“L’UE non è riuscita a creare solidarietà nelle regioni transfrontaliere”
La manna delle tasse sui redditi dei frontalieri è fonte di disaccordi in Svizzera ma anche altrove in Europa. Nella regione francese del Grande Est, politici e alti funzionari insorgono contro l'egoismo del Lussemburgo e chiedono una compensazione simile al modello di Ginevra. La soluzione potrebbe giungere dal Consiglio d'Europa.
Per quanto possa sembrare sorprendentemente, la Svizzera si dimostra più solidale con i suoi vicini europei rispetto al Lussemburgo, ossia uno dei membri fondatori dell’UE. Questa constatazione emerge chiaramente nel campo della fiscalità.
Come funziona per i frontalieri italiani?
La Svizzera riscuote la totalità delle imposte dei lavoratori frontalieri e successivamente ristorna il 38,8% ai loro comuni di residenza in Italia.
Mentre Berna ha firmato diversi accordi per ristornare ai paesi vicini, principalmente la Francia, l’imposta prelevata sui lavoratori frontalieri, il Lussemburgo invece non riversa nemmeno un euro ai suoi vicini francesi e tedeschi, e solo poche briciole ai comuni belgi confinanti.
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Ciò è dovuto a una norma dell’OCSE, applicata alla lettera dal Lussemburgo. Essa prevede che un reddito venga tassato nel Paese in cui si lavora. La mancanza di solidarietà manda su tutte le furie i politici delle regioni francesi confinanti con il Granducato. Con l’acqua alla gola a causa della mancanza di mezzi per gestire il massiccio arrivo di lavoratori transfrontalieri sul loro territorio (circa 5’500 all’anno), le regioni si dicono sull’orlo del collasso.
La soluzione potrebbe giungere dal Consiglio d’Europa, spiega Louis-François Reitz, delegato alla cooperazione istituzionale della città di Metz e specialista in materia di pianificazione territoriale transfrontaliera.
swissinfo.ch: Le relazioni transfrontaliere tra la Svizzera e i suoi vicini europei sono seguite con interesse da Metz?
Louis-François Reitz: Certo, con grande interesse! Ci consultiamo regolarmente con i nostri colleghi svizzeri, in particolare attraverso la FEDRECollegamento esterno, una fondazione con sede a Ginevra, che si occupa proprio di questi temi legati al Consiglio d’Europa. Nel senso istituzionale del termine, la Svizzera non è un Paese europeo come il Lussemburgo. Tuttavia, dal 1973, in base a un accordoCollegamento esterno firmato dai governi svizzero e francese, il bacino ginevrino versa alle collettività locali francesi il 3,5% del totale dei salari lordi dei frontalieri. L’anno scorso, più di 280 milioni di franchi sono stati riversati dal cantone Ginevra ai Dipartimenti dell’Ain e dell’Alta Savoia, dove vivono più di 100’000 frontalieri attivi a Ginevra.
A rendere particolarmente interessante questo accordo è la soluzione territoriale, ossia che il denaro non viene inviato a Parigi, ma viene investito direttamente sul posto. È un modello a cui ci ispiriamo.
Quali insegnamenti ha tratto da questa situazione?
Non si può fare a meno di pensare che se il Lussemburgo fosse stato altrettanto equo quanto la Svizzera, la Lorena settentrionale non si troverebbe oggi in uno stato di totale abbandono. Come Ginevra, il Lussemburgo accoglie 100’000 lavoratori frontalieri francesi [quasi 200’000 se si contano anche i tedeschi e i belgi]. Tuttavia non versa un solo centesimo di compensazione alle regioni francesi e tedesche confinanti. È una prassi iniqua e completamente controproducente.
“Se il Lussemburgo fosse stato altrettanto equo quanto la Svizzera, la Lorena settentrionale non si troverebbe oggi in uno stato di totale abbandono.”
Lei usa un termine molto forte per definire la situazione in cui versa la Lorena. Non le sembra di esagerare un po’?
No, è un vero dramma quello che si sta consumando nei comuni francesi vicini al Lussemburgo, nei quali la proporzione di frontalieri in certi casi raggiunge il 70% degli abitanti. I sindaci non sono in grado di soddisfare il crescente fabbisogno di infrastrutture – asili nido, scuole, trasporti ecc. –, indotti dall’arrivo massiccio di lavoratori frontalieri attirati dall’Eldorado lussemburghese. Inoltre, a causa dell’aumento dei prezzi, i lavoratori francesi non possono più permettersi un alloggio in questi comuni e devono andare a vivere altrove, lasciando il posto ai frontalieri.
La Lorena non è più così attrattiva come in passato e oggi tutta la regione è in grande difficoltà. Mentre il PIL pro capite del Lussemburgo è il secondo più alto al mondo (98’000 euro), quello della regione del Grande Est raggiunge appena i 28’000 euro. Simili disparità tra una metropoli e i suoi sobborghi sono insostenibili sul lungo termine.
Comunque, la crescita dell’economia lussemburghese ha coinciso negli anni Ottanta con il declino del settore siderurgico nella Lorena. Ciò ha favorito la creazione di nuovi posti di lavoro dall’altra parte della frontiera, riducendo così il tasso di disoccupazione nel Grande Est francese.
È proprio il contrario. Da trent’anni, il tasso di disoccupazione nella Lorena continua a crescere. Non sono i nostri disoccupati ad essere impiegati in Lussemburgo, bensì i lavoratori reclutati tramite internet nei quattro angoli della Francia. Questi sono costretti a insediarsi nelle zone francesi di confine, poiché è impossibile trovare un alloggio a un prezzo accessibile nel Granducato.
Certo, negli anni ’80 il Lussemburgo ha scelto di diventare un paradiso fiscale, creando vari posti nel settore finanziario; impieghi che in Francia non era possibile generare. Ma d’altra parte va ricordato che l’aggressiva politica fiscale del Granducato ha favorito il trasferimento di tanti posti di lavoro. Molti piccoli imprenditori della Lorena sono costretti a stabilirsi in Lussemburgo per rimanere competitivi.
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Come si è giunti a questo punto?
Con la liberalizzazione del mercato dei servizi, in particolare attraverso il trattato di LisbonaCollegamento esterno del 2007, l’UE ha creato delle nicchie che favoriscono l’arricchimento. Alcuni Paesi, come il Lussemburgo, hanno saputo approfittare di tale situazione. Al contempo, per evitare una doppia imposizione, il “Modello di convenzione fiscale sul reddito e sul capitale” dell’OCSE prevede che, in generale, il Paese ha il diritto di incassare l’imposta sul reddito del lavoro esercitato sul proprio territorio. È un principio giusto per un francese che vive e lavora a Londra, ma non per un lavoratore transfrontaliero che grava sulle finanze del Paese di residenza.
Con il Lussemburgo abbiamo a che fare con uno Stato che basa il suo modello di sviluppo sulla corsa al ribasso delle imposte e che non vuole sentir parlare di equilibrio. Sui 440’000 posti di lavoro che conta il Paese, 200’000 sono occupati da frontalieri. Due gruppi contribuiscono al bilancio dello Stato, mentre solo un gruppo è a carico di quest’ultimo. Con il numero di frontalieri, crescono anche le entrate fiscali e così il Lussemburgo può abbassare le sue aliquote fiscali, aumentando la sua competitività. È un circolo vizioso.
La colpa è quindi dell’Europa?
Sì, è così. L’Unione europea non è riuscita a creare una solidarietà nelle regioni transfrontaliere. È un clamoroso fallimento. La Svizzera è più solidale del Lussemburgo, uno degli Stati fondatori dell’UE. Alcuni politici svizzeri iniziano però a interrogarsi, alla luce della generosità di Francia e Europa nei confronti del Lussemburgo.
Ciò riguarda non solo la questione fiscale, ma anche quella dei frontalieri disoccupati, poiché il Lussemburgo sta ottenendo importanti deroghe rispetto alle nuove norme europee. Queste ultime prevedono che sia il Paese in cui lavorano a versare le rendite di disoccupazione e non più lo Stato di residenza.
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C’è qualche barlume di speranza in questo quadro cupo?
Sì, il Consiglio d’Europa si deve pronunciare quest’autunno su un’iniziativa della FEDRE volta a favorire una “giusta ripartizione delle imposte e degli oneri nelle regioni transfrontaliere”. Inoltre, un gruppo di lavoro dell’OCSE sta esaminando una riformaCollegamento esterno relativa alla riscossione delle imposte nelle zone di confine, in modo da includere modelli già esistenti in Svizzera.
Noi auspichiamo la creazione di un fondo transfrontaliero di co-sviluppo o di solidarietà. Questo fondo sarebbe gestito in modo paritetico, con diritto di veto per ciascuna delle parti. Sulla base del tasso di ristorno di Ginevra (3,5% dei salari lordi), il Lussemburgo dovrebbe contribuire al fondo con 160 milioni di franchi. Ciò rappresenterebbe appena l’1% del suo bilancio operativo annuale e meno del 10% delle imposte versate dai lavoratori frontalieri attivi in Lussemburgo.
Potete contattare l’autore dell’articolo su Twitter: @samueljabergCollegamento esterno
(Traduzione dal francese: Luca Beti)
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