Come la maledizione del quorum avvelena la democrazia
Negli ultimi 20 anni gli italiani avrebbero potuto decidere direttamente su 31 leggi a livello nazionale. Ma in 27 casi, tra cui quello del referendum del 17 aprile sulle trivellazioni in mare, i loro voti sono stati semplicemente invalidati da una applicazione "killer" antidemocratica. È ora che si ponga fine a questa maledizione.
Domenica era una giornata semplicemente meravigliosa. A una persona assetata di sole proveniente dal Nord Europa, sembrava che quella Roma in veste primaverile abbracciasse tutti con il suo fascino romantico. La gente prendeva d’assalto le gelaterie, che sembravano spuntare ovunque. Con il cielo azzurro e la temperatura intorno ai 28 gradi centigradi questo giorno era perfetto. O quasi, come è poi risultato in tarda sera.
Del resto la ragione per cui ho fatto il viaggio in Italia non era la temperatura calda o il delizioso gelato. Era il 31° referendum popolare degli ultimi venti anni su una legge nazionale approvata dal parlamento italiano. In questi ultimi due decenni, l’Italia ha fatto molti sforzi per diventare un paese più moderno, stabile ed efficiente. Un paese, che non si limita a guardare indietro a una grande storia – simile alla Grecia – ma che ha anche il potenziale di innovare e influenzare un intero continente con grandi idee e soluzioni promettenti.
Berlusconi ha dato il via
Fin dall’inizio, questo referendum, che chiedeva di decidere il futuro delle piattaforme di estrazione di idrocarburi lungo le coste Mediterranee, ha offerto grandi opportunità. In questioni ambientali ed energetiche l’Italia ha infatti preso una posizione progressista, anche a livello internazionale, non consentendo che centrali nucleari sostituissero le fonti fossili. Inoltre, nel 2011 gli italiani hanno votato contro un tentativo di privatizzare le risorse idriche pubbliche nel paese. Non si era infatti trattato solo di un voto popolare per l’accesso di acqua come diritto fondamentale, ma ha anche l’inizio della fine del regime altamente problematico dello show man miliardario Silvio Berlusconi.
È stato questo ormai 80enne premier di destra che durante i suoi (troppi) molti anni al potere era riuscito a trasformare una regola, fin dall’inizio imprudente, nella costituzione italiana, in un’arma efficace contro il corretto potere popolare: il cosiddetto quorum partecipativo. Berlusconi ha fatto tutto quanto in suo potere come leader politico e come principale proprietario di canali televisivi privati italiani dissuadere i cittadini dal partecipare alle votazioni referendarie: uno stratagemma per invalidare l’intero enorme esercizio elettorale di oltre 50 milioni di cittadini.
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Renzi ha continuato la battaglia contro il popolo
Secondo l’articolo 75 della Costituzione italiana, una legge approvata dalle due Camere del parlamento italiano deve essere sottoposta al voto popolare, se almeno 500’000 cittadini o 5 Consigli regionali lo chiedono. Tuttavia, il voto popolare è valido soltanto se almeno la metà più uno dei membri del corpo elettorale partecipa. Questo indipendentemente dal fatto che la maggioranza dei votanti dica sì o no.
Ciò che di primo acchito potrebbe essere interpretato come un requisito ragionevole della Costituzione per ottenere una buona partecipazione, di fatto minaccia la democrazia in quanto tale – non solo in Italia, ma ovunque sono applicati tali requisiti.
La dimostrazione più recente in Italia di come il quorum sia diventato la maledizione della democrazia nel Belpaese è proprio quella di domenica, quando più di 50 milioni di italiani – 47 milioni nel paese e 3 milioni all’estero – erano chiamati a decidere sul futuro delle trivellazioni entro le 12 miglia dalle coste.
Al fine di evitare che i suoi piani di prolungare i permessi di estrazione di idrocarburi ai gestori delle piattaforme in mare situate entro 12 miglia dalla costa fossero silurati in votazione popolare, il premier Matteo Renzi (del Partito Democratico) ha allineato una serie di misure per rendere improbabile un’affluenza sufficiente. In primo luogo il voto è stato programmato con breve preavviso e durante un solo giorno (notoriamente gli italiani si recano maggiormente alle urne il lunedì che la domenica).
In secondo luogo il referendum è stato indetto separatamente da altri voti popolari (in giugno sono previste le elezioni amministrative e i fautori del referendum chiedevano che le due votazioni fossero organizzate in contemporanea). In terzo, e più controverso, luogo il primo ministro e alcuni suoi sostenitori politici (ma non tutti) hanno consigliato apertamente agli italiani di astenersi dal voto. Una prassi contraria al processo democratico, già utilizzata in passato da predecessori di Renzi.
Questo modo in pratica equivale a conteggiare gli astenuti come dei no ed a sommarli ai no messi nelle urne dai votanti. Anche se i sì al referendum sono nettamente maggioritari, escono sconfitti. Vincono invece il governo e la maggioranza del parlamento che hanno emanato la legge che era stata contestata con il referendum.
Napoleone lo fece in Svizzera – nel 1802
Trucchi di questo genere sono noti nella storia e in molte autocrazie. Per esempio Napoleone Bonaparte, tentò nel 1802 di unificare la Svizzera attraverso una votazione popolare, in cui gli astenuti dovevano essere conteggiati come risposte affermative all’idea dell’imperatore francese di formare uno Stato unitario svizzero. Non funzionò. E non dovrebbe essere applicato in nessun paese, secondo le chiare indicazioni del più importante organo di vigilanza della democrazia in Europa, la Commissione di Venezia.
Come osservatore di elezioni e referendum in giro per il mondo, ho visto come questi quorum partecipativi hanno trasformato la Bielorussia da una speranza democratica nei primi anni 1990 in una delle ultime dittature in Europa. E ho constatato, come una regola simile a quella in Italia ha ritardato il progresso democratico a Taiwan nei primi anni 2010. È piuttosto deprimente che una democrazia ben consolidata e con infrastrutture mature come l’Italia, in maniera quasi masochistica, ancora una volta sia caduta nella stessa trappola. In fin dei conti, nella votazione del 17 aprile è stato violato anche il principio della “segretezza del voto”, poiché in pratica la partecipazione è stata indicata come un sì al referendum e l’astensione come un no.
Per finire: l’Italia ha investito più di 300 milioni di euro in un voto serio, che è però stato attaccato apertamente e minato dai suoi principali capofila politici. Quasi 20 milioni di italiani hanno diligentemente esercitato il diritto di voto, pur sapendo che questo sarebbe probabilmente stato annullato. È ora di svegliarsi, Bella Italia, e di abolire questo quorum, che mette in questione la vostra democrazia, potenzialmente molto vibrante.
Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione di swissinfo.ch
(Traduzione dall’inglese: Sonia Fenazzi)
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