«Salvare i migranti nel Mediterraneo è compito degli Stati, non delle ong»
Il sacerdote eritreo Mussie Zerai, residente in Svizzera, è indagato dalla Procura di Trapani per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Intervistato da swissinfo.ch, “l’angelo dei profughi” denuncia quella che definisce «una campagna denigratoria contro chi fa solidarietà» e chiama l’Europa ad assumersi le proprie responsabilità.
Candidato al Nobel per la pace nel 2015 e soprannominato “l’angelo dei profughi”, Mussie Zerai si batte da anni per salvare le vite delle persone in fuga da guerre e persecuzioni, che tentano di arrivare in Europa attraverso il Mediterraneo. Chi si trova in difficoltà in mezzo al mare chiama spesso sul cellulare del sacerdote eritreo per indicare la propria posizione e sollecitare dei soccorsi.
Zerai, che risiede alla parrocchia cattolica di Erlinsbach, nel canton Soletta, è ora al centro di un’inchiesta aperta dalla Procura di Trapani nel novembre 2016 (lui afferma però di essere stato informato soltanto lo scorso 8 agosto). L’ipotesi di reato è quella di favoreggiamento dell’immigrazione illegale.
Lei è sospettato di aver fatto da tramite tra i migranti sui gommoni e i membri delle ong attive nel Mediterraneo. Come risponde a quest’inchiesta?
Mussie Zerai: È una vera e propria campagna denigratoria nei miei confronti. Non ho mai avuto contatti diretti con la nave di Jugend RettetCollegamento esterno [sequestrata di recente dalla Procura di Trapani, ndr] e non ho mai fatto parte di alcuna chat segreta, come è stato riportato da alcuni giornali. Purtroppo, da mesi si porta avanti una campagna mediatica e politica contro le ong e tutte quelle persone che manifestano una forma di solidarietà nei confronti dei migranti e dei profughi che cercano di raggiungere l’Europa. È un modo per indebolire l’azione umanitaria.
Nessuna indagine in Svizzera
Contattato da swissinfo.ch, il Ministero pubblico della Confederazione indica che «per il momento non è in corso alcun procedimento penale nel contesto menzionato [Mussie Zerai, ndr] e non abbiamo ricevuto alcuna richiesta di assistenza» da parte italiana.
Che tipo di contatti ha con le ong presenti nel Mediterraneo?
M. Z.: Quando ricevo le chiamate dei migranti in mare informo sempre dapprima la centrale operativa della guardia costiera italiana e il comando di quella maltese. L’unico contatto con le ong è via email: trasmetto le informazioni di soccorso a quattro organizzazioni – Medici Senza Frontiere, Sea Watch, Moas e Watch the Med – così come alle guardie costiere e all’Alto Commissariato Onu per i rifugiati. Ho sempre agito alla luce del sole.
Condivide l’idea secondo cui non ci debba essere un contatto diretto tra le ong e i migranti e che le navi delle organizzazioni umanitarie non debbano diventare dei traghetti verso l’Europa?
M. Z.: Che i migranti non debbano avere un contatto diretto con le ong è una fesseria. Le ong esistono per aiutare chi è nel bisogno. Certo, le loro imbarcazioni non devono diventare dei taxi per portare i migranti in Europa. Ma non si tratta di questo.
Di cosa allora?
M. Z.: Le ong hanno semplicemente colmato un vuoto lasciato dallo Stato. Se l’Europa avesse mantenuto e rafforzato l’operazione Mare NostrumCollegamento esterno [iniziata nell’ottobre 2013 e conclusa un anno dopo], ora non ci sarebbe bisogno delle ong. La mancanza di solidarietà tra Stati europei, anche nella condivisione della responsabilità e nella gestione dei flussi migratori, si ripercuote su poveri disperati. Salvare i migranti nel Mediterraneo è compito degli Stati, non delle ong.
La linea che separa la solidarietà dalla criminalità può essere a volte sottile?
M. Z.: Per niente. C’è una chiara differenza. Chi aiuta a salvare vite umane in pericolo fa chiaramente della solidarietà.
Mentre l’attenzione è focalizzata sul codice di condotta per le ong presentato dal governo italiano, la gente continua a fuggire. Qual è la situazione attuale?
M. Z.: Sempre più ostacoli impediscono a profughi e migranti in fuga di giungere in un luogo sicuro in cui chiedere asilo o protezione. Penso ad esempio ai vari accordi bilaterali quali quelli di Khartoum o di La Valletta. Rispetto all’anno scorso, queste barriere hanno fatto calare il numero degli arrivi. Ma ciò non significa che la gente non scappa più. Molti sono relegati in campi profughi in mezzo al nulla, rinchiusi in centri di detenzione in Libia o lasciati morire nel deserto. Si chiudono le porte, ma questo non va bene perché dietro a queste porte c’è gente che subisce abusi, è torturata e violentata.
Lei cosa propone?
M. Z.: Il problema non si risolve con il soccorso in mare. Ci vuole una riforma radicale del sistema europeo di accoglienza. Bisogna anche intervenire nei paesi di origine e agire sulle cause della fuga. Più in generale, dobbiamo rimanere umani, con il nostro senso di giustizia e di solidarietà. La storia insegna che non tutto ciò che è legale è anche giusto. La giustizia deve prevalere sulla legalità.
Altri sviluppi
“L’Eritrea usa la povertà come strumento di controllo”
Mussie Zerai
Classe 1975, Mussie Zerai è nato ad Asmara, in Eritrea. A 16 anni presenta una domanda d’asilo in Italia. A Roma studia teologia e filosofia prima di iniziare a dare una mano ai migranti dal Corno d’Africa che giungono in Italia.
Assieme ad alcuni amici fonda nel 2006 l’agenzia HabeshiaCollegamento esterno, il cui scopo è sostenere migranti e rifugiati nelle loro pratiche e favorire la loro integrazione sul territorio nazionale.
Ordinato sacerdote nel 2010, diventa la voce di migliaia di persone in fuga dal proprio paese, denunciando presso autorità e organizzazioni internazionali le violazioni di cui sono vittime. L’Istituto di ricerca internazionale di pace di Oslo lo ha candidato al Nobel per la Pace 2015.
Mussie Zerai vive dal 2012 in Svizzera, prima a Friburgo e ora a Erlinsbach, nel canton Soletta, dove svolge la sua missione pastorale per la diaspora eritrea ed etiope.
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