso di Winston Churchill a ZurigoCollegamento esterno nel 1946, in cui il premier britannico auspicava la nascita degli Stati Uniti d’Europa (guardandosi bene tuttavia dall’includere la Gran Bretagna), si può ricordare che a metà degli anni Cinquanta la Svizzera aveva sostenuto con convinzione l’idea britannica di una grande area di libero scambio nell’Europa occidentale.
“Entrambi i paesi miravano in primo luogo a una cooperazione puramente economica in Europa ed erano opposti a strutture sovranazionali”, afferma Ruchti. Il Trattato di Roma del 1957, che diede vita alla CEE, costrinse però i paesi rimasti fuori dal mercato comune a scegliere un’altra opzione. Il 4 gennaio 1960 Austria, Danimarca, Norvegia, Svezia, Portogallo, Regno Unito e Svizzera firmarono a Stoccolma un accordo per la creazione dell’Associazione europea di libero scambio (AELS)Collegamento esterno.
Come aveva osservato pochi mesi primaCollegamento esterno il segretario generale del DPF Robert Kohli, “data l’impossibilità di aderire al Mercato comune, la Svizzera può scegliere solo tra l’isolamento e la collaborazione con i Sette [gli Stati che daranno vita all’AELS, NdR]”.
All’interno dell’AELS, la Svizzera collaborò strettamente con la Gran Bretagna. Gli interessi di quest’ultima non erano però identici a quelli di Berna. “Nel quadro della decolonizzazione, motivi economici spinsero Londra ad avvicinarsi alla CEE”, rileva Franziska Ruchti.
Alla ricerca di un’alternativa
Già nel luglio 1961 la Gran Bretagna avviò trattative per un’adesione alla CEECollegamento esterno. Il riorientamento di Londra rappresentava evidentemente un indebolimento dell’AELS. Per tutta risposta, la Svizzera decise pochi mesi dopo di sottoporre alla CEE una domanda di associazioneCollegamento esterno.
Le richieste britanniche alla CEE – una seconda richiesta di adesione fu depositata nel 1964 – si scontrarono però con i ripetuti veti Collegamento esternodel presidente francese Charles de Gaulle.
Solo le dimissioni di De Gaulle nel 1969 permisero ai paesi coinvolti di uscire dalla situazione di stallo. Nel 1973 Gran Bretagna, Danimarca e Irlanda (che non faceva parte dell’AELS) entrarono a far parte della CEE, mentre in Norvegia l’adesione fu respinta alle urne.
Nel frattempo la Svizzera, che negli anni precedenti aveva scandagliato ripetutamente i suoi spazi di manovra, firmò un trattato di libero scambio con la CEECollegamento esterno (luglio 1972). “Indirettamente è grazie alla Gran Bretagna se la Svizzera si è accostata alla CEE e ha stipulato un accordo di libero scambio che è ancora oggi una pietra angolare dei rapporti tra Berna e Bruxelles”, osserva Sacha Zala, direttore di Dodis.
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